Nella space economy i satelliti sono uno dei settori di punta. D-Orbit startup italiana il cui fondatore e CEO è tra i finalisti dello European Inventor Award, lavora alla logistica sostenibile e circolare per recuperare e riciclare i satelliti

I satelliti artificiali rappresentano uno degli ambiti di crescita del mercato della space economy, che oggi richiede però maggiore attenzione in ottica di space circular economy.

Comunicazioni, raccolta dati, immagini, informazioni sono i benefici offerti da questi apparati radioelettrici. Su di essi convergono gli interessi di svariate attività e di numerose aziende e centri di ricerca. La conferma arriva dall’aumento di satelliti in orbita da qui ai prossimi anni. Sebbene l’economia spaziale già oggi valga 469 miliardi di dollari e sia destinata a toccare i mille miliardi di dollari nel 2040 (stima di Morgan Stanley), è nel numero di satelliti pronti a essere lanciati in orbita che si comprende quanto sia forte l’interesse verso l’economia spaziale. Nel 2019 si contavano 2272 satelliti attivi, segnala Statista: tre anni dopo si è passati a 6905. Ma è il salto atteso nei prossimi anni a essere straordinario: entro il 2030 saranno più di 60mila.

Tutto questo sviluppo, se da una parte agevola la crescita di molteplici attività e servizi, dall’altra pone seri problemi in termini gestionali. Oltre ai satelliti attivi, in orbita circolano ancora oggetti inattivi e frammenti, che vanno ad aumentare il volume dei detriti spaziali. Sull’urgenza di affrontare e risolvere la situazione l’ONU ha nominato una specifica commissione (Inter Agency Space Debris Committee).

Recuperare i satelliti a fine vita e lavorare al loro riciclo, promuovendo la space circular economy è uno degli obiettivi che si prefigge un’impresa italiana, D-Orbit, il cui fondatore e Ceo, Luca Rossettini, è stato nominato tra i finalisti dello European Inventor Award, riconoscimento dell’Ufficio europeo dei Brevetti che ha premiato in passato numerosi scienziati, inventori e personaggi come il fisico Federico Faggin (il “papà” dei microchip), l’imprenditore e inventore James Dyson e diversi premi Nobel tra cui Shuji Nakamura, inventore del Led.

Luca Rossettini, fondatore e CEO di D-Orbit
Luca Rossettini, fondatore e CEO di D-Orbit

Rossettini e il suo team hanno sviluppato un sistema autonomo per rimuovere in sicurezza satelliti a fine vita o danneggiati dall’orbita terrestre. Nel frattempo sono impegnati in diverse attività riguardanti la space economy.

Dalla space economy alla space circular economy

Space economy è definita dall’OCSE come l’intera gamma di attività e di risorse capaci di creare valore e benefici per gli esseri umani sotto forma di esplorazione, ricerca, comprensione, gestione e utilizzo dello spazio. L’attenzione rivolta allo spazio e alle opportunità generabili (dalle telecomunicazioni alle missioni lunari a quelle su Marte) rende l’economia spaziale un ambito in rapida crescita: Morgan Stanley già nel 2017 è stata tra le prime a prevedere un mercato da 1100 miliardi di dollari entro il 2040 con un tasso di crescita annuo del 5%. Questi dati sono supportati da cifre stabilite dalla Satellite Industry Association. Altri istituti finanziari e di analisi hanno previsto cifre simili, in alcuni casi anche più elevate. Di certo, il settore che sta dimostrando un forte dinamismo è quello satellitare. È grazie ai satelliti che sono garantite le telecomunicazioni, che coprono le più disparate funzioni, dal tempo libero alla ricerca scientifica.

Sul loro trasporto e recupero si gioca la vera sfida di quella che può essere chiamata logistica spaziale, campo dove opera D-Orbit, scale-up di Fino Mornasco (Como), che si sta facendo conoscere e apprezzare da tempo per la sua attività.

Space circular economy, gestire satelliti in modo sostenibile

D-Orbit ha l’obiettivo di creare un’infrastruttura logistica nello spazio, un ambito di sicuro interesse per la space economy.

«L’obiettivo di lungo termine è collegare Marte, fascia degli asteroidi, Luna e Terra contando su una rete logistica in grado di trasportare persone, oggetti e informazioni – racconta Rossettini –. Immaginare di arrivarci significa sviluppare veicoli di determinate dimensioni in grado di spostarsi con una certa intelligenza a bordo, una capacità di scambio di informazioni sul modello cloud espanso a livello di sistema solare per arrivare infine alla capacità di costruirli in orbita, non solo, come stiamo lavorando oggi, per andare a recuperarli».

Per ora si lavora ad aprire il mercato dell’in-orbit servicing, insieme di attività finalizzate a catturare, riparare, aggiornare, o rimuovere i satelliti in orbita, così da generare un filone virtuoso di economia circolare. Anzi, nel caso specifico, si parla di space circular economy.

Ma il futuro vedrà dei cantieri spaziali per realizzare tecnologie e strumenti che dovranno muoversi nello spazio. Il principio è uguale ai cantieri navali: costruire e immettere direttamente sul posto (in cielo o nell’acqua) in modo da rendere più razionale e snella la catena produttiva.

Satelliti cargo e servizi per lo sviluppo delle startup

Trasporto e logistica, servizi vari, in-orbit servicing sono le tre linee di business su cui si concentra D-Orbit.

«Nella prima siamo focalizzati alla realizzazione di “satelliti cargo” che hanno la capacità di trasportare altri satelliti a bordo – spiega il CEO –. Il veicolo si chiama ION, oggetto della nomination allo European Patent Award insieme all’altro brevetto D3 (D-Orbit Decommissioning Device), sistema di propulsione indipendente che consente una rimozione rapida e sicura di un satellite dalla sua orbita operativa alla fine della vita». Permette di aiutare gli operatori satellitari a risparmiare su tempo (l’85% dal lancio alle operazioni) e costi (anche fino al 40%). A oggi abbiamo dieci di questi cargo in orbita, un altro partirà tra un paio di settimane, abbiamo già servito più di 120 satelliti in orbita… questo ormai è un business ricorrente».

Terminata la fase di trasporto sul posto e collocazione dei satelliti, il compito del veicolo non si esaurisce: infatti, è un satellite perfettamente funzionante che si può utilizzare per altre attività e servizi. Uno di questi è fornire uno strumento di sostegno all’ecosistema della space economy.

Space circular economy - Dettaglio del sistema autonomo sviluppato da D-Orbit per rimuovere in sicurezza satelliti a fine vita o danneggiati dall'orbita terrestre [credits: D-Orbit]
Space circular economy – Dettaglio del sistema autonomo sviluppato da D-Orbit per rimuovere in sicurezza satelliti a fine vita o danneggiati dall’orbita terrestre [credits: D-Orbit]

«Il mercato spaziale è molto giovane, commercialmente parlando è nato 6/7 anni fa; è assai fragile, ma anche ricco di innovazione con numerose startup che hanno idee geniali. Queste giovanissime imprese hanno bisogno di iniezioni di capitali, in quanto per la ricerca e innovazione investono moltissimo, hanno quindi bisogno di rientrare quanto prima sulle spese e di testare la propria tecnologia in orbita il prima possibile, altrimenti non potranno essere pronte per il mercato».

Il lancio per queste società si verifica solo se dimostrano che la loro tecnologia funziona. Ciò è estremamente complicato, sia in termini di costi – diversi milioni di euro – e di tempi – richiede cinque anni –, quindi è davvero complicato emergere. Qui entra in gioco D-Orbit: ION può trasportare queste tecnologie a bordo come payload secondari per il test in orbita. Qui si concentra la seconda linea di business.

«Una volta che abbiamo scaricato i satelliti, testiamo le tecnologie per queste startup e lo facciamo in modo estremamente rapido. Anche in questo caso siamo gli unici al mondo che riescono a farlo in modo consistente: abbiamo testato più di più di 40 soluzioni tecnologiche di startup e centri di ricerca che hanno creato spin-off. Tutto questo agevola lo sviluppo tecnologico, ma mette in moto dinamiche virtuose anche per l’economia e per l’occupazione», segnala Rossettini.

Dall’intelligenza all’AI, il futuro della logistica nello spazio

Ogni cargo ha una propria intelligenza a bordo proprio perché deve lavorare il più possibile in modo automatico.

«Questa intelligenza abbiamo pensato di trasformarla in un nodo cloud, testando in orbita applicazioni di intelligenza artificiale e machine Learning. A questo proposito, va ricordato quanto svolto insieme ad Amazon Web Services. Il colosso statunitense ha annunciato di aver eseguito con successo una suite di software AWS di calcolo e machine learning su un satellite in orbita, in un esperimento spaziale unico nel suo genere. L’esperimento, condotto proprio con D-Orbit in 10 mesi in orbita terrestre bassa (LEO), è stato progettato per testare un metodo più rapido ed efficiente per i clienti per raccogliere e analizzare preziosi dati spaziali direttamente sui loro satelliti in orbita utilizzando il cloud. La terza linea di business fa riferimento alla prima, ovvero all’opportunità di gestire i satelliti, estendendo la loro vita utile, oppure spostandoli in altre parti dello spazio o, infine, rimuoverli a fine vita. A questo proposito viene impiegato D3, un “motore intelligente” – prodotto di D-Orbit e oggetto dell’altra invenzione valutata da EPO – pensato per essere nei satelliti durante il processo di produzione, capace di rimuoverli quando non servono più, andando ad affrontare e risolvere il problema dei detriti spaziali artificiali».

La soluzione è in fase di sviluppo e l’obiettivo è compiere la prima missione nel 2026, contando già oggi sulla collaborazione con clienti partner sul progetto. Lo stesso Rossettini evidenzia:

«L’Europa è fermamente convinta che questo diventerà un cavallo da battaglia, insieme al cloud computing spaziale. Anche questi nuovi brevetti che stiamo sviluppando permetteranno di completare il processo con l’obiettivo di arrivare a concretizzare il concetto di economia circolare nello spazio, non fermandosi alla rimozione dei satelliti, ma a ragionare già su come attuarne il riciclo completo, generando materia prima utile per creare nuovi satelliti».

Oggi l’intelligenza a bordo è la capacità di capire quando un satellite smette di funzionare, accorgendosi sulla base dell’invio o meno dei dati o sulla base di un comando. Non è ancora AI.

«D-Orbit sta lavorando a un livello superiore, definibile d’intelligenza artificiale, in grado di processare dati direttamente in orbita, contando sulla parte cloud. Oggi abbiamo già testato una dozzina di applicazioni di machine learning in orbita, ottenendo risultati notevoli».

Un esempio è il test svolto insieme all’Agenzia spaziale europea, che ha permesso di dimostrare la possibilità di effettuare una rilevazione delle esondazioni direttamente in orbita, senza necessità di scaricare prima le foto, analizzarle a terra e poi estrarre le informazioni utili alla Protezione civile. In futuro sarà possibile farlo, riducendo tempi (e costi) in maniera considerevole e contando sulla possibilità di avere più informazioni in maniera più rapida. Già alcune Big Tech hanno compreso le enormi potenzialità di questa opportunità, che spaziano dall’agricoltura di precisione alle previsioni meteo, e stanno già collaborando con D-Orbit.

Detriti spaziali, la principale insidia per la space circular economy

Oggi si contano 7.702 satelliti attivi in varie orbite terrestri, come segnala il sito web di monitoraggio Orbiting Now.

«Sul totale dei satelliti interi in orbita, il 30% circa è attivo, il resto può essere già considerato immondizia. La cosa peggiore non sono i satelliti interi: nel corso dei 70 anni di storia dello spazio sono avvenute esplosioni e collisioni, cosicché questi veicoli spaziali si sono frammentati, circolando con velocità anche prossime a 30mila chilometri all’ora. Essi hanno la capacità di impattare con altri satelliti, di danneggiarli o distruggerli, generando altri frammenti».

Attualmente sono monitorati da terra circa 30mila oggetti in orbita, ma in realtà si stimano in diverse centinaia di milioni di frammenti in orbita. Quindi, lo space debris è già un fattore di elevato rischio, sottolinea Rossettini.

«Per ogni satellite in orbita riceviamo ogni 24 ore un avviso di potenziale collisione. Anche se la probabilità oggi è molto bassa, nei prossimi dieci anni sarà sicuramente più alta: solo negli Stati Uniti i satelliti registrati e pronti a essere lanciati nei prossimi dieci anni sono più di 100mila. Quindi, è necessario agire oggi perché altrimenti il rischio è che il settore spaziale non abbia un futuro».

Il rischio temuto è una collisione a catena, conosciuta come sindrome di Kessler, dal nome dello scienziato della NASA che aveva teorizzato questa possibilità catastrofica già negli anni Settanta. Il problema avrebbe conseguenze pesanti per tutti:

«Oggi l’80% della tecnologia usata sulla Terra proviene o ha un legame con quella spaziale. Senza i satelliti torneremo indietro di diverse generazioni, tecnologicamente parlando».

Le sfide e il futuro della space circular economy

Avviare attività di logistica nello spazio è un’opportunità che sta seguendo tra le prime D-Orbit, ma comporta difficoltà di vario tipo.

«Partiamo dalle problematiche tecniche, più risolvibili. Una prima sfida riguarda le dimensioni dei satelliti: sono tutti differenti. Questo ha richiesto la necessità di progettare un sistema quanto più plug and play e d’impiego universale. Inoltre abbiamo lavorato per realizzare un sistema autonomo e indipendente, compatto ed estremamente performante. Ciò ha richiesto la necessità di una miniaturizzazione della tecnologia, sufficientemente intelligente per comprendere quando il satellite effettivamente deve essere rimosso e movimentato nella giusta direzione, evitando possibili collisioni. Tutto questo è stato risolto: oggi il D3 pesa meno dell’1% del satellite in orbita geostazionaria che dovrà movimentare».

C’è poi da considerare la regolamentazione. Quella attuale richiede la rimozione dei satelliti, trascorsi 25 anni. Ciò solleva due questioni: una riguarda i tempi – ormai superati – di un’età media troppo elevata; l’altra evidenzia una sostanziale mancanza di rispetto della regolamentazione, applicata solo nel 50% dei casi.

«C’è poi un’altra questione da sollevare: chi paga per i rifiuti da rimuovere? In teoria sono tutti d’accordo sulla necessità di farlo, ma in pratica è anti economico per le aziende. Un possibile punto da cui partire sarebbe tassare la rimozione del satellite in modo da non pesare esclusivamente sulla singola azienda e di generare un mercato di sistemi per rimuoverli, generando un mercato virtuoso».

Per il futuro la logistica spaziale svolgerà un ruolo di primo piano. D-Orbit punta molto su di essa, in particolare sulla nuova linea di In-orbit servicing, lavorando all’evoluzione di ION con un veicolo più grande, non solo capace di trasportare satelliti più grandi ma di andare a recuperare quelli già in orbita, utilizzando il D3 al proprio interno. L’intenzione, quindi, è coniugare entrambe le invenzioni in un unico veicolo spaziale.

«Siamo abbastanza avanzati con lo sviluppo di questo progetto e lavoriamo in partnership con sia con agenzie spaziali che con clienti commerciali, quindi, un ottimo presupposto perché ci sono tutti gli attori attorno al tavolo. Poi c’è la parte dello space cloud, un’altra applicazione su cui stiamo scommettendo molto», conclude Rossettini.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin