A Milano è nato un laboratorio che sonda un punto di vista differente sul rapporto tra essere umano e nuove tecnologie, scegliendo un’angolazione che non guarda ai prodigi (e al business) di queste ultime, ma ai cambiamenti che sono capaci di innescare in chi le utilizza, a cominciare dagli impatti sulla mente e sui suoi meccanismi.

Nuove tecnologie e processi cognitivi sotto la lente, per indagare l’impatto delle prime sulla mente umana e sui suoi meccanismi, attraverso una riflessione divenuta più pressante e urgente durante la pandemia.

Sono due, in particolare, i macro fenomeni direttamente correlati alle restrizioni alla mobilità e alle relazioni sociali che hanno segnato l’emergenza sanitaria da Covid – costringendo studenti e lavoratori di tutto il mondo a riorganizzare le proprie attività quotidiane – e che vedono le tecnologie protagoniste assolute: la didattica a distanza e il lavoro a distanza.

Mai vi era stata l’esigenza globale di un contatto così stretto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, con le tecnologie. Mai l’essere umano era stato così dipendente da queste nell’ambito del proprio iter scolastico e del proprio lavoro, spostando sulle piattaforme di videoconferenza e sui social networks tutta una serie di interazioni che – in fase pre-pandemica – normalmente erano vissute di persona.

Sulla scia di tale scenario è nato Humane Technology Lab (HTLAB), laboratorio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il cui scopo è investigare il rapporto tra esperienza umana e tecnologia mediante un approccio olistico e multidisciplinare. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Riva, direttore del neonato laboratorio, nonché ordinario di Psicologia generale e docente di Psicologia della comunicazione presso lo stesso Ateneo:

Mi interessa capire l’effetto che la tecnologia ha sul funzionamento della nostra mente. Ho voluto creare un laboratorio che portasse un punto di vista diverso, non necessariamente centrato sui grandi miracoli della tecnologia, ma su che cosa accade all’essere umano quando la utilizza. Il primo lavoro del Lab è stato quello di analizzare gli aspetti cognitivi del distance learning e dello smart working, chiedendoci che cosa succede nella mente dei ragazzi e degli adulti nel momento in cui passano – nelle attività didattiche e nel lavoro in ufficio – da una dimensione quotidiana ‘faccia a faccia’ a una completamente digitale

Nuove tecnologie e processi cognitivi: come distance learning e smart working agiscono sul nostro cervello

giuseppe riva psicologo
Il professor Giuseppe Riva

In tema di nuove tecnologie e processi cognitivi, i recenti risultati della ricerca neuroscientifica – spiega Riva – ci dicono che il distance learning (o apprendimento a distanza) e lo smart working hanno una ricaduta su quelli che sono i “tre pilastri” sui quali poggia l’organizzazione del nostro cervello quando è impegnato nell’apprendimento scolastico e nel lavoro in ufficio.

Pilastri che vogliono la didattica e il lavoro legati a un ambiente fisico dedicato (la classe e l’ufficio), svolti sotto la supervisione di un docente e di un superiore e distribuiti tra i compagni di classe e i membri del team. Ebbene, l’utilizzo della videoconferenza ha distrutto questi tre punti fermi, andando a incidere sugli specifici processi cognitivi ad essi correlati.

L’uso quotidiano della videoconferenza influisce sul funzionamento dei neuroni GPS, una sorta di ‘Global Positioning System biologico’ che permette al cervello di avere costantemente le coordinate spaziali del luogo in cui ci troviamo” sottolinea il professore.

Questi neuroni si attivano quando ci troviamo in determinati luoghi e hanno un ruolo centrale nella memoria autobiografica, la quale, attraverso di essi, “aggancia” l’esperienza della nostra vita quotidiana ai luoghi fisici che frequentiamo: ne deriva che “sono uno studente perché frequento le aule scolastiche” e “sono un lavoratore dipendente perché mi reco in ufficio”.

Che cosa accade quando uno studente “fa scuola” collegandosi – da casa – a una piattaforma di videoconferenza e quando un lavoratore dipendente fa riunioni, interagisce con i superiori e con i colleghi – da casa – in modalità online? Che i neuroni GPS non si attivano, ossia non agganciano le esperienze “scuola” e “ufficio” al luogo fisico della propria casa, con conseguente impatto negativo sull’identità personale e sulla motivazione e con il disagio psicologico che ne deriva.

Un altro punto critico – prosegue Riva – riguarda l’interazione con i docenti, i superiori all’interno dell’azienda e, più in generale, con le figure di riferimento, con chi ha il ruolo di guida. Interazione – questa – che passa attraverso la comunicazione non verbale, fatta di movimenti del corpo, di gestualità, di movimenti oculari che, a loro volta, attivano – nell’alunno e nel lavoratore – i neuroni specchio, per mezzo dei quali è possibile riconoscere nell’altro intenzioni ed emozioni e comprenderne le azioni, stabilendo un rapporto empatico, focale nell’efficacia della didattica e nel modo di fare leadership.

L’approccio della tecnologia trasformativa: l’esempio della realtà virtuale

Oltre a occuparsi di nuove tecnologie e processi cognitivi e a scandagliare il rapporto tra esperienza umana e tecnologie, l’obiettivo di Humane Technology Lab è anche quello – specifica il docente – di “costruire esperienze positive sfruttando il potenziale delle nuove tecnologie, nell’ottica di quella che chiamiamo ‘tecnologia trasformativa’, in grado di trasformare, di cambiare in meglio la condizione delle persone laddove queste manifestano un disagio”.

Il primo livello di intervento è seguire le indicazioni che provengono da scienze cognitive, sociologia e scienze dell’educazione, per trovare modi più efficaci di servirsi della tecnologia. Relativamente al distance learning, ad esempio, risulta più produttiva la pratica dell’apprendimento misto – o “apprendimento ibrido”, in inglese “blended learning” – caratterizzato da un mix di ambienti di apprendimento diversi, combinando il metodo tradizionale in aula con attività mediata dal computer o da sistemi mobili.

Nella prospettiva della tecnologia trasformativa, un uso proficuo delle tecnologie richiede di ripensare, di reimmaginare il modo in cui distance learning e smart working vengono svolti, trovando modi nuovi e creativi.

A tale riguardo, una possibilità viene dal potere simulativo della realtà virtuale, l’unica tecnologia in grado di attivare i neuroni GPS e di generare empatia, consentendo lo sviluppo di relazioni più autentiche attraverso le interazioni online”. In linea con tale approccio, diverse aziende hanno sviluppato piattaforme di social VR che saranno in grado di supportare l’apprendimento e il lavoro a distanza, a iniziare da Facebook Horizon, AltspaceVR, Spatial e VRChat.

Sempre in tema di realtà virtuale, Riva cita l’esempio di un’attività che il laboratorio ha organizzato durante il lockdown, inizialmente studiata per gli studenti dell’Ateneo:

Il coronavirus rappresenta una fonte di forte stress psicologico, capace di mettere a dura prova le nostre identità e le nostre relazioni. Per combattere questo stato negativo, abbiamo creato Covid Feel Good, esperienza virtuale della durata di venti minuti al giorno – da ripetere per una settimana – che simula la visita a un giardino Zen di cui l’utente è l’unico visitatore, mentre una voce narrante induce alla calma e al rilassamento. Si tratta di uno strumento che abbiamo testato, appurandone l’efficacia nel ridurre il livello di ansia e di stress dovuti all’emergenza pandemica

Nuove tecnologie e processi cognitivi: la relazione tra essere umano, robot e intelligenza artificiale

Humane Technology Lab è, al momento, impegnato su diversi ambiti di ricerca, tra cui robotica e mondo del lavoro; intelligenza artificiale e questioni giuridiche; machine learning e trasformazione dei modelli educativi; CyberPsicologia; tecnologia e ambiente.

Per quanto riguarda, nello specifico, robotica e mondo del lavoro, gli studi in tema di nuove tecnologie e processi cognitivi vertono sull’interazione tra i lavoratori e i robot collaborativi, detti cobot o co-robot, da “collaborative robot”. Osserva il direttore del Lab:

Dagli studi che abbiamo realizzato, emergono alcune problematiche nella collaborazione essere umano-cobot. La prima concerne la decisionalità: chi prende la decisione finale nello svolgimento di un dato compito? Accade spesso che le aziende incarichino di questo la macchina, perché considerata oggettiva. E questo ha come conseguenza un senso di demotivazione da parte del lavoratore, il quale tende a sentirsi meno importante del robot. Un altro problema riguarda, invece, i tempi di lavorazione: i cobot sono molto veloci, rendendo difficile l’adattamento della velocità umana alla loro, col rischio di uno stress cognitivo molto forte nella persona

Anche il rapporto con l’intelligenza artificiale non è privo di criticità. “Il problema dei sistemi AI è che prendono decisioni, ma non spiegano il perché. E questo, dal punto di vista cognitivo, causa in chi li utilizza una sorta di dicotomia interiore. Se non riesco a comprendere le decisioni della macchina, ho due possibilità: affidarmi completamente ad essa, col rischio che questa sbagli, oppure restare nello scetticismo e non utilizzarla, rinunciando a tutti i suoi possibili vantaggi”

Dunque, da un lato c’è la dimensione di delega, dall’altro la non fiducia nei confronti di una tecnologia che, da strumento di innovazione, potrebbe rivelarsi foriera di problemi. Il nodo vero – conclude Giuseppe Riva – sta in questo: qualsiasi sia la scelta tra le due opzioni, si va incontro a spinosità. E abbiamo a disposizione soltanto un meccanismo esterno – i test – per valutare l’efficacia di un algoritmo di intelligenza artificiale. Non ci è dato “entrare” nei suoi ingranaggi.

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