Lo smart working, da emergenziale, diventa condizione duratura, con conseguenze che incidono sullo stile di vita del lavoratore, da quelle di tipo organizzativo a quelle che si ripercuotono sulla sua sfera psico-emotiva. La psicologia del lavoro ne ha analizzate alcune. Vediamo quali.

Durante la fase acuta della pandemia, a causa della chiusura di uffici e aziende in seguito alle restrizioni del Governo per fermare la diffusione del virus, il numero dei lavoratori dipendenti in modalità smart working è raddoppiato, superando, solo in Italia, il milione.

Trend, questo, in continua crescita a partire dallo scorso maggio, complici i protocolli di sicurezza anti-Covid che prevedono, tra le altre misure, il distanziamento sociale tra i lavoratori, obbligando a ridurre il numero di persone contemporaneamente presenti negli uffici e, più in generale, nei luoghi di lavoro.

Il lavoro agile, dunque, da condizione emergenziale diventa condizione duratura, con molteplici conseguenze che vanno a incidere sullo stile di vita del lavoratore, a cominciare da quelle di tipo organizzativo – la definizione di un comodo “spazio domestico” che faccia da ufficio – per arrivare alle ripercussioni sulla sfera psicologica ed emotiva. Ed è in merito a questi ultimi aspetti che direttori del personale, responsabili delle Risorse Umane e, più in generale, datori di lavoro, sono chiamati a intervenire il prima possibile. Vediamo perché.

Organizzazione del lavoro: gli effetti dei cambiamenti non desiderati sulla salute dei lavoratori

“I cambiamenti nell’organizzazione del lavoro hanno effetti in maniera diretta e indiretta sulla salute dei lavoratori. E con i cambiamenti, non sempre desiderati, il mondo del lavoro dovrà fare pesantemente i conti nei prossimi mesi” avverte un gruppo di psicologi del lavoro membri di SIPLO – Società Italiana di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni.

Di quali cambiamenti “non sempre desiderati” si tratta? Del lavoro da casa, in solitudine, lontani dai colleghi, così come dei cambiamenti di mansione o della cassa integrazione per periodi più o meno lunghi. Tutte conseguenze dirette della pandemia, che possono generare nei lavoratori disorientamento, stati di ansia e preoccupazione riguardo al futuro e richiedere, da parte dell’azienda, interventi volti a prevenire condizioni di disagio protratte nel tempo e a rischio sotto il profilo della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Nel caso specifico del lavoro da casa, il senso di solitudine e di isolamento è legato all’assenza degli aspetti collettivi dell’esperienza lavorativa, alla mancanza di interazione diretta con colleghi e superiori, fatta anche di comunicazione non verbale, di motivazione, decisione, lavoro di gruppo e solidarietà professionale.

Lo smart worker comunica con l’azienda e col resto del team attraverso strumenti digitali, in un ambiente virtuale, in una realtà mediata. Il rischio dell’utilizzo, nel tempo, di tali strumenti – avvertono gli psicologi – è quello di porre al centro le attività e l’operatività, lasciando ai margini le relazioni.

Motivazione al lavoro: impossibile crearla a distanza

Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e docente di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni presso l’Università degli studi di Ancona, sottolinea, in particolare, l’importanza, per aziende e lavoratori, della motivazione al lavoro, intesa come “spinta interiore” a svolgere le proprie mansioni e a portare a termine i propri compiti con impegno. La condivisione di obiettivi, da sola, non è sufficiente: è altresì importante motivare il team a raggiungerli.

Predisposizioni caratteriali e aspetti soggettivi a parte, la motivazione al lavoro la si crea, la si sviluppa in azienda per mezzo di azioni e programmi definiti da datori di lavoro, capi del personale o responsabili delle Risorse Umane. E tra i diversi ambiti nei quali si sviluppa, c’è quello delle relazioni, direttamente legate al clima aziendale, ai rapporti con colleghi e management e alla comunicazione interna. Fa notare il professor Lavenia:

Come si fa a motivare il team e a creare il clima organizzativo a distanza, attraverso un collegamento video? Le tecnologie digitali e gli strumenti che utilizziamo per comunicare con i nostri responsabili e con i nostri colleghi, permettono di trasferire emozioni, ma non di creare sentimenti. Ed è il sentimento la radice della spinta motivazionale, da cui poi trae origine anche l’empatia, la capacità di mettersi nei panni dell’altro.

Le persone, per essere motivate – prosegue lo psicologo – hanno bisogno di stare fisicamente le une vicino alle altre, di potersi mettere nei panni degli altri, di sviluppare comportamenti empatici e solidali. E tutto questo, con la modalità di lavoro in smart working, viene meno.

Sindrome da burnout: il rischio dello smart working prolungato

Giuseppe Lavenia mette, poi, in guardia chi lavora quotidianamente in modalità smart working da alcuni rischi legati a un utilizzo non equilibrato degli strumenti tecnologi a disposizione:

Social media, email, video conference e messaggistica istantanea ci proiettano in una dimensione priva di indicatori di tempo. Utilizzandoli senza limiti, siamo come sospesi, col rischio di restare connessi oltre il normale orario di lavoro, senza un limite imposto né dall’ufficio né dalla socialità dell’ambiente, ovvero dall’osservare i colleghi attorno. Non ci sono pause imposte, non c’è nulla, insomma. E questo comportamento può ripercuotersi negativamente sulle dinamiche familiari e relazionali, per le quali non c’è più spazio, gettandoci in un isolamento esasperato.

Il rischio concreto è quello di sviluppare i sintomi tipici della sindrome da burnout, termine che, letteralmente, rimanda al concetto di “surriscaldamento”, esaurimento, condizione di stress psicofisico ed emotivo.

Relativamente ai consigli da dare a datori di lavoro, capi del personale e responsabili Risorse Umane, lo psicologo è molto chiaro: fornire, innanzitutto, ai lavoratori una sorta di vademecum su come gestire gli strumenti tecnologici, oltre a indicazioni precise sui tempi di pausa, ad esempio, una pausa di 5 minuti ogni 35 minuti di lavoro.

Si dovrebbe, poi, prevedere – conclude – un’integrazione online-offline, con sessioni di lavoro in modalità smart working e almeno una sessione alla settimana di lavoro in sede, con le dovute distanze sociali, naturalmente. Sessione in sede che dovrebbe essere occasione per lavorare sugli aspetti motivazionali del lavoro, sul clima organizzativo, sul gruppo. 

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin