La nascita della Fondazione Enea Tech, istituita dal Ministero dello Sviluppo Economico, è solo l’ultimo - importante - passo dell’Italia sulla strada dell’innovazione e della Ricerca e Sviluppo. I vantaggi di investire nel trasferimento tecnologico sono molti, anche in tema biotech e Intelligenza Artificiale.

L’Italia ha da poco investito mezzo miliardo di euro nel trasferimento tecnologico e nell’innovazione: a tanto ammontano le risorse che gestirà Enea Tech, prima fondazione italiana dedicata al trasferimento tecnologico.

L’annuncio ufficiale è giunto pochi giorni fa dal Ministero dello Sviluppo Economico. Gli obiettivi: innanzitutto, la Fondazione – istituita con il Decreto Rilancio – investirà in iniziative dedicate alla Ricerca e Sviluppo e al Technology Transfer, favorendo imprese italiane, in particolare Pmi innovative e startup, partecipando e investendo anche in spin-off universitari e centri di Ricerca e Sviluppo, promuovendo e sostenendo i processi di innovazione e trasferimento tecnologico delle piccole e medie imprese per creare imprese a elevato contenuto tecnologico. 

Investire nell’innovazione costa, ma rende tanto, in termini economici e occupazionali. Un paio di esempi di trasferimento tecnologico: il comparto dedicato dell’IIT – Istituto Italiano di Tecnologia segnala che, ad oggi, l’attività di trasferimento tecnologico ha prodotto più di  900 domande di brevetto attive,  22 startup consolidate e altrettante in fase di lancio. E la Scuola Universitaria Superiore di Pisa, negli ultimi 23 anni, conta 34 spin-off divenuti imprese attive in cui operano 180 addetti qualificati, con un fatturato complessivo di 13 milioni di euro l’anno.

Trasferimento tecnologico: cos’è e quali sono gli attori coinvolti

Per spiegare cos’è il trasferimento tecnologico non c’è una definizione canonica. Con questo termine si intende il processo che porta una conoscenza (ad esempio, tecnologia, prototipi, servizi) dal mondo della ricerca al mercato. È un processo complesso, che comprende varie fasi quali l’identificazione di nuove tecnologie e della loro applicazione industriale; la loro protezione attraverso il deposito di brevetti e altri strumenti di tutela; il trasferimento della tecnologia tramite la cessione dei diritti di sfruttamento ad aziende esistenti o la creazione di nuove imprese basate sulla stessa.

In questo processo rientrano diversi attori: gli ideatori e gli sviluppatori (centri di ricerca), le strutture dedicate al trasferimento tecnologico (Uffici al Trasferimento Tecnologico – UTT, altrimenti detti Technology Transfer Office – TTO o Industrial Liaison Office – ILO), le imprese che nascono per inserire le realtà di ricerca nel tessuto produttivo (spin-off) e chi investe nel supportare questo processo.

Trasferimento tecnologico: la situazione della Ricerca e Sviluppo in Italia

A proposito di Uffici al Trasferimento Tecnologico – UTT, da più di 10 anni in Italia è attivo il network Netval, Associazione che svolge il ruolo di ponte tra la ricerca pubblica e le imprese. Si tratta di una rete che convoglia 61 università e 10 Enti pubblici di ricerca, rappresentando più dell’a0% dei ricercatori pubblici italiani, poco più del 58% degli atenei italiani e il 92% circa degli spin-off della ricerca pubblica. Nasce per diffondere le informazioni e promuovere la cultura del trasferimento tecnologico in Italia attraverso iniziative volte a mettere in contatto gli UTT tramite incontri, corsi di formazione e partecipazione a gruppi tematici.

Tra le varie attività svolte, realizza rapporti annuali dedicati. Nell’ultimo report, presentato a settembre 2019, mette in luce gli incrementi significativi del settore, testimoniati per esempio dall’aumento di persone che lavorano negli Technology Transfer Office, dovuto “principalmente al rinnovo del bando UIBM-MISE, tramite il quale l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e numerosi Enti universitari di ricerca hanno co-finanziato in parti uguali contratti per nuove risorse da impiegare negli UTT”. È un passo importante, ma non l’unico: lo conferma il numero di brevetti concessi nel 2019, 444, per un valore medio pari a 7,8. È un aumento considerevole (+387,5%) rispetto al 2004, ma significativo (+27,9%) anche rispetto al 2016

Tuttavia c’è ancora molto da fare per fare crescere un ambito di portata potenzialmente enorme e in grado di portare benefici sia al sistema della ricerca sia al tessuto industriale. Un punto debole è l’esiguo numero di addetti agli UTT: sebbene, come detto, sia in aumento, “appare ancora insufficiente alla luce dei confronti internazionali”. Giusto per capire: in tutta Italia se ne contano 225; l’università belga KU Leuven, prima nella classifica Reuters tra i 100 atenei più innovative in Europa, a livello di ricerca dispone di 82 dipendenti, la metà dei quali dedicata al technology transfer. 

Da qui la necessità di aumentare il loro numero, dato che “se il nostro Paese dipende in modo così cruciale dal TT – come a più riprese viene dichiarato – 4,2 unità di personale per ateneo rappresentano una risposta ancora modesta”, segnala Netval, che riporta inoltre come il budget medio di tali uffici sia “piuttosto sottodimensionato rispetto alle molteplici attività da realizzare”. 

Technology transfer in Italia: le buone notizie

In questo senso, il Ministero dello Sviluppo Economico ha dato un segnale col Bando UTT, con una dotazione di 7,5 milioni di euro, utili per finanziare 91 progetti. Ma non solo: si è detto dei 500 milioni di Enea Tech, ma nello stesso disposto si parla anche di 20 milioni di euro di investimento, per l’anno in corso, per realizzare un’infrastruttura di ricerca di interesse nazionale denominata “Centro nazionale per la ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico nel campo della mobilità e dell’automotive” con sede a Torino.

Altri 10 milioni, sempre per il 2020 e 2 milioni annui a partire dal 2021, verranno stanziati quale concorso dello Stato alle spese di promozione e finanziamento di progetti di ricerca altamente innovativi in collaborazione con le imprese a cura della Fondazione Human Technopole, attraverso il “Centro per l’innovazione e il trasferimento tecnologico nel campo delle scienze della vita”, in Lombardia.

Sempre per la parte relativa ai finanziamenti, nel 2016 sono stati attivati 200 milioni di investimento, attraverso ITAtech, la prima piattaforma di investimento in Italia nata per il finanziamento dei processi di technology transfer e prima iniziativa congiunta di Cassa depositi e prestiti e del Fondo Europeo per gli Investimenti (del Gruppo BEI) dedicata all’investimento in fondi di trasferimento tecnologico. Dai primi quattro fondi in portafoglio, a fine luglio se ne è aggiunto un quinto: Eureka! Fund I, fondo di technology transferdella società di Venture Capital EUREKA! Venture SGR, focalizzato su investimenti in Advanced Materials.

Le opportunità aperte dal trasferimento tecnologico: dal biotech all’Intelligenza Artificiale

Il settore automobilistico e quello delle scienze della vita, come abbiamo visto, sono due dei campi in cui il MiSE ha puntato particolare attenzione per quanto riguarda il trasferimento tecnologico. Proprio quest’ultimo è un settore in rapida crescita: sono quasi 700 imprese (erano 517 a fine 2017), più di 13.000 addetti e oltre 12 miliardi di fatturato, secondo i dati del report 2020 Assobiotec – Enea. Non solo: gli investimenti complessivi in ricerca e sviluppo delle imprese censite ammontano a 2,3 miliardi di euro, mentre gli investimenti in R&S biotech superano i 770 milioni. Questi ultimi registrano una crescita di oltre il 7% rispetto al 2016 e del 25% rispetto al 2014.

E proprio in tema di technology transfer, si richiede la valorizzazione di questa branca scientifica e della relativa ricerca, che – auspicano alcuni attori istituzionali e non, autori di un approfondimento dedicato sul sito web di Ambrosetti – esige competenze molto specializzate, tempi estremamente lunghi e investimenti importanti, con un’alta percentuale di rischio: da qui la richiesta di creare un Transfer Lab specializzato nel biotech, con funzione di competence center specializzato, non andando a sostituire gli UTT esistenti.

Ma un punto cruciale che si lega a doppio filo con il trasferimento tecnologico è l’Artificial Intelligence. Lo ha sottolineato il Gruppo di Esperti MiSE sull’AI nelle “Proposte per una strategia italiana per l‘intelligenza artificiale”. Nel documento si legge che, rispetto ad altre tecnologie del passato, l’AI è fortemente interconnessa con la ricerca e il trasferimento tecnologico, oltre che con la produzione e la sua adozione:

Nell’AI, chi adotta la tecnologia è, quasi sempre, esso stesso il produttore dei dati necessari a condurre la ricerca e lo sviluppo. È di assoluta importanza conoscere e mappare questo ecosistema nel suo insieme, per formulare al meglio una strategia in un’ottica di smart specialisation e di politica industriale

Da qui l’auspicio della creazione di un Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale (I3A), capace, appunto, di sviluppare un sistema solido di trasferimento tecnologico. Si dovrebbe pensarlo come una struttura di ricerca e trasferimento tecnologico capace di attrarre talenti di prima classe dal mercato internazionale e, contemporaneamente, diventare un riferimento per lo sviluppo dell’AI in Italia.

Si tratta di un sistema composto da due elementi fondamentali: un Istituto vero e proprio e una struttura parallela e sinergica per il tech transfer dell’AI. Un complesso importante, come emerge dal documento: per essere competitivo a livello internazionale, dovrà essere un Istituto da 1000 persone; necessita, quindi, di un finanziamento a lungo termine di circa 80 milioni all’anno a regime. Questo consentirebbe di avere un “hub” (laboratori centrali) con 600 persone e dieci centri in connessione con le università o altri Istituti, con circa 35 persone di media ciascuno.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin