È di questi giorni la notizia - proveniente dall'Università di Ottawa - della trasformazione di molecole di anidride carbonica in carbonio solido in grado di emettere luce, aprendo così a un filone inedito di studi che - si prevede - avrà impatti interessanti sull’industria petrolifera e del gas.
TAKEAWAY
- L’anidride carbonica è tra i gas a effetto serra che maggiormente contribuiscono al riscaldamento del pianeta, con severe ripercussioni sul clima.
- Nell’ultimo decennio, c’è stato un notevole sforzo della ricerca nella direzione dello sviluppo di tecniche su nanoscala in grado di trasformare la CO2 utilizzando la luce visibile.
- E in questa stessa direzione va un recentissimo studio che, senza l’ausilio di alcun reagente chimico, ha messo a punto una metodologia per ridurre l’anidride carbonica in forme di carbonio solido capaci di emettere luce.
Nell’ultimo decennio, c’è stato un notevole sforzo della ricerca globale verso l’impiego delle nanotecnologie contro l’effetto serra, in particolare nella direzione dello sviluppo di metodologie in grado di trasformare l’anidride carbonica (CO2) utilizzando la luce visibile.
La CO2 – lo ricordiamo – rientra tra i gas a effetto serra che maggiormente contribuiscono al riscaldamento del pianeta, con severe ripercussioni sul clima. Attualmente, si calcola che la concentrazione in atmosfera dell’anidride carbonica superi del 40% il livello registrato agli inizi dell’era industriale e che questa sia responsabile del 63% del riscaldamento globale causato dall’uomo.
È dei giorni scorsi la notizia a proposito di un team di ricercatori dell’Università di Ottawa, in Canada, che, partendo proprio dalla luce visibile, ha messo a punto una tecnica per ridurre l’anidride carbonica in forme di carbonio solido capaci di emettere luce. Vediamo di che cosa si tratta.
Nanotecnologie contro l’effetto serra: lo studio dell’Università di Ottawa
Pierre Berini – responsabile della ricerca in tema di nanotecnologie contro l’effetto serra e professore presso il Dipartimento di Nanophotonics and Plasmonics dell’Università di Ottawa – e Jaspreet Walia, tra gli autori dello studio, nonché ricercatore presso la School of Electrical Engineering and Computer Science dello stesso Ateneo, spiegano di essere riusciti a ridurre l’anidride carbonica in carbonio solido. E di essere riusciti a farlo su una superficie d’argento nanostrutturata, illuminata da luce verde, e senza bisogno di reagenti chimici. Una ricerca totalmente green, insomma.
Nel dettaglio, la dissociazione viene avviata da elettroni energetici eccitati, sulla superficie d’argento, dal trasferimento di luce verde verso molecole di anidride carbonica. In questo passaggio – specifica il professor Berini – il team ha rilevato che i depositi di carbonio emettono luce gialla intensa in un processo noto come “fotoluminescenza”, che rimanda all’insieme dei processi grazie ai quali determinate sostanze assorbono, sotto l’effetto di una radiazione elettromagnetica, fotoni, per poi riemetterli esse stesse in tutte le direzioni.
La tecnica utilizzata è quella del Raman Scattering – detta anche “diffusione Raman” o “effetto Raman” – basata sulla diffusione di fotoni (“quanti di luce”). Questi, se vanno a incidere su un campione, lo attraversano senza subire modifiche oppure ne vengono assorbiti.
Una piccola parte del fascio incidente, però, viene diffusa elasticamente (ossia con la medesima frequenza) e una percentuale di luce ancora minore subisce una diffusione anelastica, cioè viene diffusa con una frequenza più alta o più bassa di quella originaria. Fa notare Pierre Berini:
“Tale tecnica è stata impiegata, in particolare, per sondare la reazione delle molecole di anidride carbonica in tempo reale, col fine di determinare quali prodotti – se ve ne fossero – si stavano formando. E con nostra sorpresa, abbiamo costantemente osservato segni di formazione di carbonio sulla superficie d’argento, oltre a luce gialla visibile emanata dal campione”
L’impatto sull’industria petrolifera e del gas (e non solo)
In materia di nanotecnologie contro l’effetto serra, la metodologia utilizzata in questo studio – osserva Jaspreet Walia – e la scoperta alla quale ha condotto, ovvero la riduzione di CO2 a carbonio solido che emette luce (riduzione guidata dalla luce visibile) saranno di sicuro interesse per quei ricercatori che lavorano alle trasformazioni chimiche guidate dalla luce solare, ai processi catalitici su scala industriale e alle metasuperfici emittenti luce.
Più specificamente, per quanto riguarda la creazione di carbonio solido direttamente dal gas CO2 – fanno notare i due scienziati – i risultati della ricerca canadese avranno un impatto sul filone che ha come oggetto le reazioni assistite da plasmone (quasiparticella risultante dalla quantizzazione delle oscillazioni di plasma) e sull’industria del petrolio e del gas, dove gli studi sulle trasformazioni catalitiche che coinvolgono composti rappresentano un’area di interesse chiave.
Inoltre, sulla scia di questa ricerca, gli studi nell’ambito delle reazioni che coinvolgono CO2 e luce potrebbero portare ad altri risultati utili, come, ad esempio, il potenziale per la fotosintesi artificiale.
Il lavoro dei ricercatori dell’Università di Ottawa sulle nanotecnologie contro l’effetto potrebbe anche essere utilizzato per il controllo e la manipolazione della luce su scala nanometrica o per realizzare sorgenti luminose piatte a causa della luce emittente. Lo stesso carbonio nanostrutturato potrebbe essere poi impiegato nella catalisi.
Infine – conclude Berini – la lunghezza d’onda della luce emessa dai punti di carbonio sulla superficie d’argento potrebbe risultare molto sensibile all’ambiente circostante, rendendola, così, una piattaforma attraente per di rilevamento di inquinanti.