Dall'University of New South Wales, a Sydney, l’esortazione a non modificare le vecchie leggi sui bevetti, bensì a definire una legge specifica sulla proprietà intellettuale, atta a proteggere le invenzioni generate dall'intelligenza artificiale. «E se creare una legge su misura non sarà facile, non crearla sarà peggio. L'AI sta cambiando il modo in cui si fa la scienza e si fanno le invenzioni. Abbiamo bisogno di una legge sull’Intellectual Property adeguata allo scopo, per garantire che serva il bene pubblico».

TAKEAWAY

  • In un sistema brevettuale internazionale ormai vetusto, basato sul presupposto che gli inventori siano (sempre e solo) esseri umani, un articolo di Nature apre una finestra sul cambiamento in merito alla legittimità delle tecniche AI di essere considerate soggetti di diritto per le invenzioni da loro generate.
  • Aumentano in tutto il mondo le domande di brevetti che nominano un sistema di intelligenza artificiale come inventore. Dunque, è tempo di procedere con una serie di indagini che verifichino le invenzioni derivanti dall’AI, col fine di arrivare a modificare le leggi sull’Intellectual Property.
  • E se modificare vecchie leggi è già un traguardo, la chiave di volta è data da una distinta dottrina che protegga le invenzioni dell’AI in ogni paese e da un trattato internazionale per garantire che le leggi a livello nazionale seguano un preciso standard giuridico.

In un articolo apparso su Nature il 24 maggio 2022, dal titolo “Artificial intelligence is breaking patent law” – a cura di uno studioso di AI e di un’esperta di Intellectual Property (IP), entrambi dell’University of New South Wales di Sydney – si torna a parlare di intelligenza artificiale e diritto della proprietà intellettuale.

Sul tema ci siamo soffermati qualche tempo fa, in compagnia dell’avvocato Cristina Bellomunno, in un articolo che lanciava un interrogativo preciso, ovvero se, oggi, le tecniche di intelligenza artificiale possono essere considerate soggetti di diritto nell’ambito della brevettabilità di invenzioni da loro generate, in un mondo in cui la legge sui brevetti si basa sul presupposto che gli inventori siano esseri umani.

Interrogativo che sta divenendo sempre più incisivo e che va, ormai, coinvolgendo i tribunali di paesi come Europa, Stati Uniti, Canada, Cina, Africa e Australia, dove le domande di brevetti che nominano un sistema di intelligenza artificiale come inventore stanno via via aumentando.

«L’intelligenza artificiale viene utilizzata per supportare lo sviluppo di vaccini, la progettazione di farmaci, la scoperta di nuovi materiali, la tecnologia spaziale e in molte altre applicazioni. Solo per citare una delle tante “invenzioni” a suo nome, quella che, nel 2020, ha visto un algoritmo di apprendimento automatico aiutare i ricercatori a mettere a punto un potente antibiotico, efficace contro molti agenti patogeni. E nel giro di pochi anni, numerose altre invenzioni potrebbero coinvolgere l’AI, ponendo al sistema mondiale dei brevetti una delle sfide più grandi che abbia amai dovuto affrontare»

osservano i due ricercatori dell’Ateneo australiano. E le soluzioni ipotizzabili sono due: decidere che le invenzioni prodotte da sistemi AI non possono essere brevettate (col rischio di disincentivare la ricerca che adotta tecniche di intelligenza artificiale in quelle aree di interesse vitale per l’essere umano, come la salute e il benessere) oppure, «anziché forzare le vecchie leggi sui brevetti ad accogliere la nuova tecnologia, proporre ai governi nazionali di definire una legge su misura in materia di Intellectual Property, un’AI-IP, che protegga le invenzioni generate dall’intelligenza artificiale».

È questo il punto di svolta nel dibattito internazionale sul tema. Vediamo insieme alcuni passaggi che hanno condotto a questa nuova visione.

“La macchina che inventa” non è mai stata presa in considerazione dalla legislazione mondiale

In materia di intelligenza artificiale e diritto della proprietà intellettuale, esiste, in realtà, una falla profonda secoli di storia, apertasi ancora prima che le tecniche AI fossero sviluppate.

La riflessione alla quale invitano gli autori parte, infatti, da lontano, considerando lo Statuto veneziano sui brevetti industriali, promulgato nel 1474 dalla Repubblica di Venezia, e ritenuto espressione della prima legislazione mondiale sui brevetti; la Convenzione di Parigi del 1883 per la protezione della proprietà industriale – alla base del sistema che regola la brevettabilità internazionale – e The Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights del 1994, noto come “accordo TRIPs”, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che ha inteso, con esso, fissare uno standard internazionale per la tutela della proprietà intellettuale.

Ebbene, «le macchine in grado di inventare non sono mai state prese in considerazione da coloro che hanno redatto le prime legislazione mondiali sui brevetti». La macchina, semmai, “viene inventata”, non è, essa stessa, inventore. Questo è sempre stato il criterio alla base della legislazione.

E, tenuto conto del fatto che i trattati del 1883 e del 1994 continuano a imporre, ancora oggi, gli standard internazionali sul diritto della proprietà intellettuale, si comprende bene la portata della “sfida” alla quale già accennava l’avvocato Bellomunno nell’articolo citato e che i ricercatori dell’University of New South Wales di Sydney approfondiscono.

Intelligenza artificiale e diritto della proprietà intellettuale: le sfide al sistema dei brevetti internazionale

In materia di intelligenza artificiale e diritto della proprietà intellettuale, la prima sfida che le invenzioni generate dalle tecniche di intelligenza artificiale lanciano al vetusto “sistema brevetti” si fonda sullo spostamento del focus dall’oggetto inventato al soggetto che inventa. È quest’ultimo che diventa il protagonista, rubando un’abbondate fetta di palcoscenico al “cosa” è stato in grado di creare: l’algoritmo di machine learning dal cui lavoro è derivato il nuovo antibiotico, fa più eco del farmaco stesso.

Un’altra sfida riguarda, invece, quello che, in linea con l’accordo TRIPs, è il requisito di «attività inventiva “non ovvia” per una persona che ha una conoscenza generale comune in quello specifico campo». In sostanza:

«Se un esaminatore di brevetti conclude che l’invenzione non è ovvia per questa ipotetica persona, l’invenzione è un passo avanti verso il brevetto. Ma se l’AI diventa sempre più “qualificata e competente” rispetto a tutte le persone in possesso di una conoscenza generale comune in un dato campo, non è chiaro come un esaminatore di brevetti umano possa valutare se l’invenzione generata da un sistema di intelligenza artificiale è ovvia o meno»

A tale riguardo, la riflessione degli autori è ancora più sfidante della stessa AI, in quanto pone l’accento sul fatto che se, in futuro, tutti avessero accesso agli strumenti e alle conoscenze propri dell’ambito di studi dell’intelligenza artificiale, «il criterio di brevettabilità dell’attività inventiva “non ovvia” sarebbe quasi impossibile da raggiungere e quasi nulla sarebbe brevettabile». Che cosa fare allora?

Verso il cambiamento

In materia di intelligenza artificiale e diritto della proprietà intellettuale, come prima cosa – indicano i due ricercatori – i governi nazionali e tutti gli organismi coinvolti nella dinamica dei brevetti dovrebbero intraprendere – come, peraltro, è già avvenuto in passato relativamente allo viluppo di Internet e all’avvento delle tecnologie digitali – attività di indagini, consultando le parti interessate, ossia scienziati, ingegneri, sviluppatori AI, gruppi di difesa dei consumatori, enti per lo sviluppo e la commercializzazione del business e professionisti del diritto della proprietà intellettuale.

L’obiettivo è giungere a modificare le leggi sull’Intellectual Property. Un esempio passato, che ricalca questo stesso meccanismo – fanno notare – proviene dalle «consultazioni pubbliche del governo australiano sulla pirateria online nel periodo che va dal 2014 al 2018, che hanno portato a leggi che consentono ai tribunali di bloccare l’accesso a siti Web che violano il copyright».

Al momento, non sono pochi, nel mondo, i paesi e gli organismi che hanno già avviato indagini preliminari relative alle invenzioni generate da sistemi di intelligenza artificiale, tra cui l’Unione Europea e lWorld Intellectual Property Organization (WIPO). In seguito a tali iniziative, «i programmatori di sistemi AI possono già ottenere una certa protezione della proprietà intellettuale attraverso, ad esempio, il copyright nel codice del computer e brevetti sulla funzionalità del software che scrivono».

Intelligenza artificiale e diritto della proprietà intellettuale: leggi nazionali e un trattato internazionale sull’AI-IP

Modifiche di vecchie leggi a parte, in materia di intelligenza artificiale e diritto della proprietà intellettuale occorre una distinta dottrina che protegga le invenzioni dell’AI in ogni paese, oltre alla messa a punto di un trattato internazionale per garantire che le leggi definite a livello nazionale seguano precisi principi standard e che qualsiasi controversia possa essere risolta in modo efficiente, sottolineano i due autori. I quali specificano:

«Pensiamo che un trattato internazionale sia essenziale anche per le invenzioni generate dall’AI. Stabilirebbe principi uniformi per proteggere le invenzioni in più giurisdizioni»

Un trattato AI-IP di questo tipo dovrebbe anche contribuire a evitare sul nascere quella che è una limitazione del sistema stesso dei brevetti, i quali vengono registrati separatamente in ciascuna giurisdizione, con eventuali controversie sulla loro applicazione normalmente risolte dal sistema legale del paese di registrazione.

Il che «può comportare che i titolari di brevetti abbiano cause legali simili in molti paesi, come è accaduto ad Apple e a Samsung quando hanno trascorso ben sette anni a combattere più di 50 cause legali sul design e la funzionalità dei loro telefoni e tablet. Un sistema macchinoso e costoso, che non tutti possono permettersi di sostenere, col rischio di non riuscire a fare valere e a difendere i propri diritti, ai sensi del diritto dei brevetti».

Al contrario, un trattato internazionale AI-IP potrebbe prevedere, al suo interno, meccanismi di risoluzione delle controversie gestiti, ad esempio, da un tribunale internazionale specializzato. Un esempio di tale schema – ricordano – è il nuovo Unified Patent Court (UPC) dell’Unione Europea, che dovrebbe essere attivo nel 2023 nel vecchio Continente e in vari tribunali arbitrali in tutto il mondo.

Si tratta di un tribunale comune agli Stati membri dell’UE che hanno ratificato l’accordo – e, dunque, parte del loro sistema giudiziario – con competenza esclusiva in materia di brevetti europei e brevetti europei con effetto unitario.

L’istituzione di una legge e di un trattato internazionale sulla proprietà intellettuale dell’AI – concludono – rientrerebbe in un piano ambizioso e a lungo termine, «ma non istituirli sarebbe peggio», perché «l’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui si fa la scienza e si fanno le invenzioni. Abbiamo bisogno di un corpo legislativo sull’Intellectual Property adeguata allo scopo, per garantire che serva il bene pubblico». Questo è il fine più alto.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin