Non ha senso affrontare il tema dell’innovazione tecnologica senza metterlo in relazione all’essere umano, agli impatti che tale innovazione può produrre sulle persone, sulle aziende, sulle economie, sulle società… anche quando si parla di intelligenza artificiale e Blockchain. Ne abbiamo discusso insieme a Massimo Chiriatti, CTO Blockchain & Digital Currencies presso IBM, tecnologo, collabora con Università e consorzi per eventi di formazione sull'economia digitale
“Preferisco sempre parlare di tecnologia in relazione all’essere umano, non riesco a separare le due cose perché credo che solo una visione congiunta ci possa davvero far comprendere i trend evolutivi”.
Esordisce così Massimo Chiriatti, CTO Blockchain & Digital Currencies presso IBM, impegnato con diverse Università e consorzi per eventi di formazione sull’economia digitale, al quale abbiamo voluto rivolgere alcune domande sul ruolo delle tecnologie, e la velocità con la quale arrivano nelle nostre vite, rispetto al nostro futuro come esseri umani.
Guardando lo scenario attuale che stiamo vivendo mettendo in relazione tecnologia ed essere umano, notiamo che ci sono, in questo quadro, tre differenti velocità di cambiamento:
- la velocità di cambiamento della tecnologia (che raddoppia le proprie capacità ogni 18 mesi);
- il relativo cambiamento economico (all’accelerazione della tecnologia corrisponde il dimezzamento del suo costo per arrivare al grande pubblico) [la legge di Moore può essere letta sia dalla prospettiva tecnologica sia da quella economica – nda];
- la velocità del cambiamento culturale, ossia dell’adattamento dell’uomo rispetto all’innovazione tecnologica che viene introdotta nel mercato e nella società (velocità molto più lenta rispetto alle altre due).
“La velocità di cambiamento biologico è poi ancora più lenta dell’adattamento culturale”, osserva Chiriatti. “Le diseguaglianze che si stanno creando (sia a livello macro tra Stati, Geografie, mercati e società; sia a livello micro tra esseri umani) nascono a causa di queste diverse velocità di cambiamento che rendono disomogenea la capacità di adattamento”.
Investire in formazione perché crea opportunità e ritorni
La paura latente della perdita del lavoro, a causa di robot e sistemi basati su intelligenza artificiale, va correlata non tanto all’arrivo di nuove tecnologie quanto alla tipologia di lavoro stessa: “ci sono lavori ripetitivi, sia manuali che cognitivi, che indubbiamente verranno svolti solo dalle macchine perché molto più veloci, efficienti e precise degli esseri umani – sottolinea Chiriatti – ma questa potrebbe essere una grandissima opportunità per consentire a noi esseri umani di fare lavori non ripetitivi, quelli che chiedono una personalizzazione e che richiedono le straordinarie capacità creative e comunicative umane”.
Ci sono attività “prevedibili” (perché ripetitive, spesso anche faticose e persino pericolose) che sono facilmente codificabili (tradotte in codice affinché possano essere svolte da una macchina); ci sono invece moltissime attività – dense di comunicazione (non solo verbale) – le cui prestazioni dipendono da abilità degli esseri umani che le macchine non possono replicare o emulare.
Le macchine sono perfette nelle transazioni ma non nelle relazioni; la discriminante sarà quindi questa, transazioni verso relazioni. “Se è vero che alcune attività saranno completamente svolte da sistemi tecnologici automatizzati – puntualizza Chiriatti – è altrettanto vero che moltissime professioni non spariranno, magari troveranno beneficio dalle macchine ma queste non sostituiranno l’essere umano; non solo, nasceranno anche nuove figure professionali, nuove competenze e saranno richiesti nuovi talenti. Secondo me è su questo che dobbiamo concentrarci oggi, altrimenti rischiamo di ampliare quello che già iniziamo a vedere in termini di gap di competenze richieste rispetto a quelle realmente disponibili”.
L’impatto delle tecnologie emergenti, in particolare robotica e intelligenza artificiale, sul mondo del lavoro è innegabile ed è quindi importante pensare oggi a come gestire al meglio tale impatto; tuttavia, nella visione di Chiriatti, “sarebbe meglio investire in educazione e formazione anziché pensare a nuove tassazioni (tipo la tassa sui robot) o ad una distribuzione di un reddito di base. “L’investimento in formazione crea opportunità ed occupazione, cosa che non fa il reddito di base. Investire significa avere un ritorno di cui tutti potranno beneficiare in termini di benessere e ricchezza per il Paese. La redistribuzione del reddito è un tema importante, ma credo che prima si debba investire nel cambiamento culturale, per fare in modo che quella terza velocità di cambiamento si possa allineare a quella dell’innovazione tecnologica”.
“Il nostro progresso come esseri umani lo abbiamo sempre avuto quando siamo riusciti a liberarci di lavori faticosi, pericolosi, ripetitivi… per dedicarci ad altro che ci ha fatto crescere come persone, come economie, come società”, invita a riflettere Chiriatti. “Dobbiamo investire adesso nel cambiamento culturale; attendere è pericoloso perché la crescita esponenziale delle tecnologie renderà ingestibile in futuro tale adeguamento”.
L’Europa “vince” per la sua attenzione ai cittadini
Proseguendo su questa analisi, nel dubbio che la sovranità nazionale dei singoli Stati possa essere “debole” e poco attenta a tali richiami (di investimenti e impegno al cambio culturale), chiediamo allora a Chiriatti: “Qual è il ruolo politico e sociale dei Governi sovranazionali nello stimolare e supportare investimenti in questa direzione? Può l’Europa avere un ‘peso’ di fronte a USA e Cina che, soprattutto sul fronte dell’intelligenza artificiale, battagliano per la supremazia tecnologica?”.
“Io tendo ad avere una visione positiva su questi aspetti – risponde Chiriatti -. La cultura americana è ‘market driven’, è una società capitalistica che ha nel libero mercato il suo potere; la cultura cinese pone il potere nelle mani dello Stato, è quindi una cultura ‘state driven’. A mio parere in Europa siamo fortunati (io sono contento di essere europeo): in Europa non siamo guidati dalle logiche di business delle aziende, non siamo nemmeno ‘telecomandati’ dallo Stato; l’Europa ha una cultura ‘citizen driven’ (così come i suoi Stati membri), il suo valore sta nei cittadini che vanno protetti e tutelati. Io sono convinto che nel lungo periodo, questa cultura sarà premiante anche rispetto al business: anche le aziende, in futuro, si differenzieranno per il valore umano, per come utilizzeranno, anche in senso etico, le tecnologie”.
Il valore dell’uomo sta comunque emergendo anche di fronte all’utilizzo delle tecnologie emergenti (sistemi e tecniche di intelligenza artificiale in primis): “perché queste tecnologie possano davvero produrre un valore in azienda, devono essere pervasive ed utilizzate dalle persone”, fa notare Chiriatti, “con una attenzione particolare all’utilizzo dei dati e alla tutela delle persone. Io sono convinto che il modello europeo, che punta proprio ad una governance del progresso tecnologico che tiene conto dell’Uomo (inteso come esseri umani), sia quello vincente e credo anche che sarà preso a modello da altri Stati (come già sta avvenendo, per esempio, con il GDPR)”.
Intelligenza artificiale, sempre più verso sistemi autonomi… ma con la valutazione finale dell’uomo
Arriviamo dunque a parlare del tema caldo del momento, l’intelligenza artificiale. Con un po’ di poesia Chiriatti ci dice che “l’AI – Artificial Intelligence è una disciplina che ci aiuta a studiare le orme del passato per suggerirci i passi del futuro”, ma ci riporta subito con i piedi per terra con un piccolo monito: “oggi si parla tantissimo e ormai quotidianamente di intelligenza artificiale; proprio perché il tema è arrivato al grande pubblico dobbiamo far capire in modo chiaro a che punto del progresso tecnologico ci troviamo”.
Ciò che sta avvenendo ora è lo spostamento dalle cosiddette macchine automatiche a quelle autonome, “non c’è nulla di cui avere paura ma non si può nemmeno banalizzare questa evoluzione”, fa sapere Chiriatti. “Le macchine automatiche funzionano sulla base di regole che sono state definite e scritte da esseri umani (la classica programmazione informatica). La spiegabilità del risultato raggiunto dalla macchina è semplice, è evidente che il risultato dipende dalle regole imposte al sistema. I sistemi autonomi, invece, funzionano in modo completamente differente: sono le macchine che, osservando la realtà, deducono (attraverso diverse tecniche di intelligenza artificiale) le regole attraverso le quali compiere una attività, svolgere un compito, raggiungere un risultato”.
L’avanzamento dei sistemi autonomi pone non pochi interrogativi sull’evoluzione dell’intelligenza artificiale in sé. “Le macchine non hanno una ‘intelligenza’ nel senso umano del termine – fa presente Chiriatti – non sono in grado di comprendere il contesto e, nel caso dei sistemi autonomi, definiscono regole e giungono a risultati che, spesso, non sono comprensibili all’essere umano, nel senso che non siamo in grado di capire in che modo il sistema è giunto ad una determinata conclusione o decisione”.
Il risultato di una attività svolta da un sistema basato su tecniche di intelligenza artificiale non dovrebbe essere una sentenza ma un “parere” che deve essere valutato e giudicato, in ultima analisi, da un essere umano. “Il giudizio umano deve sempre essere complementare al risultato algoritmico”, fa presente Chiriatti.
“Le macchine non apprendono per concetti come fa la nostra mente umana, ma apprendono in modo matematico – spiega Chiriatti -. Apprendendo in questo modo, non possono spiegare come arrivano ai risultati. Il potentissimo GPT-3 [modello di linguaggio autoregressivo che utilizza l’apprendimento profondo per produrre testo simile a quello umano, creato da OpenAI, un laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale con sede a San Francisco – nda] comprende il linguaggio e la scrittura umana in modo efficacissimo sintatticamente, ma non semanticamente, non capisce il significato, il contesto, il feeling e le sensazioni che sono, per noi esseri umani, strettamente connessi alle parole e al senso delle frasi. I sistemi basati su intelligenza artificiale, oggi, funzionano molto bene quando restringiamo il contesto ed il campo di applicazione… e qui possiamo allora chiederci se questa sia intelligenza”.
Tecnologia Blockchain, l’inverno sta arrivando?
Massimo Chiriatti si occupa di Blockchain da tantissimi anni, la sua curiosità lo ha spinto ad entrare, sin dal 2010, nelle community che hanno preso vita attorno a questa tecnologia sin dagli albori (all’inizio prevalentemente sul tema cryptocurrency). Non potevamo quindi chiudere questa interessante intervista senza affrontare il tema, chiedendogli come mai, dopo anni di grande risonanza mediatica, la Blockchain sembra oggi vivere il “suo inverno” (per lo meno dal punto di vista dell’attenzione mediatica).
“Nell’ambito della Blockchain enterprise, i progetti che, in generale a livello globale, ho visto fallire – ed hanno portato a questo ‘inverno’ – sono quelli partiti dall’aspetto tecnologico”, risponde Chiriatti. “La Blockchain deve essere considerata per la sua valenza di business, prima ancora che per la sua potenza tecnologica. Se la Blockchain sta alla base di una business network che intende monitorare degli asset, la tecnologia in sé produce solo il suo naturale valore tecnico ma non risolve alcuna delle ‘questioni’ che stanno alla base della business network, in senso economico ed in senso politico, ossia di governance”.
Prima di avviare una qualsiasi rete basata su Blockchain, infatti, è necessario definire le relazioni, i consensi, i business problem comuni, le regole di ingresso e uscita, le policy di gestione, le politiche di cooperazione, ecc. “Questi sono i problemi da risolvere ben prima di avviare un progetto tecnologico; risolti questi, la creazione di una Blockchain diventa un ‘di cui’ e l’implementazione tecnologica un ‘semplice’ passaggio progettuale”.
La Blockchain non può essere vista solo da una prospettiva tecnologica (altrimenti è lì che si manifesta il suo inverno), servono anche le viste economica e politica del progetto.
In chiusura chiediamo a Chiriatti alcune riflessioni sulla convergenza tra Blockchain ed intelligenza artificiale e, ancora una volta, ci porta a valutare tale evoluzione dalla prospettiva “umana”.
“La Blockchain non funziona se si scambiano solo beni, serve l’elemento della fiducia (che in un sistema basato su Blockchain consente di fare transazioni e scambiare valore senza che vi sia un ente centrale che abilita e certifica un rapporto di fiducia tra le parti). In una business network basata su Blockchain a definire questa fiducia è la matematica, così come la fiducia nel risultato di un sistema basato su intelligenza artificiale sta negli algoritmi”.
Ci stiamo sempre più spostando dal dominio delle scienze sociali a quello delle scienze naturali e questo, conclude Chiriatti, ci deve far riflettere: “le tecnologie sono un elemento importante dell’evoluzione umana ma attenzione ad utilizzarle in modo corretto e solo dove davvero serve”.