Due ricercatori USA hanno sviluppato un modello computazionale in grado di captare gli stati emotivi negli utenti connessi ai social media, creando un ponte tra tecniche di machine learning e psicologia umana.

TAKEAWAY

  • Attraverso le tecniche di machine learning e l’apporto della psicologia, oggi è possibile identificare e analizzare gli stati d’animo espressi dagli utenti sui social media.
  • Presso l’Institute for Human-Centered Artificial Intelligence di Stanford, è stato creato il più grande set di dati sull’andamento degli stati emotivi – settimana per settimana – degli utenti social.
  • Il risultato raggiunto potrebbe essere applicato su larga scala, per intervenire in situazioni di disagio psico-emotivo da parte di singoli individui e di intere popolazioni.

Tra machine learning e psicologia umana trovare un collegamento diretto è una sfida che coinvolge ogni giorno i ricercatori di molte università americane. Alcuni, in particolare, cercano di capire come, a partire dai sistemi di intelligenza artificiale, sia possibile determinare la felicità di un essere umano o, al contrario, la sua insoddisfazione.

In questa direzione si colloca l’impegno della Computational Psychology, o psicologia computazionale, nata per sviluppare modelli di machine learning molto particolari, perché basati su risultati ottenuti nel campo delle scienze sociali.

Il campo di studi in cui si muovono gli esperti di tale disciplina è la cognizione computazionale, che combina proprio machine learning e psicologia umana. L’obiettivo è quello di trovare soluzioni automatizzate che siano di supporto all’assistenza sanitaria.

A dare un apporto decisivo in questo campo è l’Human-centered Artificial Intelligence, centro istituito nel 2019 dall’Università di Stanford per prevedere l’impatto sociale dei sistemi di artificial intelligence. Il team comprende docenti appartenenti a vari dipartimenti dell’Ateneo, dando vita così a un insieme di competenze molto diverse fra loro.

In particolare, nelle ultime settimane, sono stati esaminati i comportamenti degli utenti connessi ai social media, arrivando a un modello in grado di cogliere eventuali segnali di disagio pisco-emotivo. Vediamo come.

Un modello computazionale in grado di captare gli stati d’animo degli utenti social

L’idea è partita da un ricercatore dell’Istituto, Johannes Eichstaedt, esperto in machine learning e psicologia umana il quale, insieme al collega Aaron Weidman, dell’Università del Michigan, ha trovato un modo per monitorare, di settimana in settimana, azioni e pensieri di singoli individui e poi, su larga scala, di intere popolazioni, partendo dalle loro attività in rete.

L’articolo che descrive lo studio realizzato, reso noto il 25 gennaio dall’università americana, si intitola “Tracking Fluctuations in Psychological States Using Social Media Language” e parte dagli sviluppi recenti del Natural Language Processing, lo studio di quei processi dove si incontrano informatica e linguistica.

Centrale il concetto di tracking, ovvero di “tracciare” qualcosa che all’apparenza sembra aleatorio, come appunto le sensazioni, e che diventa oggetto di indagine dal punto di vista tecnologico.

Dopo una prima fase di approfondimento, i due ricercatori hanno sviluppato un modello computazionale in grado di captare l’andamento settimanale degli stati emotivi negli utenti connessi ai social, creando un ponte tra machine learning e psicologia umana. Spiegano i due studiosi:

Crediamo che le metodologie utilizzate in psicologia possano trovare un loro complemento nelle tecnologie che fanno capo all’ambito di studi sull’intelligenza artificiale. E abbiamo riflettuto sul fatto che, sulla rete e, in particolare, sui social media, gli utenti lasciano alcune tracce inequivocabili come i “like” o i “tweet”, segnali, dati quotidiani che diventano indicativi degli stati emotivi e della personalità del singolo

Nella prassi delle tecniche AI, troviamo sempre strutture articolate composte da una serie quasi infinita di informazioni, in cui i dati formano la base necessaria per far sì che le macchine siano in grado di prevenire comportamenti e azioni future delle persone.

Su questa scia, i due scienziati hanno visto nei metodi di machine learning la via per trovare soluzioni efficaci a problemi sociali molto complessi e, nello specifico, hanno pensato a modalità nuove per indagare le evoluzioni della personalità.

La crescente frequenza con cui oggi si parla di sé attraverso i social, dà luogo a un enorme database fruibile online. Eppure la densità di informazioni che i ricercatori hanno ottenuto inizialmente era insufficiente a ricavare una stima esatta delle oscillazioni relative a brevi periodi di tempo.

A quel punto, per sbloccare la situazione, i due hanno riflettuto su come, perfino nei profili più assidui, restano ampi lassi di tempo privi di post. Queste “pause” sono state motivate nel documento come un momento di relativa infelicità o apatia dell’utente, che solitamente tende a condividere le sue esperienze con gli altri. E hanno aggiunto:

Il modello predittivo che abbiamo sviluppato si basa sull’affidabilità delle annotazioni umane. Abbiamo deciso di considerare un campione di 640 cittadini statunitensi, che abbiamo chiamato “superutenti” perché avevano pubblicato post in maniera così frequente da fare al caso della nostra ricerca

Un’ulteriore conclusione derivata dalle sperimentazioni riguarda il gender gap, essendo venute fuori differenze importanti tra i due sessi nelle loro attività in rete. Gli uomini coinvolti nella ricerca tendevano a essere più pessimisti, mentre nelle donne è stato registrato un livello più alto di sentimenti piacevoli. Un fattore che le rendeva più reattive e flessibili rispetto ai cambiamenti e alle sfide quotidiane.

machine learning e psicologia umana
Trovare un collegamento diretto tra machine learning e psicologia umana è una sfida che coinvolge i ricercatori di molte università americane. In questa direzione si colloca l’impegno della Computational Psychology – o psicologia computazionale – nata per sviluppare modelli di machine learning basati sui risultati ottenuti nel campo delle scienze sociali.

Machine learning e psicologia umana: in futuro sarà possibile comprendere la mente partendo da procedure automatizzate

Il team ha raccolto le informazioni relative agli utenti presi in esame, ottenendo un set di dati molto corposo sulle dinamiche emotive, considerando, come si è detto, un periodo di sette giorni.

Questo traguardo avrà grande peso in diversi settori perché dimostra come una raccolta dati, elaborata da un algoritmo, possa essere in grado di intuire le emozioni delle persone.

Dall’analisi dei profili virtuali si possono intravedere tanti segni di disagio e così uno stato pessimista può essere campanello d’allarme di un contesto difficile. Davanti a frasi infeliciad esempio, l’unione tra machine learning e psicologia umana potrà aiutare il personale sanitario a riconoscere eventuali situazioni di malessere.

L’elaborazione del modello potrà così essere di grande aiuto per intervenire in caso di malattie o di altre problematiche che saranno segnalate proprio dalle tracce digitali degli utenti.

“Nel corso del tempo – concludono gli scienziati – l’algoritmo potrà arrivare a produrre un video in cui rendere, attraverso immagini, le esperienze di vita e i cambiamenti di umore. Ovviamente bisognerà fare attenzione a conciliare questo discorso con le esigenze relative alla segretezza delle informazioni”.

Agendo dunque nel rispetto delle norme sulla privacy, in futuro, a partire da tali spunti, sarà possibile comprendere la mente partendo da procedure automatizzate. Un approccio di questo tipo potrebbe aiutare a diagnosticare disturbi di personalità, reazioni emotive a determinate terapie o cambiamenti improvvisi nello stile di vita, andando così ad affinare e a migliorare i processi in ambito medico e farmacologico.

La missione dello Stanford Institute for Human-Centered Artificial Intelligence è ormai da due anni quella di far progredire la diffusione dei sistemi AI al fine di migliorare la condizione umana.

L’ultima scoperta del centro, in particolare, avrà impatti positivi soprattutto in quei Paesi dove è tuttora difficile, per motivi politici o economici, ottenere una visione completa delle problematiche sociali e, di conseguenza, pensare a una risoluzione concreta e attuabile.


Riflessioni sui possibili impatti in materia di privacy

a cura di Paola Cozzi

Quello sviluppato dai due ricercatori statunitensi, è un modello in fase di sperimentazione. E questo è chiaro. Nulla di definito e di ufficializzato, dunque. Ma tutto ancora all’interno del “laboratorio”.

Tuttavia, leggendo di questo studio, delle sue finalità ma, soprattutto, degli scenari futuri ipotizzati, il pensiero – per chi, come la sottoscritta, vive in un Paese in cui è in vigore il GDPR (General Data Protection Regulation) – corre immediatamente al consenso al trattamento delle informazioni personali e a tutte le implicazioni relative alla privacy. Anche se al centro della questione ci sono i profili pubblici di utenti iscritti alle più popolari piattaforme social.

E sorgono alcune domande, che mi fa piacere condividere con i lettori. “Captare gli stati emotivi degli utenti connessi ai social media”: di quali utenti stiamo parlando? Di coloro che hanno espresso un consenso in merito? Sarà certamente così, ma dalle parole degli autori della ricerca non si evince.

Inoltre, l’obiettivo che si pone il modello predittivo messo a punto, ovvero individuare, sulla base dell’analisi degli stati emotivi espressi, eventuali “segnali di disagio” psico-emotivo, rientra in una sfera delicata, che ha a che fare con i dati relativi alla salute della persona, per i quali il quadro normativo europeo impone limiti severi e tutele specifiche.

Si tratta di temi importanti, sui quali è bene fermarsi sempre a riflettere, anche quando ci troviamo di fronte a ricerche di grande interesse sotto il profilo tecnologico e dall’indubbia bontà delle intenzioni.

Scritto da:

Emanuele La Veglia

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin