Insieme a Cristina Bellomunno - avvocato esperto in Intellectual Property, IT e digital law - una riflessione di ampio respiro non solo sulla legittimità dell’intelligenza artificiale quale “inventore” al quale conferire un brevetto, ma anche «sulla funzione del sistema brevettuale come incentivo al progresso, da chiunque esso sia generato, persona fisica o sistema AI».

Che relazione esiste tra intelligenza artificiale e brevetti? Possono le tecniche che fanno capo all’ambito di studi dell’intelligenza artificiale essere considerate soggetti di diritto nell’ambito della brevettabilità di invenzioni da loro generate? [per approfondimenti sull’AI, consigliamo la lettura della nostra guida all’intelligenza artificiale che spiega cos’è, a cosa serve e quali sono gli esempi applicativi – ndr].

La risposta a tali domande non è a portata di penna. Quello che, invece, è certo è che, su tale materia, da alcuni anni, le Istituzioni e i governi di molti Paesi si stanno interrogando. Ma andiamo per gradi.

Il potere creativo dell’intelligenza artificiale

Cristina Bellomunno, avvocato esperto in IP (Intellectual Property), IT e digital law
Cristina Bellomunno, avvocato esperto in IP – Intellectual Property, IT e digital law

Partiamo da una considerazione condivisa e suffragata dai fatti e cioè che un sistema di intelligenza artificiale è in grado di creare, di inventare autonomamente.

«È un fatto che l’intelligenza artificiale abbia già scritto poesie e articoli di giornale e che abbia realizzato autonomamente dei quadri. Pensiamo al famoso caso dell’autoritratto di Rembrandt. Gli stessi studiosi delle opere del celebre pittore olandese hanno ammesso che avrebbero avuto difficoltà nel non attribuire l’autoritratto generato da un sistema AI a Rembrandt medesimo»

osserva Cristina Bellomunno, avvocato esperto in IP (Intellectual Property), IT e digital law. «E si calcola che, nei prossimi dieci-quindici anni, la maggior parte dei brevetti sarà realizzata con l’ausilio – o esclusivamente – dall’intelligenza artificiale» prosegue. E, in quest’ultimo caso, chi sarà l’inventore? E chi avrà il diritto patrimoniale sul brevetto?

Il brevetto – ci ricorda – sancisce un patto tra lo Stato e l’inventore. Nella definizione che ne dà wikipedia, è un titolo giuridico in forza del quale, al titolare, viene conferito un diritto esclusivo di sfruttamento patrimoniale dell’invenzione, in un territorio e per un periodo ben determinato.

Il diritto esclusivo è della durata di vent’anni, ma a una condizione: che l’inventore specifichi fin da subito qual è la sua idea, che la descriva nel dettaglio, in modo tale che, trascorso il periodo di tempo di legge, chiunque possa replicarla – spiega l’avvocato – entrando così a fare parte del patrimonio tecnico collettivo.

L’incentivo all’inventore, l’esclusività che gli viene conferita in virtù dell’idea originale che ha condotto all’invenzione, va, dunque, a beneficio di tutta la collettività, perché «il brevetto diventa patrimonio di tutti». E potrà costituire la base per ulteriori studi, ulteriori ricerche e brevetti. È questo il valore del brevetto.

Vediamo ora che cosa accade quando l’inventore è una macchina dotata di algoritmo AI e come si declina il rapporto tra intelligenza artificiale e brevetti.

Intelligenza artificiale e brevetti: il caso di DABUS, la macchina che inventa

In tema di intelligenza artificiale e brevetti, accade che, nel 2018, un professore di diritto all’Università del Surrey, in Inghilterra, deposita presso diversi uffici nel mondo (Inghilterra, USA, Canada, Cina, Africa, Australia e altri Paesi) due domande di brevetto per due invenzioni generate in modo autonomo dal sistema di intelligenza artificiale dal nome DABUS – Device for the Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience. A essere indicato come inventore è il sistema: “lui” ha pensato e ideato le due invenzioni:

«Si trattava, in particolare, di una domanda relativa a un raggio luminoso che consente di essere individuati al buio e di una relativa a un contenitore per alimenti a geometria frattale, capace di modificare la propria forma durante il trasporto. Ebbene, sui documenti per depositare le domande, il professore ha deciso di designare come inventore DABUS e come titolare del diritto di sfruttare economicamente il brevetto il CEO della società di reti neurali, proprietaria del sistema»

Quello che è accaduto in seguito è cronaca. Tutti gli uffici presso i quali le richieste sono state depositate, hanno rifiutato le domande di brevetto sulla base della medesima motivazione: l’inventore può essere solo una persona fisica, non una macchina.

Si tratta di una decisione conforme alla legge, commenta Bellomunno. «Allo stato attuale, in Europa e negli altri Paesi, solo una persona fisica – o più – può essere designata quale inventore e, conseguentemente, godere del titolo giuridico del brevetto. Il titolare, invece, può essere anche una persona giuridica»

E nell’illustrare i requisiti di brevettabilità, l’avvocato ritorna, in particolare, su un concetto al quale si è accennato, ovvero sulla “sufficiente descrizione”, il cui scopo è quello di mettere in grado chiunque (del settore di riferimento) – venendo a conoscenza del brevetto – di poter, in futuro, replicare l’invenzione. Requisito che prevede che, chi deposita la domanda di brevetto, specifichi in modo chiaro tutti i passaggi che hanno scandito il lavoro dell’inventore.

Nel caso di un’invenzione generata da un sistema di intelligenza artificiale – fa notare – rispondere a questo requisito è problematico: «Descrivere in maniera sufficientemente chiara quello che accade all’interno della black box non è affatto semplice. Si conoscono i dati in ingresso e i dati in uscita, ma come l’input diventi output non è sempre esplicito». Il che costituisce un altro scoglio nella concessione del brevetto a un sistema AI secondo le regole ordinarie.

La domanda da porsi, a questo punto, è se la legge, se le “regole ordinarie” siano al passo con i tempi e con l’accelerazione che l’innovazione tecnologica ha registrato negli ultimi anni.

Perché è importante rivedere l’attuale sistema brevettuale

Ma tra giugno e luglio 2021, c’è stata la svolta. L‘Ufficio brevetti del Sudafrica – tra quelli presso i quali il docente inglese aveva depositato le domande – concede uno dei due brevetti, seguito dalla Corte federale australiana, che riconosce la brevettabilità delle due invenzioni a opera del sistema di intelligenza artificiale DABUS.

Un segnale importante, indice che qualcosa sta cambiando nel considerare il rapporto tra intelligenza artificiale e brevetti, tra quella che non è una persona fisica e la sua riconosciuta capacità di inventare qualcosa che prima non c’era.

«C’è da dire che, al di là del suo esito finale, il fatto in sé – del tutto inedito – ha avuto il merito di scatenare, in questi tre anni, un dibattito sull’argomento» commenta Cristina Bellomunno. Anche l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale delle Nazioni Unite (WIPO – World Intellectual Property Organization) ha lanciato una consultazione pubblica, ricevendo oltre 250 contributi, espressi in soluzioni assolutamente diverse tra loro.

Quanto accaduto ha avviato una riflessione di ampio respiro non solo attorno alla questione se sia legittimo considerare l’intelligenza artificiale “inventore” e, dunque, se sia legittimo il trasferimento che l’inventore fa a terzi del diritto di sfruttare economicamente un brevetto. Non si tratta solo di aspetti squisitamente tecnici.

Ha lanciato una sfida. Che è quella di adeguare l’attuale sistema brevettuale alle peculiarità delle tecniche che fanno capo all’ambito di studi dell’intelligenza artificiale.

Sostenere che un’invenzione generata dall’AI non è brevettabile equivale a disincentivare l’intero settore – sostiene l’avvocato – che, inevitabilmente, investirà meno risorse nell’ideare nuovi ritrovati per mezzo di macchine.

E proteggere le invenzioni che derivano dall’intelligenza artificiale con un istituto giuridico diverso dal brevetto – ad esempio col “segreto industriale” – significa tenere fuori dal patrimonio comune la portata della tecnologia, impedendole di divenire punto di partenza, base per futuri studi, ricerche e brevetti.

La soluzione – conclude – è il brevetto. «Ma all’interno di un sistema brevettuale rivisto e corretto. Quello di cui sono certa è che ci dovrà innanzitutto essere una legge in materia. E il più possibile condivisa da tutti i Paesi. Una legge che continui a incentivare l’essere umano a pensare, a scoprire a inventare, ponendo l’intelligenza artificiale quale strumento nelle sue mani».

Una legge che non solo sciolga il nodo circa la legittimità dell’intelligenza artificiale quale “inventore” al quale conferire un brevetto, ma che, da un lato, consolidi la funzione del sistema brevettuale come incentivo al progresso – da chiunque esso sia generato, persona fisica o sistema AI – e, dall’altro, non induca l’essere umano ad abdicare dal proprio ruolo di “inventore” a favore dell’AI.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin