HR Data Detective, Work From Home Facilitator, Human Bias Officer, Chatbot and Human Facilitator, Human-Machine Teaming Manager e VR Immersion Counselor. Sono solo alcune delle professionalità dedicate alle risorse umane che, secondo un rapporto di Harvard Business Review, emergeranno nelle imprese più evolute da qui al 2030.
L’emergenza coronavirus dovrebbe aver messo in chiaro una volta per tutte qual è e quale sarà il ruolo delle nuove tecnologie nella vita lavorativa delle persone e il ruolo della gestione delle risorse umane o Human Resources.
Piattaforme digitali, analisi dei dati e intelligenza artificiale sono e continueranno a essere strumenti al servizio delle relazioni umane che, anziché estinguersi sull’onda dell’automazione dei processi a basso valore aggiunto, si evolveranno in funzione delle trasformazioni sociali ed economiche, trovando proprio nell’innovazione un supporto per affrontare in maniera efficace le sfide che comporta il cambiamento.
Proprio come è successo durante il lockdown, quando è risultato evidente che il fulcro di qualsiasi impresa rimane la persona, e che per garantire la continuità di business bisogna prima di ogni altra cosa assicurarsi che le risorse umane possano non solo lavorare (e collaborare) in qualsiasi luogo e condizione si trovino, ma anche farlo nel migliore dei modi possibile.
Dunque anche – per non dire soprattutto – a distanza, il benessere degli individui va tutelato sotto il profilo materiale, psicologico e del delicato equilibrio che si sta venendo a formare nel rapporto tra uomo e macchina.
Funzioni HR del futuro, a cavallo di umanesimo e mondo digitale
Quest’evidenza ha stimolato ulteriormente il dibattito sui ruoli, le competenze e le priorità che caratterizzeranno nei prossimi anni la gestione delle risorse umane e la funzione HR all’interno delle imprese.
La pandemia pare infatti aver drasticamente compresso i tempi di una trasformazione che ha cominciato a muovere i primi passi relativamente da poco, e proprio sulla spinta dell’introduzione degli strumenti che consentono ai lavoratori di operare da remoto, rendendo sempre più fluidi – per non dire liquidi – i modelli di organizzazione gerarchica.
Ed è così che figure fino a pochissimo tempo fa soltanto ipotizzate sono oggi allo studio sui tavoli di chi è chiamato a disegnare i processi aziendali del post-Covid: Well Being Director, Work From Home Facilitator, Workplace Environment Architect, Human Bias Officer, Strategic HR Business Continuity Director, VR Immersion Counselor, HR Data Detective, Chatbot and Human Facilitator, Human-Machine Teaming Manager. Ma l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Quelle citate sono infatti solo alcune tra le funzioni HR futuribili messe in evidenza da un approfondimento realizzato da Harvard Business Review (di cui accanto riportiamo il grafico) e basato su uno studio congiunto di The Cognizant Center for Future of Work e Future Workplace.
Si tratta di un’indagine della durata di nove mesi condotta su un centinaio di esperti del settore con l’obiettivo di comprendere di cosa dovranno occuparsi i responsabili delle Risorse Umane da qui al 2030. Ne è emerso un quadro piuttosto esteso, che contempla una sessantina di nuove funzioni a cavallo di umanesimo e mondo digitale, da cui Harvard Business Review ha estratto le 21 posizioni più significative, ovvero i 21 HR Jobs of the future.
I ricercatori hanno messo a sistema questi profili del futuro in un diagramma cartesiano (in alto) che ha per ascissa una scansione temporale tarata sul prossimo decennio e per ordinata il grado di conoscenze e competenze tecnologiche necessario per ricoprire un determinato ruolo.
L’importanza di un ambiente di lavoro sano ed equo, anche per chi opera da remoto
Non stupisce trovare nel quadrante più interessante del grafico in alto – quello che comprende le professioni maggiormente connesse con le digital skill che si svilupperanno nel breve termine – i ruoli di Work From Home Facilitator, Workplace Environment Architect e Chatbot and Human Facilitator.
Tutte professionalità che potrebbero riportare allo Strategic HR Business Continuity Director, il quale, come suggerisce il nome, anche facendo leva sugli insight generati dai Big data analytics e sui suggerimenti forniti dalle piattaforme di Intelligenza artificiale, dovrà sviluppare di concerto con CEO, CFO, CIO e Direttore delle Facilities una visione di lungo termine per garantire la resilienza organizzativa, la continuità delle operazioni e l’equità del trattamento dei collaboratori anche in condizioni simili a quella che sta vivendo oggi l’economia globale.
In un momento in cui i data scientist scarseggiano, tuttavia, potrebbe essere l’HR Data Detective a fornire un contributo decisivo per supportare questo cambiamento, occupandosi della sintesi di flussi di dati strutturati e non (come quelli estratti da sondaggi, sistemi di gestione dell’apprendimento e portali dedicati alla gestione dei benefit) per aiutare a indirizzare le criticità.
Gestione risorse umane: sì all’approccio data-driven, ma nel rispetto della privacy e delle diversità
Allo stato attuale, con oltre l’88% dei knowledge worker che svolge le proprie mansioni da remoto, le funzioni fin qui citate, e in particolare quella del Work From Home Facilitator, dovrebbero lavorare in modo trasversale per assicurarsi non solo che i dipendenti al di fuori dell’ufficio ricevano gli stessi vantaggi di quelli che lavorano in sede, ma anche per garantire che l’approccio data-driven, su cui si fonderà il design del nuovo welfare aziendale, non sia un semplice slogan o, peggio, un’arma a doppio taglio per i dipendenti.
D’altra parte, ogni volta che una persona fa clic, inserisce un “mi piace” e scorre il feed sui propri canali di social media rivela interessi, preferenze, intenzioni e posizione a chiunque sia in grado di raccogliere questi dati, inclusi i professionisti delle risorse umane.
Ma la consapevolezza degli utenti sulla privacy e sui rischi che si corrono a condividere le proprie informazioni si sta intensificando: lo scorso anno, e quindi in tempi non sospetti, una ricerca condotta a quattro mani da Oracle e Future Workplace evidenziava infatti che molte persone cominciavano a nutrire una certa apprensione per possibili violazioni della sicurezza dei dati sensibili.
Degli oltre ottomila individui – a cavallo di responsabili delle risorse umane, recruiter e semplici lavoratori – intervistati in dieci paesi, il 71% era “a volte preoccupato” e il 38% ha affermato di essere “molto preoccupato” rispetto all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle attività di raccolta dei dati relativi al modo in cui i dipendenti lavorano e utilizzano gli strumenti aziendali. L’80% del campione ha affermato che la propria azienda dovrebbe chiedere l’autorizzazione prima di utilizzare applicazioni del genere.
Considerato che, secondo una ricerca di LinkedIn, il 67% dei responsabili delle assunzioni e dei reclutatori sostiene che l’intelligenza artificiale consente di risparmiare tempo durante la ricerca e la valutazione dei candidati, si può dire senza tema di smentita che c’è pane per i denti del cosiddetto Human Bias Officer.
Sull’onda della necessità di garantire equità di trattamento delle risorse umane, questa nuova figura dovrà quindi aiutare a mitigare i pregiudizi in tutte le funzioni aziendali garantendo che le persone siano trattate correttamente durante l’intero ciclo di vita del dipendente – dal reclutamento al licenziamento – a prescindere da qualsiasi fattore che possa determinare una forma di discriminazione.
Così si gestiranno al meglio Realtà virtuale e relazioni Uomo-Macchina
Se, per rimanere in tema, forse è prematuro parlare di Genetic Diversity Officer (tant’è che al netto di alcuni articoli accademici dedicati alle sue funzioni, il rapporto di Harvard Business Review lo pone tra i ruoli che potrebbero emergere per ultimi), il perdurare dei rischi connessi alla pandemia potrebbe ridurre invece i tempi necessari a far emergere un’altra figura fino a pochissimi anni fa ascrivibile al mondo della fantascienza: parliamo del VR Immersion Counselor. Questo professionista contribuirebbe a sprigionare il massimo potenziale dall’utilizzo della realtà virtuale applicata ai programmi di formazione e a una miriade di altri casi d’uso, tra cui attività di onboarding, coaching, reskilling e upskilling, oltre alla gestione della salute e della sicurezza in azienda.
Altre funzioni indissolubilmente legate al tema del distanziamento sociale e del lavoro da remoto sono quella dello Human-Machine Teaming Manager – un ruolo che mirerà a creare collaborazioni senza soluzione di continuità nelle relazioni tra uomo e macchina con l’obiettivo di aumentare la cooperazione piuttosto che la concorrenza tra i due mondi – e il ChatBot Coach, responsabile della creazione di un’esperienza sempre più “umana” durante le interazioni con gli assistenti virtuali alimentati dall’intelligenza artificiale.
Le Human Resources in Italia: eppur si muovono (grazie all’emergenza)
Rispetto a questa prospettiva, qual è la situazione italiana? Come prevedibile, in generale le aziende dello Stivale riscontrano un certo ritardo nell’applicazione delle nuove discipline alla gestione delle risorse umane.
Eppure, esattamente come è successo nell’ambito dei processi di digitalizzazione, l’emergenza coronavirus sembrerebbe aver dato una spinta decisiva a un capitolo che nel nostro Paese cambia con estrema lentezza.
Innanzitutto, la pandemia ha stravolto le priorità che le direzioni del personale avevano per il 2020: al primo posto ora c’è l’introduzione o il potenziamento dello Smart Working (65%), al secondo lo sviluppo di cultura e competenze digitali (45%) e al terzo la gestione di riorganizzazioni aziendali, incluse iniziative di dimensionamento della forza lavoro (43%).
L’emergenza, dunque, almeno secondo l’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, si sta rivelando un’opportunità per rivedere alcune pratiche HR, con un impatto maggiore sulle imprese che hanno già intrapreso la strada della digitalizzazione. Il 74% delle organizzazioni agili dichiara infatti un miglioramento delle attività di engagement, il 57% sulla comunicazione interna e il 51% sulle attività di formazione e sviluppo, mentre le percentuali sono in calo nelle organizzazioni tradizionali.
Tra le nuove iniziative per supportare i propri collaboratori durante l’emergenza, inoltre, le organizzazioni più evolute hanno monitorato maggiormente gli aspetti psicologici delle persone, come lo stato d’animo e il benessere (il 51% rispetto al 32% delle aziende non agili), favorendo la creazione di momenti di condivisione non necessariamente legati alle attività lavorative (54% contro 35%) e fornendo supporto psicologico (40% rispetto al 33%).
Sul piano dell’adozione degli strumenti digitali, il processo di Talent Attraction pare essere il più maturo dal punto di vista tecnologico: molte organizzazioni stanno sperimentando l’utilizzo dei social anche non professionali rispetto all’employer branding, mentre analytics e algoritmi di intelligenza artificiale si rivelano sempre più utili per la ricerca dei candidati, con soluzioni di elaborazione del linguaggio naturale e chatbot a supporto del processo di selezione e onboarding.
Nella formazione, gli esempi di pratiche innovative non mancano, ma gli investimenti concreti in Italia sono molto limitati. I sistemi di recommendation in grado di suggerire le attività formative più adatte, per esempio sono ancora pochissimi, e solo il 12% delle organizzazioni dispone di piattaforme di adaptive learning in grado di personalizzare l’esperienza formativa.
Nella gestione del percorso di carriera, il 37% del campione preso in considerazione ha introdotto iniziative per diffondere la cultura del feedback continuo, ma solo il 25% di queste nuove modalità è supportato da applicazioni ad hoc, mentre sono più diffusi sistemi di monitoraggio per il controllo delle performance (45%).
“Le HR hanno un ruolo fondamentale nel guidare la transizione dalle pratiche di gestione tradizionali a quelli agili e più in generale di costruire un nuovo rapporto tra le persone e l’organizzazione basato sulla personalizzazione, facendo leva sull’utilizzo di tecnologie digitali. In Italia, però, resta complessivamente scarsa l’adozione di strumenti digitali a supporto delle pratiche HR”
ha commentato senza mezzi termini Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio HR Innovation Practice, con una nota di speranza: “L’emergenza attuale può rappresentare una spinta di innovazione, perché le aziende stanno iniziando a sviluppare consapevolezza sull’importanza di processi Hr integrati e digitalizzati”.