Per decenni la ricerca sull'intelligenza artificiale ha coesistito nel mondo accademico e in quello industriale, ma l'equilibrio si sta spostando e l’AI (Artificial Intelligence) è diventata il campo tecnologico principale di battaglia delle Big Tech (e non solo)
Fino a dove si sta spingendo l’Intelligenza Artificiale (IA), non tanto come disciplina in sé ma come “bacino” di conoscenze e tecniche da cui nascono soluzioni tecnologiche, lo possiamo vedere ormai quotidianamente, persino nei servizi da un minuto dei telegiornali nazionali e locali. Quello che appare meno chiaro, ma comunque di facile intuizione, è il dominio dell’AI – Artificial Intelligence, per molti anni riservato al mondo accademico e della ricerca, poi caratterizzato da un equilibrio tra mondo della ricerca e mondo industriale, oggi ormai spostato sul secondo di questi due mondi (potremmo dire il Business).
Ne scrivono sulla nota rivista scientifica Science, i ricercatori Nur Ahmed e Neil C. Thompson (entrambi della Sloan School of Management, Massachusetts Institute of Technology (MIT), nonché ricercatori del Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory, MIT), insieme a Muntasir Wahed (Department of Computer Science, Virginia Tech),
«Oggi l’industria domina i tre ingredienti chiave della moderna ricerca sull’IA: potenza di calcolo, ampie serie di dati e ricercatori altamente qualificati», scrivono nel loro articolo gli scienziati. «Questo dominio degli input si sta traducendo in risultati della ricerca sull’IA. L’industria sta diventando più influente nelle pubblicazioni accademiche, nei benchmark principali e nell’identificare modalità all’avanguardia per studiare l’Intelligenza Artificiale e sviluppare soluzioni. Anche se questi investimenti dell’industria andranno a vantaggio dei consumatori, il dominio della ricerca che ne consegue dovrebbe preoccupare i responsabili politici di tutto il mondo, perché significa che le alternative pubbliche per importanti strumenti di IA potrebbero diventare sempre più scarse».
La dominanza dell’industria nella “produzione” di IA
L’industria ha da tempo un migliore accesso a grandi insiemi di dati di valore economico perché le loro operazioni producono naturalmente dati, interagendo con un gran numero di utenti e dispositivi. Ad esempio, nel 2020 gli utenti di WhatsApp hanno inviato circa 100 miliardi di messaggi al giorno. Non sorprende quindi che la maggior parte dei grandi centri dati siano di proprietà dell’industria e da essa gestiti.
La stessa fotografia appare guardando un’altra variabile, quella delle competenze e dei talenti. A titolo di esempio, i tre ricercatori, nel loro articolo, riportano alcuni dati relativi alle Università americane. Dati che mostrano che i dottori di ricerca in Informatica specializzati in IA sono destinati all’industria in un numero mai visto prima [Figura 1]. Nel 2004, solo il 21% dei dottori di ricerca in IA era destinato all’industria, ma nel 2020 lo è quasi il 70%. A titolo di confronto, questa percentuale di dottori di ricerca che entrano nell’industria è già superiore a quella di molte aree scientifiche e probabilmente presto supererà la media di tutte le aree dell’Ingegneria.
Anche molti docenti di ricerca in Informatica specializzati in IA hanno scelto di abbandonare le Università per lavorare nelle aziende private; le istituzioni accademiche iniziano così a faticare a trattenere i talenti. Questa preoccupazione non è certo limitata alle Università statunitensi.
Anche la potenza di calcolo utilizzata dall’accademia e dall’industria mostra un divario crescente. Nella classificazione delle immagini, la potenza di calcolo utilizzata dall’industria è maggiore ed è cresciuta più rapidamente di quella utilizzata dalle Università o dalle collaborazioni industria – Università [Figura 1]. Nel 2021, i modelli industriali erano in media 29 volte più grandi di quelli accademici, evidenziando la grande differenza di potenza di calcolo disponibile per i due gruppi. Non si tratta solo di una differenza di approccio, ma di una carenza di capacità di calcolo a disposizione degli accademici.
La capacità dell’industria di assumere talenti e sfruttare una maggiore potenza di calcolo deriva probabilmente dalle differenze di spesa (altro elemento non trascurabile che contribuisce al dominio dell’industria sull’Intelligenza Artificiale). Sebbene gli investimenti nell’IA siano aumentati in modo sostanziale sia nel settore pubblico che in quello privato, gli investimenti dell’industria sono maggiori e crescono più rapidamente.
Solo per fare un esempio: nel 2021, le agenzie governative statunitensi (non di Difesa) hanno stanziato 1,5 miliardi di dollari per l’IA. Nello stesso periodo la Commissione Europea ha previsto di spendere 1 miliardo di euro (1,2 miliardi di dollari). Nel 2019 la sola Alphabet ha speso 1,5 miliardi di dollari per la sua controllata DeepMind (e questa è solo una parte degli investimenti Alphabet-Google nell’IA). Nel 2021, a livello globale, la spesa privata per l’IA si stima abbia raggiunto circa 340 miliardi di dollari.
Purtroppo, il divario si nota anche guardando agli output, soprattutto alla produzione di modelli [un modello di Intelligenza Artificiale è un programma o un algoritmo che si basa sui dati di addestramento per riconoscere modelli e fare previsioni o decisioni . Più punti dati riceve un modello AI, più accurato può essere nell’analisi dei dati e nelle previsioni. I modelli di intelligenza artificiale possono basarsi, per esempio, sulla visione artificiale, sull’elaborazione del linguaggio naturale e sull’apprendimento automatico per riconoscere modelli diversi – nda].
Il dominio dell’industria sull’Intelligenza Artificiale si nota anche prendendo in considerazione sei benchmark relativi ai modelli per il riconoscimento delle immagini, l’analisi del sentiment, la modellazione del linguaggio, la segmentazione semantica, il rilevamento degli oggetti e la traduzione automatica. L’industria, da sola o in collaborazione con le Università, era in testa ai modelli nel 62% dei casi prima del 2017. Dal 2020, questa percentuale è salita al 91% e in alcuni casi arriva addirittura a sfiorare il 100% [Figura 2].
Gli impatti del dominio dell’industria sull’IA
Sebbene il crescente investimento dell’industria nell’IA abbia il potenziale per fornire benefici sostanziali alla società attraverso la commercializzazione della tecnologia, secondo i ricercatori autori del paper pubblicato si Science «la concentrazione dell’IA nell’industria è preoccupante» e non è affatto priva di rischi [leggi anche: AI Index Report 2023. Le Big Tech hanno il potere di governare l’AI – ndr]
«Le motivazioni commerciali dell’industria spingono a concentrarsi su argomenti orientati al profitto. Spesso questi incentivi producono risultati in linea con l’interesse pubblico, ma non sempre. […] Un recente lavoro empirico ha rilevato che i ricercatori di IA del settore privato tendono a specializzarsi in metodi di apprendimento approfondito “affamati di dati e ad alta intensità computazionale” e che ciò va a scapito della ricerca che coinvolge altri metodi di IA, della ricerca che considera le implicazioni sociali ed etiche dell’IA e delle applicazioni in settori come la salute. Questi interrogativi sulla traiettoria dell’IA e su chi la controlla sono importanti anche per i dibattiti sulla sostituzione del lavoro e sulla disuguaglianza indotta dall’IA. Alcuni ricercatori sono preoccupati che ci si possa trovare su una traiettoria socialmente subottimale che si concentra maggiormente sulla sostituzione del lavoro umano piuttosto che aumentarne le capacità», scrivono preoccupati i ricercatori.
Se gli accademici non hanno accesso ai sistemi di IA dell’industria o non hanno le risorse per sviluppare i propri modelli concorrenti, la loro capacità di interpretare i modelli dell’industria o di offrire alternative di interesse pubblico sarà limitata, sia perché gli accademici non sono in grado di costruire i modelli di grandi dimensioni che sembrano essere necessari per ottenere prestazioni all’avanguardia, sia perché alcune capacità utili dei sistemi di intelligenza artificiale sembrano essere “emergenti”, nel senso che i sistemi acquisiscono queste capacità solo quando particolarmente grandi.
La sfida, però, non è superabile con un rinnovato ed esteso accordo di collaborazione tra industria e accademia. Il problema è di natura politica.
«Per i responsabili politici che si occupano di questo problema, l’obiettivo non dovrebbe essere quello di far svolgere al mondo accademico una quota particolare di ricerca. L’obiettivo dovrebbe invece essere quello di garantire la presenza di capacità sufficienti per contribuire alla revisione o al monitoraggio dei modelli industriali o per produrre modelli alternativi progettati tenendo conto dell’interesse pubblico», scrivono i ricercatori.
Senza questa scelta, lo sviluppo continuo dell’IA potrebbe lasciare indietro aspetti di interesse pubblico.