I cambiamenti climatici stanno diventando una realtà sempre più critica, ma oggi è possibile conoscerli molto meglio, grazie a tecnologie che consentono di acquisire ed analizzare una quantità e una varietà sempre maggiore di dati. Grazie all’osservazione fotografica, il progetto Sulle tracce dei ghiacciai affronta la dinamica della fusione dei ghiacci dovuta al surriscaldamento globale. L’autore Fabiano Ventura ci svela i dettagli di una straordinaria avventura tecnologica e culturale, durata oltre tredici anni.

TAKEAWAY

  • Il progetto Sulle tracce dei ghiacciai, ideato e condotto da Fabiano Ventura, utilizza la tecnica del fotoconfronto (repeat photography) per offrire una lucida testimonianza del cambiamento climatico nel paesaggio di montagna.
  • Fabiano Ventura ci svela i dettagli tecnologici e culturali alla base di un progetto che si pone quale obiettivo comunicare i risultati della ricerca scientifica al grande pubblico, per mostrare senza filtri i disastrosi effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente in cui viviamo.
  • Fotografia digitale, droni, satelliti e tecnologie 3D consentono di esplorare il mondo in modi che fino a poco tempo fa parevano impossibili, aprendo nuove possibilità nell’osservazione dei fenomeni legati al cambiamento climatico.

Dopo aver introdotto il tema delle tecnologie per documentare e divulgare gli effetti dei cambiamenti climatici in montagna, abbiamo incontrato Fabiano Ventura, fotografo, alpinista e ricercatore da molti anni autore di progetti di comunicazione che lo hanno visto esplorare le località più remote della Terra, coinvolgendo importanti contributori scientifici nell’ambito della climatologia e della glaciologia.

Fabiano Ventura ha di recente concluso il progetto fotografico-scientifico Sulle tracce dei ghiacciai, presentato in anteprima mondiale nella mostra “Earth’s Memory – I ghiacciai, testimoni della crisi climatica”, in programma presso il Forte di Bard (AO), in programma fino al prossimo 18 novembre. Oltre 700 mq quadri di allestimento nella suggestiva location della fortezza alpina, in cui è possibile osservare 90 fotoconfronti derivanti dalle missioni realizzate tra il 2009 e il 2022 presso i ghiacciai del Karakorum, dell’Himalaya del Caucaso, delle Ande, dell’Alaska e delle Alpi. La mostra è completata da una serie di exhibit multimediali con i contributi dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e i backstage delle spedizioni, con le testimonianze di decine di protagonisti.

L’obiettivo del progetto, dal punto di vista divulgativo, è raggiungere emotivamente le persone e far percepire loro in maniera tangibile i catastrofici effetti a cui stiamo andando incontro per via di una condotta del tutto insostenibile nei confronti dell’ambiente.

Con Fabiano Ventura abbiamo approfondito gli aspetti che hanno sostenuto il suo sforzo organizzativo e imprenditoriale, oltre a riflettere sulle opportunità che la cultura e la tecnologia ci offrono per osservare e documentare i processi legati ai cambiamenti climatici.

Scorcio dell’allestimento della mostra EARTH’S MEMORY, che presenta in anteprima mondiale i risultati del progetto fotografico-scientifico Sulle tracce dei ghiacciai. Immagine di Matteo Trevisan, 2022, credit: Associazione Macromicro
Scorcio dell’allestimento della mostra EARTH’S MEMORY, che presenta in anteprima mondiale i risultati del progetto fotografico-scientifico Sulle tracce dei ghiacciai. Immagine di Matteo Trevisan, 2022, credit: Associazione Macromicro

T4F: Sulle tracce dei ghiacciai è in primo luogo una storia di straordinaria passione e rispetto per la natura. Com’è nata l’idea di intraprendere questo progetto?

Ventura: La mia esperienza di fotografo d’alta quota mi ha portato ad accompagnare diverse spedizioni sia sportive che scientifiche. Nel 2004 ho avuto la fortuna di partecipare al lavoro per la commemorazione dei 50 anni della conquista italiana della vetta del K2. In quell’occasione ho conosciuto alcuni climatologi e glaciologi che stavano lavorando sul monitoraggio dei ghiacciai ed ho scoperto che utilizzavano la fotografia per documentare le variazioni dei vari siti a distanza di tempo.

Ho avvertito un senso di responsabilità e mi sono chiesto cosa avrei potuto fare per offrire un contributo positivo. Mi resi immediatamente conto che tali problematiche erano poco sentite, allora più di adesso, in quanto gli effetti dei cambiamenti climatici sono molto evidenti nei luoghi dove le persone non vivono la loro quotidianità. Si tratta infatti di luoghi dove arrivano soltanto gli studiosi, gli sportivi e chi documenta le loro attività.

Da fotografo, nel mio piccolo, avrei potuto cercare di trasmettere, attraverso le immagini, le dinamiche del cambiamento climatico, per raggiungere il sentimento delle persone comuni, i non addetti ai lavori della montagna e della ricerca scientifica. La base di partenza doveva necessariamente essere quella di cercare di superare la barriera comunicativa che intercorre tra la scienza e la società, che è in primo luogo di natura culturale.

Non è possibile parlare in maniera diffusa di scienza con il linguaggio tecnico-specialistico della ricerca. Occorre un approccio diverso, in grado di sviluppare una naturale empatia con il pubblico che si intende coinvolgere. L’azione di divulgatori scientifici come Piero Angela, Mario Tozzi o Margherita Hack ci ha dimostrato come sia possibile farlo con successo, quando si è in grado di parlare la lingua delle persone comuni, anche trattando argomenti tutt’altro che immediati a livello scientifico.

La climatologia è un tema enormemente complesso, pretendere di divulgarla con il linguaggio degli scienziati non ci consentirebbe di raggiungere il grande pubblico. La comunicazione visiva, attraverso la sua sintesi, può avere successo nella facilitazione divulgativa.

Date le mie competenze ho pensato che avrei potuto far parlare le immagini. Dopo molte esperienze in montagna ho quindi deciso di produrre in prima persona un progetto di comunicazione in grado di raccontare alle persone gli effetti dei cambiamenti climatici, descrivendo l’azione di ritiro dei ghiacciai attraverso la tecnica del repeat photography, che consiste nel confrontare, dallo stesso punto di vista, una situazione storica con una attuale.

Si tratta di una tecnica in grado di produrre risultati visivi facilmente comprensibile da tutti, in quanto non necessitano di essere spiegati. Chiunque è in grado di percepire la differenza che interviene tra due situazioni di base del tutto identiche.

Il soggetto consente inoltre di realizzare immagini dallo straordinario impatto emotivo, che vanno valorizzate grazie alla dimensione e ai dettagli compositivi della fotografia. L’obiettivo è quello di rappresentare la bellezza oggettiva di una natura sfregiata dagli effetti del cambiamento climatico.

T4F: Quali sono state le fonti che hanno ispirato il progetto?

Ventura: Il principale ispiratore è stato il lavoro di ricerca fotografica svolto da Vittorio Sella, che tra fine Ottocento e inizio Novecento è riuscito a documentare, con i mezzi di allora, moltissimi paesaggi di montagna. Nella sua carriera ha seguito peraltro le spedizioni del Duca Degli Abruzzi, come quella sul Karakorum nel 1909, di cui ci rimangono anche le straordinarie immagini del K2.

Era una fotografia davvero d’altri tempi, intrisa di avventura e di mistero, considerando che molte montagne venivano affrontate per la prima volta. Ho iniziato ad appassionarmi in merito a questo argomento, incontrando successivamente alcuni storici della fotografia di montagna, come Giuseppe Garimoldi, a cui devo davvero molto in termini di conoscenza.

Grazie alla sua esperienza, Garimoldi mi aprì la mente su diversi particolari, facendomi chiaramente capire che se il mio progetto avesse voluto ambire ad una dimensione internazionale non avrei potuto limitarmi al fotoconfronto con Sella. Avrei dovuto indagare l’attività di molti altri celebri fotografi di montagna. Ho quindi iniziato a prendere contatti, visitare e studiare a fondo molti archivi, per pianificare sin dall’inizio in maniera strutturata il progetto di conoscenza sui ghiacciai.

Il lavoro di ricerca archivistica, unitamente all’opera di restauro su vari reperti, ha costituito la base per gli oltre 300 fotoconfronti che abbiamo realizzato durante il progetto Sulle tracce dei ghiacciai. L’intera indagine ha comportato la consultazione di milioni di immagini, successivamente scremate attraverso varie fasi di selezione.

T4F: Rispetto agli anni pionieristici di Vittorio Sella, oggi le spedizioni in montagna sono più confortevoli, ma le difficoltà nel finanziarle e realizzarle rappresentano una costante nell’organizzazione. Allora il problema veniva risolto dalle generose casse dei sovrani. Oggi come si riesce a garantire il necessario supporto economico alle spedizioni?

Ventura: Legare ricerca e iniziativa imprenditoriale non è mai stato semplice, soprattutto all’inizio, quando non c’era notorietà sul progetto. Ci era infatti chiaro sin dall’inizio che l’impegno nella comunicazione doveva assumere una duplice finalità. Da un lato, l’obiettivo finale della missione, ossia divulgare i cambiamenti climatici. Nel frattempo, dovevamo far conoscere ciò che stavamo facendo, perché lo stavamo facendo e come lo stavamo facendo.

Abbiamo lavorato molto sul backstage per sviluppare uno storytelling delle spedizioni, comunicando attraverso i social e i media che progressivamente hanno iniziato ad interessarsi di noi, dandoci sempre più spazio. La fiducia di chi ha creduto in noi è cresciuta spedizione dopo spedizione.

Le prime spedizioni sono state in fase di avvio abbastanza incerte, in quanto i finanziamenti degli sponsor venivano puntualmente sbloccati soltanto all’ultimo. Nei casi più recenti, grazie alla visibilità che siamo riusciti progressivamente ad ottenere, abbiamo ricevuto un maggior supporto e siamo riusciti a muoverci con un ragionevole anticipo, il che è molto importante per pianificare al meglio i molti dettagli che riguardano una spedizione in alta montagna.

Dopo un’attività di quasi vent’anni ora possiamo contare su un network che coinvolge su vari livelli una serie di sponsor tecnici, partner scientifici e media partner in grado di supportarci con regolarità. Nel frattempo, è cresciuta anche la squadra dei collaboratori che mi supportano nei progetti di comunicazione che dedichiamo alla conoscenza del cambiamento climatico.

T4F: Un aspetto sorprendente del progetto Sulle tracce dei ghiacciai risiede nella sua natura multidisciplinare, quasi a voler cercare un punto di rottura rispetto ad una ricerca scientifica che si dimostra sempre più specialistica ed autoreferenziata.

Ventura: Lo spirito dell’iniziativa deriva dalla tradizione della spedizione ottocentesca, che prevedeva team di lavoro composti da molti specialisti. Attraverso ciò che ho imparato grazie alla testimonianza di Vittorio Sella, ho cercato di creare un dialogo e uno spirito collaborativo tra discipline diverse, per cercare di rendere i dati provenienti dalla ricerca scientifica fruibili per un pubblico più ampio rispetto alla ristretta platea degli addetti ai lavori.

Non potevo ovviamente ambire ai numeri e alla varietà disciplinare presenti nelle spedizioni storiche, ma ho cercato, ogni qualvolta mi è stato possibile, di coinvolgere geologi, geografi, climatologi e glaciologi, ossia gli specialisti più pertinenti con il tema su cui intendevamo concentrare la nostra ricerca.

Confesso che non sempre i risultati sono stati quelli che avrei desiderato, soprattutto quando ci siamo ritrovati al cospetto di ricercatori poco propensi a condividere i dati delle loro ricerche, in quanto ciò si scontrava palesemente con gli obiettivi di divulgazione del progetto.

Nel complesso mi sento tuttavia di affermare che, sul piano dell’apporto scientifico sul campo, l’esito finale delle spedizioni del progetto Sulle tracce dei ghiacciai sia certamente faticoso ma assolutamente soddisfacente e costruttivo, credo di poter dire per tutte le parti in causa.

Abbiamo avuto la fortuna di incontrare persone di straordinaria cultura e curiosità, che hanno condiviso gli obiettivi divulgativi del nostro progetto, condividendo con noi i dati e le competenze che insieme abbiamo ritenuto fossero necessari per trasmettere questa conoscenza al grande pubblico.

Per quanto riguarda i contributi scientifici ritengo molto importante che le persone conoscano il backstage, come si faceva già in altri tempi con i diari di bordo. Ci sono storie di ricerca davvero molto interessanti ma non vengono quasi mai raccontate al pubblico in quando non si prevede di farlo inizialmente. Si tratta di testimonianze che alle persone piacciono molto, lo vedo nelle mostre, nei convegni. Un racconto di una spedizione in montagna è in grado di sviluppare un ottimo livello di coinvolgimento. Non possiamo limitarci a concepire la comunicazione della ricerca attraverso i paper scientifici. Rischieremmo di sprecare un enorme patrimonio informativo, che può essere messo a disposizione dell’intera società.

T4F: Nella comunicazione del cambiamento climatico attraverso la fotografia avete prodotto un risultato efficace al punto che le immagini parlano letteralmente da sole. Perché ritieni che il contributo della scienza sia così importante nel generare questo risultato?

Ventura: Il cambiamento climatico è un fenomeno estremamente complesso, di cui la montagna costituisce solo uno dei molti elementi di biodiversità che vi concorrono. Non possiamo comprendere i cambiamenti climatici se non condividiamo i dati di ricerca e monitoraggio di chi ogni giorno osserva questi fenomeni e dispone di una profonda conoscenza a riguardo. L’immagine non è soltanto il paesaggio che rappresenta, ma un racconto di biodiversità.

La biodiversità è una delle più grandi problematiche che l’umanità si ritrova ad affrontare. Si pensa sempre che i problemi ambientali siano i problemi di qualcun altro ma i recenti eventi, dalla pandemia Covid-19, alla fusione dei ghiacci, ai fenomeni meteorologici estremi, ci offrono segnali che non dovremmo trascurare.

L’economia globale e l’incapacità di slegarci dai combustibili fossili producono costantemente effetti tossici per un ecosistema di cui l’uomo in primis fa parte. La concezione esclusivamente antropocentrica nei confronti del pianeta produce effetti che tutti dovrebbero osservare, per sviluppare una coscienza critica sul poco tempo che ci rimane per agire verso una direzione più sostenibile.

I cambiamenti climatici ci sono sempre stati, ma nella storia non si ha conoscenza di effetti di variazione così repentini, violenti ed imprevedibili.

Per questo motivo, è importante acquisire la conoscenza sui cambiamenti climatici attraverso la ricerca scientifica e cercare di divulgarla in modo corretto presso il grande pubblico. Le persone devono comprendere come in natura gli ecosistemi siano tra loro strettamente collegati. Oggi è possibile farlo attraverso interfacce semplici ed intuitive, che favoriscono l’interazione e il coinvolgimento multisensoriale.

Il progetto Sulle tracce dei ghiacciai vuole accendere i riflettori sulla scienza attraverso l’avventura, l’alpinismo e le straordinarie immagini che la natura sa regalarci. L’obiettivo è rendere i dati scientifici emozionanti per le persone. L’iniziativa ha avviato un dialogo transmediale e translinguistico con la comunità scientifica. Utilizzeremo, oltre alle immagini, anche le tecnologie 3D per realizzare esperienze sempre più immediate e coinvolgenti per il pubblico.

T4F: La conoscenza sviluppata negli archivi e sulle fonti indirette consente di arrivare preparati sul campo, laddove bisogna ritrovare i punti di ripresa originali. A lavoro finito, sembra tutto semplice, ma chiunque abbia provato anche soltanto una volta a scattare la stessa foto in momenti diversi, sa benissimo di cosa stiamo parlando. Come si risale alla posizione di punto di ripresa utilizzato decine di anni fa?

Ventura: La tecnica della repeat photography attinge da varie fonti. Per ritrovare il punto di scatto utilizziamo diverse tecniche. In primo luogo, i diari dei fotografi consentono di conoscere moltissimi dettagli relativi alle spedizioni, anche in funzione di comprendere le motivazioni che hanno spinto un fotografo a portarsi in una determinata posizione. Questo aspetto è fondamentale.

La fotografia storica della montagna aveva obiettivi diversi rispetto a quella attuale ed era prevalentemente orientata verso finalità di carattere geografico. Ad esempio, offrivano supporto alla nascente cartografia o cercavano i percorsi di salita più efficienti per le nuove vie. Le straordinarie immagini panoramiche che ritroviamo negli archivi fotografici spesso nascevano con l’esigenza di ritrarre il più possibile da un determinato contesto. Era un modo di approcciarsi alla montagna completamente differente rispetto alla fotografia attuale, che assume una valenza più estetica e paesaggistica.

Se si è fortunati, come quando si consultano i lavori di un professionista scrupoloso come Vittorio Sella, il fotografo stesso riportava in cartografia il punto di scatto, che costituisce un prezioso indizio iniziale per chi oggi deve ritornarvi. In ogni caso, il fotografo attuale deve immedesimarsi nella situazione in cui agiva il fotografo storico. È necessario comprendere la logica, le finalità e i mezzi strumentali che hanno consentito di realizzare ciascuno scatto.

Attualmente la tecnologia ci aiuta in moltissimi modi. Uno strumento prezioso è costituito dalle banche dati GIS, che consentono di avere un modello tridimensionale della montagna attraverso cui simulare delle pre-visualizzazioni dei punti di ripresa. L’obiettivo di questa fase è soprattutto quella di restringere il campo delle ipotesi, arrivando in montagna con le idee molto più chiare.

È infatti necessario ottimizzare il più possibile la fase di ricerca del punto di scatto, perché il tempo nelle spedizioni è sempre estremamente limitato. Devi mettere in contro imprevisti di varia natura, oltre alle finestre di meteo sfavorevole che puntualmente si presentano, soprattutto in alcune regioni, anche durante la stagione estiva.

Un conto è lavorare sulle Alpi, dove le comunicazioni sono agevoli e le quote relativamente basse. Un conto è salire sul Karakorum o sull’Himalaya, dove non puoi davvero lasciare nulla al caso e devi sfruttare a fondo ogni minuto a tua disposizione. Tornarci è estremamente complesso ed oneroso.

In ogni caso, dopo aver simulato le condizioni più probabili, il momento decisivo arriva puntualmente sul campo, con le foto storiche alla mano, intraprendendo un lavoro di allineamento tra le creste della montagna e di quei “punti fissi” che ti consentono di risalire con precisione al punto di ripresa originale. L’esperienza aiuta molto, ma non posso negare che alla base di un fotoconfronto vi sia un lavoro particolarmente laborioso.

Realizzare un fotoconfronto richiede moltissimo lavoro in termini di preparazione, ragion per cui il numero di scatti complessivo che riusciamo ad ottenere risulta per forza di cose limitato rispetto al patrimonio archivistico che avremmo altrimenti a disposizione. Serve quindi una processo di selezione critica, per individuare gli scorci più rappresentativi, quelli che meglio di altri possono far percepire la straordinaria bellezza della natura e i segni del cambiamento climatico.

T4F: A livello tecnologico, quali sono gli approcci della repeat photography? Preferisci seguire un approccio filologico, adottando tecniche simili alle condizioni originali, o utilizzare la fotografia digitale?

Ventura: Anche in questo caso, risulta fondamentale il lavoro di ricerca. Per il progetto Sulle tracce dei ghiacciai ho lavorato cercando di utilizzare una strumentazione simile per formato rispetto a quella utilizzata per le riprese originali, con l’obiettivo di ottenere la stessa distorsione sulla pellicola.

Se utilizzassi un 24×36 otterrei un buon allineamento nella parte centrale, ma non avrei molta fortuna nelle regioni laterali. Nelle lastre di fine Ottocento ritroviamo sempre il grande formato, come il 30-40, il 20-25 o il 13-18, con focali lunghe e distorsioni ridotte.

Sulla base di una ricerca sulle lenti, sui formati e su tutte le tecnologie che venivano utilizzate a quel tempo, ho scelto di avvalermi di una strumentazione analogica, con un 4×5 pollici o un 6×9 pollici su pellicola piana.

Fotoconfronto del Ghiacciaio del Lys, sulle pendici del Monte Rosa. La lingua di ghiaccio, che nell’Ottocento scendeva nei pressi di Gressoney (AO), ha subito un’evidente amputazione, con la formazione di un effimero lago sub-glaciale. Foto storica, 1920, Umberto Monterin (credit: Famiglia Monterin); Foto contemporanea, 2019, Fabiano Ventura (Associazione Macromicro)
Fotoconfronto del Ghiacciaio del Lys, sulle pendici del Monte Rosa. La lingua di ghiaccio, che nell’Ottocento scendeva nei pressi di Gressoney (AO), ha subito un’evidente amputazione, con la formazione di un effimero lago sub-glaciale. Foto storica, 1920, Umberto Monterin (credit: Famiglia Monterin); Foto contemporanea, 2019, Fabiano Ventura (Associazione Macromicro)

T4F: Lavorare su pellicola in montagna appare piuttosto limitante per il fatto di non avere il feedback immediato, un aspetto credo rilevante quando si tratta di ottenere una condizione di analogia con un’immagine di confronto.

Ventura: Sicuramente, ma ci sono molte altre limitazioni. In montagna, come accennavamo, hai sempre pochissimo tempo per fare il tuo lavoro. Il meteo è incerto e la montagna è un ambiente oggettivamente difficile da affrontare, a cominciare dalle condizioni di luce, in cui ritrovi condizioni di estremo contrasto tra la luminosità della neve e l’oscurità delle ombre. Rispetto alla profondità del raw digitale, la pellicola ti concede pochissimo margine sull’esposizione, quindi devi ricorrere ad una serie di filtri per cercare di compensare le grosse differenze tra zone chiare e zone scure delle immagini.

Se in produzione ho scelto di impiegare una strumentazione analogica, non ho mai smesso di svolgere ricerca sulle soluzioni digitali. Nell’ambito più generico della professione le conoscevo ed ero perfettamente consapevole dei vantaggi che mi avrebbero offerto anche per i fotoconfronti. Semplicemente, per abbandonare la pellicola ci è voluto molto tempo per trovare la soluzione digitale in grado di soddisfare le condizioni di confronto con le immagini storiche.

Fino al 2020 ho lavorato sul progetto con le tecnologie analogiche, ma nell’ultima spedizione sulle Alpi, nel 2021, sono definitivamente passato al digitale, grazie alla tecnologia mirrorless della Fujifilm GSX-100s, che ha rappresentato un vero e proprio game changer in molti ambiti di produzione. Si tratta di una macchina che finalmente porta anche sul medio formato un sensore dotato di una resa in grado di soddisfare tutte le esigenze legate alla fotografia di montagna.

Il digitale consente inoltre una serie di possibilità in post-produzione che aumentano notevolmente le potenzialità del nostro lavoro, sia dal punto di vista creativo che in termini di produttività. Un discorso a parte lo meriterebbero inoltre le tecnologie di scansione.

Per il resto, la repeat photography non è soltanto una questione tecnologica, ma di etica e sensibilità critica nei confronti della base di conoscenza storica, in quanto parte quasi sempre dal restauro del reperto d’archivio. Con le tecnologie attuali potremmo rendere perfette le stampe ottenute dalle lastre originali, ma non avrebbe alcun senso, perché finiremmo soltanto per snaturare le immagini che i fotografi realizzarono a suo tempo, confrontando lo stato attuale con qualcosa che di fatto non è mai stato rappresentato in quel modo.

T4F: Il digitale consente di archiviare un’enorme quantità e varietà di dati fotografici, ma ci riporta al tempo stesso alle problematiche che riguardano quotidianamente gli archivi digitali.

Ventura: L’archiviazione dei dati digitali introduce un tema complesso, con cui la fotografia deve necessariamente confrontarsi. Per fare un esempio pratico, di recente ho provato a recuperare dei vecchi lavori su hard disk ormai dismessi. Alcuni file erano irrimediabilmente corrotti. Il problema della conservazione non riguarda soltanto i supporti analogici, ma anche i file digitali archiviati sui supporti di qualche anno fa sono ormai a rischio di deperimento.

Negli ultimi anni gli oneri generali sono decisamente aumentati. La produzione di un fotografo professionista consiste in molti Terabyte di dati, che vanno necessariamente conservati con una ridondanza geografica, sfruttando, oltre ai tradizionali NAS in locale, anche i servizi di storage in cloud. Per vari aspetti legati ai contratti professionali e alle normative vigenti è inoltre frequente avvalersi di una consulenza legale. Il digitale agevola certe fasi, rende possibili cose che prima non potevamo fare, ma ne complica inevitabilmente altre.

Grazie alle tecnologie di cui disponiamo, rispetto a qualche anno fa, oggi appare più facile acquisire una grande quantità di dati, ma questi vanno anche gestiti, archiviati in modo che siano facilmente accessibili e conservati in un’ottica di lungo periodo, con tutto ciò che ne consegue in termini di impegno.

Per quanto riguarda gli archivi storici, sta emergendo un problema oggettivo, dato dal fatto che le stampe all’albumina e ai sali d’argento stanno andando incontro ad un degrado dovuto all’età dei supporti, su cui ritroviamo gran parte del patrimonio fotografico dell’Ottocento. Restaurare tutto è certamente molto gravoso, il modo per salvare queste immagini coinvolge quindi le scansioni digitali. La dematerializzazione degli archivi coinvolgerà sempre più anche i fondi fotografici.

T4F: Sulle tracce dei ghiacciai ha comportato oltre tredici anni di lavoro. Com’è cambiato in questo periodo il modo di osservare la montagna grazie alla tecnologia?

Ventura: Ci sono state moltissime novità. Potrei farti molti esempi. In riferimento al punto di scatto, oggi possiamo facilmente georeferenziare i punti di ripresa di tutte le immagini. Il problema a cui facevamo riferimento in precedenza non si porrà più. Tra 50 o 100 anni, chi vorrà effettuare un fotoconfronto troverà nel file di quella che sarà l’immagine storica tutti i metadati relativi alla posizione, alle ottiche utilizzate e quanto gli occorre per riproporre le stesse condizioni dello scatto originale.

Ritengo che sia fondamentale un approccio open source, per consentire alla comunità di estendere i risultati di un lavoro svolto in precedenza da altri fotografi e ricercatori sul campo. Soltanto così possiamo favorire una rete di conoscenza globale nell’interesse della salvaguardia dell’ambiente.

Appena sarà definitivamente concluso, certamente renderemo disponibili pubblicamente i dati del progetto Sulle tracce dei ghiacciai, affinché altri fotografi possano continuare il lavoro che abbiamo intrapreso con tutte le informazioni necessarie.

Dal punto di vista delle tecnologie si sta diffondendo molto rapidamente il 3D, che consente di avere una visione molto più completa di un sito geografico rispetto alle semplici immagini bidimensionali.

T4F: Quali saranno le tecnologie che aiuteranno a conoscere ancora meglio i cambiamenti climatici in montagna nei prossimi anni?

Ventura: Sicuramente la fotografia aerea con i droni, la fotogrammetria 3D e la fotografia satellitare.

I droni consentono di aumentare la produttività e di arrivare in regioni dove a piedi sarebbe impensabile salire, considerando che in montagna ci sono molti punti oggettivamente pericolosi per l’uomo.

La fotografia aerea effettuata con i droni consente inoltre di utilizzare la fotogrammetria 3D. Attraverso specifici software, elaborando centinaia di immagini è possibile ottenere un modello 3D realistico del sito rilevato. Mediante questa tecnica, possiamo confrontare a livello volumetrico la variazione dei ghiacciai nel tempo, ottenendo molte più informazioni rispetto ai timelapse fotografici tradizionali.

La fotografia satellitare consente di monitorare la montagna su scala territoriale, per evidenziare la relazione tra eventi legati ai cambiamenti climatici che sarebbe molto difficile rilevare puntualmente con le stazioni sul campo.

Per questo motivo durante il progetto Sulle tracce dei ghiacciai abbiamo ritenuto molto importante collaborare con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Le loro elaborazioni sono state inoltre allestite nella mostra Earth’s Memory al Forte di Bard, dove chiunque può facilmente apprezzare la definizione dei timelapse realizzati guardando dallo spazio le più importanti montagne al mondo.

Sia i droni che i satelliti, nel contesto della fotografia, sono da considerarsi ancora tecnologie giovani. Nei prossimi anni sono certo che scopriremo ulteriormente il loro straordinario potenziale.

T4F: Come avviene già in altri ambiti, le tecnologie 3D, grazie alla loro immediatezza, possono aiutare a rendere più facilmente divulgabile i risultati della ricerca scientifica. Ritieni che il 3D possa essere utile anche alla climatologia e alla glaciologia?

Ventura: Sicuramente e abbiamo già dei progetti da questo punto di vista, proprio nella direzione di creare allestimenti sempre più coinvolgenti e interattivi. Ci sarà molta sperimentazione da fare in merito. Mi piacerebbe molto provare, grazie ai modelli tridimensionali ottenuti mediante la fotogrammetria, a realizzare degli ologrammi 3D che consentano alle persone di comprendere molti dettagli di un confronto tra le varie situazioni nel tempo, osservandoli da molteplici punti di vista. Il 3D ci offre moltissime soluzioni tecnologiche e creative per raccontare la montagna alle persone.

T4F: La tecnologia, oltre ai cambiamenti climatici, consente di testimoniare anche gli aspetti antropologici della montagna. È molto curioso vedere le foto di gruppo delle spedizioni storiche accanto a quelle attuali. Sembrano davvero mondi diversi, in cui se non fosse per la skyline della montagna, si farebbe davvero fatica a trovare delle similitudini.

Ventura: Questa osservazione mi consente di fare una riflessione importante. Grazie al progresso della tecnologia, oggi possiamo scalare con dei capi tecnici e un equipaggiamento estremamente leggero, dotato di prestazioni termiche eccezionali.

Non dobbiamo dimenticare che queste tecnologie, basate su materiali plastici, sono anch’esse il risultato di quell’economia del petrolio che tendiamo a condannare per via del suo impatto a livello climatico.

Allo stesso modo, il crescente impiego dei dati digitali ci consente di sensibilizzare le persone in merito ai cambiamenti climatici, ma al tempo stesso comporta l’esigenza di ingenti risorse informatiche, estremamente energivore.

È pertanto importante fare ognuno la propria parte, cercando di scegliere i partner e i fornitori che garantiscono una maggior sensibilità nei confronti dell’ambiente, a cominciare dall’utilizzo di energie rinnovabili. Non è sufficiente essere green a parole, è necessario adottare dimostrabili politiche di sostenibilità. Soltanto con questa sincerità i brand potranno trasmettere un messaggio corretto. I divulgatori stessi devono assumere una posizione credibile.

T4F: Dopo questa esperienza sulle montagne di tutto il mondo, quali saranno i tuoi prossimi progetti?

Ventura: Continueremo ad occuparci della divulgazione dei cambiamenti climatici, affrontando un problema che peraltro è direttamente collegato alla fusione dei ghiacci, ossia l’innalzamento globale degli oceani e il conseguente alluvionamento delle attuali aree costiere.

L’idea di base del progetto consiste nel generare un database di quelle che saranno le fotografie storiche per i confronti che i futuri studiosi potranno fare tra qualche decina di anni. Per questo stiamo selezionando una serie di punti privilegiati per l’osservazione di questo fenomeno, in particolare sui delta dei fiumi. Inizieremo in autunno con alcuni test sul delta del Po e successivamente cercheremo di lavorare in tutto il mondo, senza perdere di vista gli aspetti di biodiversità che intendiamo raccontare.

Ci sono alcune regioni, come Venezia, che da anni stanno cercando di combattere il fenomeno dell’innalzamento dell’acqua. Presto o tardi diverrà un problema globale e di difficile risoluzione, in quanto le previsioni scientifiche ci prospettano un pianeta sempre più popolato, dove le persone saranno costrette a vivere su spazi sempre più ristretti, considerando anche i fenomeni di desertificazione nelle regioni interne.

Riteniamo che la comunicazione visiva possa aiutare ad avere anche in questo caso una percezione globale del problema prima che sia troppo tardi, con l’obiettivo di sensibilizzare un’azione più sostenibile e consapevole nei confronti del mondo in cui viviamo.

Scritto da:

Francesco La Trofa

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin