Minuscole particelle semoventi paragonabili a "nanonuotatori" sono in grado di muoversi autonomamente e agilmente attraverso microscopici labirinti e materiale poroso a una velocità venti volte superiore rispetto a quella di altre particelle passive, aprendo a nuove applicazioni di nanorobotica in campo biomedico e ambientale.
TAKEAWAY
- La nanorobotica progetta robot su scala nanometrica, mentre le nanoparticelle sono, sì, iniettabili nel corpo umano, ma non sono macchine.
- Ad avvicinare nanorobotica e mondo delle nanoparticelle, un recente studio su minuscole particelle semoventi chiamate “nanonuotatori”, in grado di “nuotare” agilmente attraverso microscopici labirinti.
- Questa ricerca apre a nuove applicazioni di nanorobotica in campo biomedico e ambientale, tra cui il drug delivery in ambiente biologico denso e l’esplorazione di terreni sabbiosi e melmosi per il rilevamento e la rimozione di inquinanti.
Nanorobotica e nanoparticelle: la prima è un’area di studio che ha come oggetto la progettazione di robot su scala nanometrica, mentre la seconda rimanda a particelle formate da aggregati atomici o molecolari dal diametro compreso tra 1 e 100 namonetri. A legarle, sembrerebbero solo le dimensioni.
Eppure, sebbene la prima progetti nanodispositivi semoventi in grado di convertire l’energia in movimento (i nanorobot) e la seconda si riferisca, sì, a particelle iniettabili nel corpo umano, ma non a macchine che camminano o nuotano, nel caso della recente ricerca dell’Università del Colorado Boulder – di cui si parla in un articolo apparso su PNAS, organo ufficiale della United States National Academy of Science – le due sfere sono molto vicine. Che cosa è stato scoperto?
Che minuscole particelle semoventi chiamate “nanonuotatori” sono in grado di muoversi autonomamente e agilmente attraverso microscopici labirinti e materiale poroso a una velocità venti volte superiore rispetto a quella di altre particelle passive, aprendo ad applicazioni di nanorobotica in campo biomedico e ambientale, tra cui il drug delivery in ambiente biologico denso e l’esplorazione di terreni sabbiosi e melmosi per il rilevamento e la rimozione di inquinanti.
Relativamente alla nanorobotica e alle sue applicazioni in ambito diagnostico, ricordiamo che è proprio il movimento dei nanodispositivi all’interno dei minuscoli interstizi del corpo umano e dei tessuti biologici, nonché all’interno dei diversi tipi di fluidi, a rappresentare il nodo più critico.
Al punto che, sulla questione, è intervenuta la Commissione europea, con il progetto CELLOIDS – partito il 1° febbraio 2021, con scadenza fissata a fine gennaio 2026 – che si proporne di realizzare nanorobot capaci di muoversi autonomamente in tutti i punti del corpo umano. Ma vediamo su che cosa hanno lavorato i ricercatori dell’Ateneo statunitense.
Nanorobotica e nanoparticelle: lo studio comparativo del comportamento di particelle Giano e particelle browniane passive
In materia di nanorobotica e nanoparticelle, il team di ricerca è partito dall’osservazione del comportamento di particelle Giano catalitiche semoventi in uno spazio poroso complesso, dove l’agilità e la velocità di movimento è stata determinata da fughe e passaggi – attraverso diversi fori – da cavità a cavità adiacenti.
Le particelle Giano – dal nome dell’omonimo Dio romano bifronte – sono particelle sferiche di dimensioni nanometriche, composte da polimero o silice, progettate con diverse proprietà chimiche su ciascun lato: un emisfero favorisce il verificarsi di reazioni chimiche, ma non l’altro. Il che crea un campo chimico che consente alla particella di prendere energia dall’ambiente e convertirla in movimento direzionale, noto anche come “autopropulsione”.
Tale struttura bifronte, dalle diverse funzionalità e caratteristiche chimico-fisiche, rende queste particelle particolarmente versatili e flessibili, facendo sì che interagiscano e si organizzino in modo del tutto speciale rispetto a particelle dalla struttura uniforme.
“In biologia e negli organismi viventi, la propulsione cellulare è il meccanismo dominante, quello che provoca il movimento. Eppure, nelle applicazioni ingegneristiche viene sfruttata raramente. Il nostro lavoro, invece, suggerisce che con l’autopropulsione si possono fare molte cose” ha osservato Daniel Schwartz, professore di Ingegneria chimica e biologica all’Università del Colorado Boulder e membro del gruppo di studio.
Diversamente dalle particelle Giano, le particelle passive che si muovono casualmente (movimento noto come “moto browniano”) sono note come “particelle browniane”, dal nome del botanico scozzese del XIX secolo Robert Brown, che studiò il movimento casuale dei granelli di polline sospesi nell’acqua.
Ebbene, dopo la fase di osservazione del loro movimento attraverso uno stretto e poroso spazio labirintico, il team ha convertito queste particelle browniane passive in particelle Giano – ribattezzate “nanonuotatori” per la loro capacità di “nuotare” attraverso spazi e fluidi complessi – e ne ha studiato il comportamento all’interno dello stesso labirinto.
In tema di nanorobotica e nanoparticelle, ciò che è emerso è che le particelle Giano, rispetto alle particelle browniane passive, sono fino a venti volte più veloci ed efficaci nell’evadere le cavità all’interno di un labirinto. E questo perché si muovono strategicamente lungo le pareti alla ricerca di linee di fuga, riuscendo a trovare le uscite molto rapidamente. È l’autopropulsione a dare loro la spinta di energia necessaria a passare attraverso i molteplici fori all’interno del labirinto.
Le applicazioni di nanorobotica
“Intuivamo che questi nanonuotatori avrebbero avuto diverse applicazioni come nanorobot, in particolare all’interno di spazi molto limitati e complessi, ma non sapevamo come in realtà si muovono e quali vantaggi possiedono rispetto alle particelle che si comportano in maniera casuale. Ecco perché abbiamo impostato la ricerca sul confronto tra le due tipologie, scoprendo che le prime – in ambienti per nulla lineari e piani – sono in grado di nuotare assumendo un ‘atteggiamento di ricerca’, emergente, che imita il movimento brulicante di stormi di uccelli e di banchi di pesci”
spiega il professor Schwartz. L’osservazione del movimento 3D di queste minuscole particelle in profondità e all’interno di un materiale costituito da complessi spazi interconnessi, è stato possibile utilizzando un liquido con indice di rifrazione nel mezzo poroso, ovvero un liquido che influenza la velocità con cui la luce viaggia attraverso un materiale.
Questo ha reso il labirinto essenzialmente invisibile, consentendo l’osservazione mirata del movimento delle particelle 3D, riuscendo a tracciare le loro traiettorie tridimensionali e a creare rappresentazioni visive.
Nonostante queste particelle siano incredibilmente piccole – circa 250 nanometri, ossi appena più larghe di un capello umano (160 nanometri) ma più piccole della testa di uno spillo (1-2 millimetri) – il lavoro è scalabile, aggiunge il team. Questo significa che – in tema di nanorobotica e nanoparticelle – le particelle Giano potrebbero navigare e permeare spazi microscopici e densi come i tessuti umani per trasportare e consegnare farmaci oppure esplorare terreni sabbiosi e melmosi per il rilevamento e la rimozione di inquinanti.
Il prossimo passo in questa linea di ricerca su nanorobotica e nanoparticelle sarà capire come i nanonuotatori sono in grado di interagire tra loro in ambienti confinati e in combinazione con particelle passive, dunque con una popolazione più ampia ed eterogenea.