Un team di scienziati dell’Università di Stanford, in California, ha sviluppato un algoritmo in grado di monitorare le colonie di pinguini in Antartide attraverso l’azione combinata di più droni, tutti autonomi e non pilotati dall’uomo.

Possono i droni, coordinati da un algoritmo che ne pianifica il percorso, essere utili ai biologi che si occupano dello studio dell’ambiente e degli animali? Parrebbe di sì. Ma procediamo con ordine.

Dall’alto sembrano tanti puntini neri, ma in realtà ciascuno di essi è un pinguino e si radunano periodicamente in massa per la nidificazione. Siamo in Antartide, dove alcuni ricercatori dell’Università di Stantford cercavano da anni il modo migliore per documentare una colonia da un milione di esemplari, appartenenti alla specie più comune di pinguini, i Pigoscelidi di Adelia.

L’idea innovativa per rilevarne la mole è nata dalla collaborazione tra il professore di aereonautica Mac Schwager e il suo allievo, il dottorando Kunal Shah. Cosa c’entra lo spazio con la biologia? Gli scienziati lo hanno spiegato in un articolo pubblicato sulla rivista Science Robotics, mostrando come sia stato possibile ottenere immagini dettagliate di circa 300mila nidificazioni nell’area di Capo Crozier – che si estende per 2 km quadrati sull’isola di Ross – e di altre 3mila sull’estremità opposta, Capo Royds.

Sistema di imaging multi-drone coordinato da un algoritmo di pianificazione del percorso

La svolta a livello tecnologico è avvenuta dopo numerosi esperimenti con droni pilotati dall’uomo, i quali concludevano il rilevamento della quantità di esemplari in due giorni. Ad abbreviare nettamente i tempi necessari alla rilevazione, arrivando a circa due ore e mezza, è stata la messa a punto di un algoritmo di pianificazione del percorso unico, che rende possibile coordinare dai due ai quattro droni completamente autonomi e non pilotati dall’uomo.

Il primo passo compiuto dai ricercatori è stato quello di spostare tutta l’attrezzatura lontano dall’area da rilevare, occupando un sito tutto roccia e ghiaccio dove sistemare, oltre alle tende dei membri della squadra, una capanna riscaldante per conservare le batterie necessarie per i droni, dal momento che l’esposizione al freddo le danneggia.

Un’ulteriore accortezza, fondamentale ai fini della riuscita delle rilevazioni, è stata quella di conservare le batterie in alto, per regolarne la temperatura. Una volta sistemato tutto, a detta del team di ricerca, basta premere un bottone e i droni, grazie all’algoritmo, fanno tutto da soli. Si tratta di un importante upgrade rispetto ai tentativi precedenti, fatti anche con elicotteri, i quali riportavano sì immagini di qualità, ma consumavano molto carburante e, soprattutto, con il loro rumore disturbavano i pinguini.

L’altro fattore importante è che si è passati a un sistema multi-drone, mentre fino a quel momento gli esploratori preferivano usarne uno solo, metodo che però richiedeva più tempo e che era soggetto a diversi problemi, come la limitata autonomia della batteria del drone, di circa 12-15 minuti.

Per arrivare allo strumento usato oggi, i ricercatori sono intervenuti, da un lato, sulle condizioni di volo e, dall’altro, sull’incremento della velocità, cercando di capire come spostare i droni nella maniera più efficiente possibile.

A contribuire al risparmio di energie e di tempo c’è anche il fatto che ciascun drone, a fine volo, rientra nello stesso spazio da cui è uscito. L’algoritmo, per come è costituito, opera attraverso diverse fasi: innanzitutto seziona in più parti l’area da supervisionare, poi assegna a ciascun drone dei punti di destinazione, ovvero delle posizioni da ricoprire.

Si tratta di un sistema che porta le macchine a muoversi in maniera parallela, senza intralciarsi e soprattutto evitando ulteriori spostamenti in zone già esplorate. In questo modo, dagli iniziali tre giorni di rilevamenti, fatti di viaggi ridondanti e “vuoti robotici”, in generale percorsi a vuoto dei droni, si è arrivati a un risultato finale ottenuto in sole due ore e mezza.

Inoltre, per assicurarsi di aver mappato l’intero territorio, l’algoritmo è stato dotato di una percentuale regolabile di sovrapposizione delle immagini: tale opzione serve, nella pratica, a evitare che rimangano escluse delle zone dalla rilevazione.

Il team di scienziati dell’Università di Stanford è riuscito a ottenere immagini dettagliate di circa 300mila nidificazioni di pinguini antartici dell’area di Capo Crozier e di altre 3mila sull’estremità opposta, Capo Royds.

Le applicazioni future del sistema di imaging multi-drone

Il professor Schwager, supervisore del team, ha definito i percorsi dell’algoritmo come “organici e simili a una ragnatela”. Una curiosa considerazione, a cui fa eco quella del suo allievo, Kunal Shah:

Quelli che fino al giorno prima erano stati solo degli scarabocchi su uno schermo, si sono trasformati, con il lavoro dell’algoritmo, in un’immagine straordinaria dei pinguini della colonia. Abbiamo potuto vedere le persone che passeggiavano attraverso le colonie e ogni singolo uccello che nidificava e che veniva da e verso l’oceano. È stato incredibile

L’impiego di tali tecnologie avanzate serve a ottenere importanti informazioni per i biologi operanti in Antartide e nel resto del mondo:

  • la quantità dei pinguini di Adelia presenti nell’area
  • il tasso di natalità all’interno della colonia
  • la densità di nidificazione

A questi dati scientifici si sono aggiunti, dunque, lo stupore e la serenità che ha generato negli scienziati la vista di tanti pinguini tutti insieme, un po’ come nel documentario di Luc Jacquet, reso noto in Italia dalla voce di Fiorello.

Come hanno reso noto gli autori del progetto, il loro sistema multi-drone potrà essere utilizzato, nei prossimi anni, anche in altri contesti, ad esempio per monitorare il traffico automobilistico o per il tracciamento degli incendi boschivi.

Per ampliare il campo di applicazione, infatti, i ricercatori stanno eseguendo alcuni test in altre zone: ad esempio, hanno fatto volare i droni su un ranch in California, per stimare la vegetazione disponibile al pascolo del bestiame. Mentre, al confine con il Nevada, il sistema è servito a rilevare la quantità di gabbiani presenti sull’isola di Paoha, al centro del lago Mono.

Scritto da:

Emanuele La Veglia

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin