Il mondo del lavoro, quando parliamo di smart working, è cambiato per tutti i settori. Quali sono le possibili implicazioni legali nel futuro? Alcune riflessioni di Stefano Sutti, managing partner dello Studio Legale Sutti
Amato o odiato lo smart working è qui per restare. Solo osservando lo scenario italiano, possiamo notare come i “campioni italiani”, Eni, Enel, Leonardo, Unicredit etc.., hanno confermato che, con varie modulazioni di presenza in ufficio ed uffici più dinamici, andranno a ridurre la loro disponibilità di uffici tra il 30 e il 40%.
A questa riduzione di uffici corrisponderà, probabilmente, una rimodulazione degli spazi che verranno tenuti: più aree comuni, posti in piedi (un classico del 2019 dove si spiegava che “stare in piedi rende di più”), lavoro da uffici condivisi non di proprietà (pensiamo ai co-working) e altre soluzioni ancora tutte in discussione.
Quest’anno, per ovvi motivi sanitari, c’è stato il boom del lavoro da casa (Working From Home). Un tipo di lavoro che, se inizialmente è stato traumatico per molti (mancanza di protocolli di sicurezza, computer inadatti, banda larga da aggiornare etc…), oggi un numero sempre crescente di dipendenti dichiara di trovare positivo. È plausibile che, una volta risolta l’emergenza sanitaria, avremo una soluzione, ove applicabile, di lavoro ibrido: parte in ufficio, parte a casa (o altre locazioni). In questo Google sembra già disegnare il futuro: 3 giorni la settimana in ufficio e due fuori ufficio da dove si vuole.
È plausibile che le dinamiche finali saranno definite una volta finite le emergenze sanitarie ma vi sono degli aspetti normativi legati alle leggi in vigore che devono essere già discussi oggi.
«Quello che oggi viene comunemente definito smart working spesso non è altro che remote working: da decenni è noto come telelavoro, in cui vengono ancora largamente mantenuti orari, coordinamento in tempo reale, direzione, etc…», chiarisce Stefano Sutti, managing partner dello Studio Legale Sutti. «La pandemia in corso ha indubbiamente accelerato alcuni processi di trasformazione nel campo delle attività economiche, e ha contribuito a crearne altri la cui reversibilità non appare probabile».
Il futuro dello smart working tra aspetti legali e possibili conseguenze per lavoratori e imprese
Il mondo del lavoro, quando parliamo di smart working, è cambiato per tutti i settori, compreso il mondo legale. «È facile constatare che le nottate si sono diradate: non sono venute meno le relative esigenze, ma semplicemente perché se ancora alla fine del novecento almeno il 60-70% del lavoro richiedeva di fatto una presenza in studio oggi oltre il 95% può essere svolto altrove, e l’80% addirittura nel corso di spostamenti e trasferte, per tanto solo che sia disponibile la connettività necessaria».
Resta ora da definire cosa, di preciso, significhi lavorare in smart working (o lavoro da casa) e quali siano le implicazioni e le responsabilità civili che le aziende devono conoscere e applicare ai propri dipendenti.
«C’è difficoltà a chiarire a imprenditori e responsabili delle risorse umane tutte le implicazioni per esempio in materia di sicurezza sul lavoro e la normativa che prescrive regole e controlli al riguardo (a cominciare dalle ore passate davanti ad un terminale…). Ugualmente si pone il problema delle tradizionali limitazioni legali al controllo a distanza dei dipendenti tuttora contenute nell’art. 4 Statuto dei Lavoratori. È importante che si approfondiscano, a livello legale e normativo, temi che riguardano la produttività e l’adempimento ai doveri derivanti dal contratto, ma anche l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per evitare illeciti o responsabilità nei confronti di terzi, dai reati che possono dar luogo alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, di cui al Decreto Legislativo n. 231/2001, sino a, per esempio, proprio le norme che regolano il trattamento dei dati relativi alle persone fisiche di cui al regolamento europeo noto come GDPR».
Questi temi diventano ancora più rilevanti quando pensiamo alla delocalizzazione spaziale, oltre che temporale, rispetto a cui si riduce di importanza sia il periodo in cui le operazioni vengono compiute, sia il numero di ore effettivamente spese, o messe a disposizione dal dipendente, per completarle. Per dirla semplice se il dipendente, da casa, svolge il lavoro in metà tempo, come dovrà comportarsi l’azienda nella sua valutazione e relativi premi di produzione etc.?
Il valore dello smart working, o lavoro remoto, diviene ancora più manifesto se consideriamo lo scenario di tagli e risparmi che, plausibilmente, diventerà argomento di sopravvivenza per molte aziende nel 2021. «Con la necessità di ridurre il più possibile i costi fissi, tra cui risorse umane e assett immobiliari che sono una voce importante, le aziende rischiano di raccogliere i benefici dello smart working ma dimenticarsi, lo si dice in chiave positivista e garantista, i loro doveri”, conclude Sutti.
Esiste poi il tema della percezione dello smart working: un assett utile per l’azienda per, remotizzando i propri dipendenti, liberarli dal vincolo contrattuale e “riassumerli” come Partita Iva.
È un tema di cui ancora si parla poco tra le aziende e, per correttezza, non è legato alla discussione sulle norme e le leggi del lavoro che trattano il lavoro remoto tra dipendenti e azienda.
Resta però uno scenario di cui si dovrà discutere prossimamente. Con la necessità di tagliare i costi molte aziende potrebbero vedere lo smart working come un’iniziale opportunità di alleggerimento salvo che, nel caso di ulteriori tagli necessari, lo smart working si trasformi in una sorta di gradino di uscita dolce dalla azienda.