Star Wars - The Mandalorian ha introdotto l’uso estensivo della produzione virtuale in 3D nelle serie TV. I tradizionali schermi verdi vengono sostituiti da pareti di proiettori LED in grado di riprodurre in maniera fotorealistica le ambientazioni virtuali, sostituendo in tutto o in parte l’esigenza della location fisica. Ancora una volta Industrial Light and Magic pongono le basi per una nuova era nel fare cinema, superando la rigida e impostazione lineare delle produzioni VFX consolidate.

TAKEAWAY

  • The Mandalorian: il primo live action di Star Wars prodotto in esclusiva per Disney+ ha utilizzato budget da serie tv, senza compromessi, per una qualità da grande schermo
  • I tradizionali schermi verdi lasciano spazio ai LEDwall interattivi, in grado di proiettare le ambientazioni virtuali 3D in tempo reale
  • Per creare il set virtuale Stagecraft, ILM ha utilizzato il software Unreal Engine. Dopo una lunga rincorsa, le tecnologie 3D di cinema e gaming finalmente si incontrano, per migliorare l’efficienza delle produzioni senza snaturare i propri obiettivi di target.
  • Grazie al 3D in tempo reale, i confini concettuali e visivi tra fisico e digitale vengono superati da una fusione nativa in ambiente 3D, in cui gli spazi coincidono e risultano perfettamente coerenti con il punto di vista della camera di ripresa.
  • Il virtual set con proiezione 3D rivoluziona la pipeline di sviluppo. I contenuti 3D, solitamente realizzati in post produzione, vengono anticipati alla fase di pre-produzione, offrendo a tutte le figure tecniche e creative il pieno controllo sul risultato.
  • Gran parte del lavoro di post produzione viene realizzato direttamente sul set di ripresa
  • Dal location scouting al virtual scouting. Il set virtuale offre la possibilità di esplorare gli ambienti creati in 3D utilizzando un semplice visore per la realtà virtuale, attraverso cui il regista può valutare nel dettaglio qualsiasi aspetto, per fornire ai set designer tutte le indicazioni a loro utili per preparare gli stage di ripresa.
  • La produzione virtuale ha salvato moltissimi progetti durante la pandemia Covid-19, dando modo all’offerta on-demand di continuare a sviluppare i propri contenuti, oltre ad ereditare i lavori che non sono potuti uscire nelle sale cinematografiche.
  • Il futuro della produzione virtuale è accessibile e verrà largamente impiegato anche in altri contesti, non soltanto nel cinema. Questa visione del futuro, ancora una volta, rispetterà la profezia di George Lucas.

3D e produzione virtuale: sarà questo il futuro del cinema? Proviamo a fare un’analisi traendo spunto da The Mandalorian, celebre serie tv ambientata nel mondo di Star Wars, che continua a fare registrare un eccellente successo di pubblico e di critica.

Durante la prima stagione, la cui pubblicazione italiana è avvenuta su Disney+ in pieno lockdown primaverile, Mando e “il bambino”, per tutti Baby Yoda, hanno conquistato una enorme attenzione mediatica, al punto che persino la stampa generalista, oltre ad occuparsi degli aspetti relativi allo show, si è azzardata ad approfondire anche alcuni aspetti tecnici relativi alla produzione. Gran parte di questa attenzione è dovuta ai contenuti di The Gallery.

Per approfondire gli aspetti tecnici e artistici che hanno dato luogo alla produzione di The Mandalorian, Disney ha infatti deciso di pubblicare una serie di 8 documentari, equivalenti al numero di puntate della serie girata.

Entrare nel merito delle logiche e delle scelte che danno forma alle storie senza tempo di un franchise come Star Wars offre a tutti l’occasione per capire quale studio, quale sforzo ci sia dietro anche al minimo dettaglio, quello che con buona probabilità la maggior parte degli spettatori nemmeno sarebbe in grado di cogliere.

Si tratta di una lezione che vale anche per il comparto enterprise, che spesso e volentieri recepisce le dinamiche metodologiche e le tecnologie introdotte dall’industria del divertimento, adattandole alle esigenze aziendali di altri contesti produttivi.

La seconda stagione di The Mandalorian, che Disney+ ha iniziato a pubblicare ogni settimana a partire da Halloween, ci offre un’occasione ancora più matura e consapevole riguardo una serie di aspetti fanno di The Mandalorian una pietra miliare nella storia del film making, ben ragioni che vanno ben oltre la sua fortuna commerciale.

Analizziamo dunque quali sono i fondamentali tecnici di Stagecraft, il set virtuale proprietario ILM (Industrial Light and Magic) per capire come l’attuale livello di evoluzione della produzione virtuale abbia segnato un punto di non ritorno nell’ambito delle produzioni cinematografiche.

In questo frangente ci occuperemo del live action, in quanto la produzione virtuale per l’animazione 3D integrale (es. Lion King) prevede dei punti di contatto, ma andrebbe contestualizzata in maniera specifica per coglierne l’effettiva utilità.

Quanto segue è inoltre una sintesi assolutamente parziale della produzione virtuale in 3D, che va ben oltre l’esempio di Stagecraft, coinvolgendo molti marchi, impegnati ogni giorno a sviluppare soluzioni sempre più evolute. L’obiettivo di queste righe è piuttosto cogliere gli aspetti chiave che valgono quale denominatore comune in termini di prospettiva, ricerca e opportunità di business.

3D cinema
In tutto il suo splendore, ecco “il bambino”, Grogu, prontamente ribattezzato Baby Yoda, data l’evidente analogia con il più potente Jedi che la storia di Star Wars ricordi. Si tratta di un giocattolino piuttosto… costoso. Secondo alcune indiscrezioni, il sofisticato animatronic utilizzato sul set avrebbe un budget pianificato di circa cinque milioni di dollari. (credit: Disney)

The Mandalorian: budget da serie TV, qualità da grande schermo

Un fattore chiave per cui The Mandalorian sta segnando un punto di svolta fondamentale nella storia della produzione cinematografica consiste nell’aver ridotto sensibilmente la quantità delle shot in live action girate in location reali, mediamente molto più costose da gestire lungo l’intera filiera che va dalla pre-produzione alla post produzione.

Allo stesso modo, sul set virtuale è stato operato un deciso passo in avanti rispetto al tradizionale sistema basato su motion capture e schermo verde, anche in questo alleggerendo notevolmente il carico di lavoro, soprattutto nella fase di post produzione.

La prima stagione è stata girata per il 50% in maniera “tradizionale” e per il 50% in sul set di Stagecraft, il set di produzione virtuale di ILM, il VFX studio fondato da George Lucas nel 1975 ed entrato in orbita Disney con l’acquisizione di Lucasfilm.

Nessuno meglio di ILM conosce la storia tecnologica di qualsiasi prodotto relativo a Star Wars e il lavoro di continua ricerca ha consentito di industrializzare una soluzione in grado di ottimizzare tempi e costi di sviluppo di una serie tv, le cui stagioni hanno tempi di lavorazione fisiologicamente più compressi rispetto ai film ad alto budget, si pensi agli episodi principali di Star Wars.

In altri termini, il look della serie The Mandalorian non ha nulla da invidiare rispetto ad un kolossal come Episodio IX. Certo, il cast è più contenuto, le comparse sono minori e lo stesso vale per tanti altri fattori che dipendono sia da scelte di tipo artistico che da esigenze produttive, ma in termini di qualità delle ambientazioni e di fotografia il gap si è sensibilmente ridotto.

Oggi nell’universo creativo di Star Wars è possibile creare esperienze senza dover necessariamente ricorrere a formati alternativi, come è ad esempio è avvenuto nel caso di The Clone Wars, eccellente serie animata durata ben sette stagioni.

The Mandalorian: addio schermo verde, arrivano i LEDwall interattivi

La produzione virtuale non è certo una novità, esiste da tempi remoti, prossimi a quando il cinema ha deciso di avvalersi di contenuti digitali, momento che convenzionalmente viene fatto coincidere con il primo Jurassic Park, dove quasi tutti i dinosauri sono stati modellati ed animati direttamente in 3D.

Era il 1993. Steven Spielberg e ILM, quando George Lucas era ancora in primissima linea, hanno aperto una nuova era negli effetti visivi, almeno per quanto concerne le produzioni ad alto budget. Il 3D era cosa ben nota già ai tempi, anche se molto distante dalle potenzialità attuali.

Negli anni si sono susseguite molte tappe evolutive fondamentali nel contributo della computer grafica, come Avatar, in cui Il deus ex machina James Cameron ha implementato con Weta Digital un sistema di camera virtuale, per capire cosa stesse succedendo nel volume di ripresa di Pandora, il mondo interamente virtuale in cui i personaggi sono stati animati grazie ad infinite sessioni di performance capture. In altri termini, un antenato della realtà virtuale sul set come la intendiamo e la conosciamo oggi. Potremmo andare avanti all’infinito a descrivere tappe e curiosità di un percorso tecnologicamente tra i più affascinanti in assoluto.

Con il passare degli anni, il livello dei set è cresciuto al punto che oggi, come vedremo, è possibile parlare di una vera e propria ridefinizione della pipeline che intercorre dalla pre alla post produzione del film. Un set di sviluppo come Stagecraft rappresenta una tappa evolutiva matura al punto che, oltre alle creazioni Disney, ILM è ormai in grado di garantire il servizio anche ad a produzioni terze, come nel caso del nuovo, attesissimo Batman, diretto da Matt Reeves.

The Mandalorian è stata la prima volta in cui Stagecraft è stato utilizzato a livello intensivo, come luogo di produzione principale, dopo aver esordito con Rogue One: a Star Wars story e Solo, i due lungometraggi spin-off degli episodi principali della saga creata da George Lucas.

Il volume di Stagecraft non è caratterizzato da schermi verdi e attori in tuta con gli inconfondibili marcatori del motion tracking, per acquisire la base di girato attorno a cui ricostruire l’intero ambiente in 3D nella successiva fase di post produzione. A definire l’ambiente di ripresa è un LEDwall in grado di proiettare nel girato i contenuti precedentemente creati in 3D.

Ciò è possibile utilizzando un software in tempo reale, come Unity o, nel caso specifico, Unreal Engine, entrambi nati per la produzione di videogiochi. La proiezione non è infatti statica, come avverrebbe nel caso di un maxischermo tradizionale. Il contenuto viene allineato in tempo reale rispetto alla posizione della telecamera, per garantire la corretta prospettiva in tutte le fasi della ripresa. Il regista può finalmente girare alla maniera tradizionale su un set i cui contenuti sono prevalentemente generati in computer grafica.

Produzione e post produzione: cinema e gaming (finalmente) insieme

Per molti anni lo sviluppo dei contenuti digitali per il gaming e per il cinema sono appartenuti a due mondi paralleli, sia per quanto concerne le produzioni che per quanto riguarda gli aspetti tecnologici. Due mondi destinati a convergere, ad incontrarsi, a condividere il proprio know how, appena le tecnologie lo avrebbero reso possibile. Ed è ciò che sta puntualmente avvenendo.

Cinema e Gaming sono profondamente differenti nell’ambito di una UX (user experience) che le colloca sostanzialmente agli antipodi. Da un lato, lo spettatore passivo, che assiste all’immagine predeterminata dal regista, dall’altro, un protagonista attivo, grazie all’interazione continua con il personaggio interpretato nel videogioco.

Dal punto di vista tecnologico, il gaming ha sempre “invidiato” la resa fotorealistica dei VFX, molto più complessa da raggiungere su sistemi di rendering in tempo reale, per contro, le produzioni cinematografiche hanno sempre pagato dazio in termini di minor flessibilità del rendering pre-calcolato, per via di una pipeline molto più lineare, rigida ed onerosa, al punto che ormai garantire una resa elevata in tempo reale è diventato sostanzialmente un obiettivo in comune per entrambe le industrie.

Se l’esperienza per l’utente finale si mantiene su due piani distinti, a livello produttivo cinema e gaming hanno ormai esigenze tecnologiche molto simili. Questo spiega la crescente ibridazione tra i rispettivi know-how digitali, che vantano ormai una tradizione trentennale nello sviluppo.

Nel caso di Stagecraft, la figura chiave per connettere i due mondi tecnologici è stata Kim Libreri, già VFX supervisor di lungo corso in ILM, attualmente CTO di Epic Games. In una recente intervista a fx guide, Libreri ha dichiarato che:

Questa collaborazione è una grande occasione per spingere la tecnologia dei videogiochi oltre l’attuale stato dell’arte, grazie alle pipeline fotorealistiche dei VFX. Il creatore di The Mandalorian, Jon Favreau, aveva la visione e l’esperienza per capire cosa avremmo potuto introdurre in termini di collaborazione creativa sul set. Il rendering in tempo reale è sempre stato una sorta di Santo Graal nelle produzioni VFX, ora sta iniziando a diventare realtà e questo cambierà per sempre il mondo in cui realizziamo i film

Questa è la via, come direbbe Mando. Come accennato da Libreri, Jon Favreau conosceva molto bene le tecnologie real time, avendo già utilizzato la produzione virtuale in 3D sia ne Il Libro della Giungla (live action con un 90% di contenuti in computer grafica) e nel remake de Il Re Leone, produzione Disney campione di incassi nel 2019 (100% animazione in computer grafica). In entrambi i casi citati, Favreau ha collaborato con MPC, non con ILM. Nel caso di The Mandalorian, anche al netto di queste premesse di cultura tecnologica, sono intervenute molte novità.

Nel caso della produzione Star Wars, Favreau, che vanta in Disney un ampio credito in termini di fiducia soprattutto grazie ai successi ottenuti con i Marvel Movies, ha scritto interamente la storia ed è uno dei produttori esecutivi della serie, ma la regia è stata affidata, per ogni episodio, ad un artista differente.

La sua assidua presenza sul set si è dunque concentrata nel supervisionare e supportare l’implementazione di un sistema come Stagecraft anche nell’ottica di sostenere lo sviluppo a stretto contatto con i tecnici di ILM, in coerenza con tutte le esigenze creative. È infatti fondamentale che sia la tecnologia a raccontare una storia, mai il contrario.

Arte, Design e Sceneggiatura

Nelle fasi creative che caratterizzano in particolare la pre-produzione di un film c’è quella che, a tutti gli effetti, coincide con la concezione del mondo fantastico in cui verranno ambientate le vicende previste dalla sceneggiatura. Una sfida costante dell’industria digitale, come accennato in chiusura del precedente paragrafo, è costituita dal rendere la tecnologia funzionale al racconto della storia, e non viceversa.

A livello creativo, l’aspetto rivoluzionario nel caso di una produzione virtuale come The Mandalorian consiste nel fatto che la maggior parte dei contenuti 3D che tradizionalmente vengono creati in post produzione, sono stati realizzati addirittura durante la fase di pre-produzione, in modo da poter proiettare sul set di ripresa un risultato di livello realistico.

Questo ribaltamento di prospettiva sul set avvicina concettualmente la ripresa del mondo digitale a quella tradizionale, con la possibilità di poter plasmare a piacimento qualsiasi aspetto dell’ambiente virtuale. L’industria del cinema non ammette improvvisazione, qualsiasi investimento viene scrupolosamente pianificato, così come l’investimento nella ricerca.

Non ci sono segreti, né improvvise intuizioni, solo una considerazione possibile: per anni la tecnologia non è stata pronta a dare una risposta alla richiesta più ovvia. Ora i tempi iniziano ad essere maturi ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Il fatto di disporre, sul set di ripresa, di tutti gli asset digitali predisposti dai 3D artist e di tutti i prop fisici allestiti dai set designer consente un approccio creativo in grado di controllare anche nel dettaglio ogni singolo aspetto della scena. Un livello di controllo che va progressivamente superando la concezione che un elemento sia reale o virtuale.

Questa considerazione appare naturale quando si conoscono le logiche operative di un motore in tempo reale come Unreal Engine, che in sostanza non crea al suo interno le geometrie 3D, ma le importa nella scena da una libreria di asset preconfigurata. In produzione virtuale, in concetto viene esteso alle parti reali contenute all’interno del volume, con cui si genera un contesto visuale di assoluta sinergia e coerenza.

Confidenza e controllo sul set

Come accennato, la possibilità di visualizzare i contenuti dell’ambiente in cui si svolge la ripresa consente agli attori di avere dei riferimenti concreti per la recitazione, senza dover immaginare tutto che potrebbe accadere intorno a loro, basandosi solo sui riferimenti che i set designer possono lasciare per evitare di uscire dal volume di ripresa, piuttosto che per evitare incoerenze con l’immagine finale, del tipo camminare nel vuoto o compenetrare qualche oggetto virtuale.

Se gli attori dunque possono migliorare il loro feeling sul set e, di conseguenza, la qualità delle loro performance, il regista può avere una visione molto vicina all’aspetto finale della ripresa, quella da consegnare al montaggio.

La produzione virtuale si avvicina quindi ai livelli di feedback di una ripresa in live action, anche per quanto concerne il controllo della luce. Se in un set con schermo verde il direttore della fotografia doveva andare bene o male “a sentimento”, basandosi soprattutto sull’esperienza, sapendo che il grosso del lavoro, dal punto di vista tecnico, sarebbe stato risolto integrando i contenuti in computer grafica.

Da questo punto di vista si tratta, con buona probabilità, del vantaggio più evidente nell’ottica di alleggerire il lavoro della post produzione, considerando la complessità ed il dispendio di energie che comportano le operazioni di de-lighting, re-lighting con ridefinizione di ombre e riflessi.

Il virtual scouting

Uno dei principali vantaggi della produzione virtuale è legato alla possibilità di costruire digitalmente la maggior parte delle scene, limitando il più possibile il girato in corrispondenza di una location reale. Se ciò, a prima vista, potrebbe apparire una complicazione, in realtà si tratta di un fattore decisivo in termini di riduzioni di costi e tempi di ripresa.

Immaginiamo di dover girare una scena su Tatooine, il pianeta di origine degli Skywalker. La location originale, scelta da George Lucas durante le riprese del primo Star Wars, era collocata nella (quasi) omonima località in Tunisia. Decine di altre riprese si sono svolte nel deserto dello stato nordafricano.

A prescindere dalle limitazioni legate all’emergenza Covid-19, per una produzione americana, trasferirsi in Tunisia comporterebbe oneri ben superiori, se lo stesso risultato potrebbe essere ottenuto in uno studio di ripresa in California.

La procedura di virtual scouting viene effettuata direttamente in realtà virtuale, immergendosi in un ambiente costruito interamente in 3D sulla base di spunti provenienti dal vero. Nel caso di una produzione Star Wars, che vanta un archivio di reference su decine di progetti nell’arco di oltre 40 anni di lavori, non è nemmeno necessario fare un location scouting di supporto per scoprire nuove location. È sufficiente consultare lo sconfinato database di risorse di cui Lucasfilm dispone.

Dopo aver allestito il primo set di Stagecraft presso i Manhattan Beach Studios, ILM sta lavorando su tre ulteriori installazioni. La prima, manco a dirlo, a Los Angeles, per servire da vicino i clienti di Hollywood.

La seconda a Londra, presso i Pinewood Studios, utile per le produzioni britanniche, grazie alla prossimità con la sede londinese di ILM. Infine, un terzo set sarebbe già attivo in Australia, in supporto alle riprese del quarto capitolo di Thor, la cui regia è affidata a quel Taika Waititi che in The Mandalorian ha sia recitato che diretto un episodio nel corso della prima stagione.

Le produzioni virtuali dunque costituiscono un fattore determinante per effettuare le scelte di produzione. Un titolo dei Marvel Movies può arrivare a costi ormai superiori ai 300 milioni di dollari, affrontare anche soltanto una parte dei lavori in produzione virtuale può voler dire risparmiare decine di milioni.

I vantaggi valgono allo stesso modo per le produzioni inferiori, per cui la discriminante, più che il contenimento dei costi complessivi, può essere visto anche in funzione di ottenere una maggior qualità nel rispetto di un budget prefissato. Un aspetto determinante nell’ambito delle serie tv, che comportano la realizzazione di moltissimo materiale per cicli che durano diverse stagioni.

Il re-shooting

La produzione virtuale in 3D costituisce una vera manna dal cielo quando si profila l’eventualità di dover girare nuovamente una scena durante o dopo la conclusione delle riprese.

Un’eventualità che capita di rado, che di norma comporterebbe ricreare un set da qualche parte nel mondo, con tutto l’impegno logistico che ne deriva, in termini di costi ed autorizzazioni da richiedere con mesi di anticipo. Uno scenario semplicemente non fattibile, che nel caso verrebbe risolta ricreando in 3D le parti mancanti, esattamente come accade nel caso in cui un attore dovesse venire meno durante le riprese.

Grazie alle produzioni virtuali, una situazione di simile emergenza potrebbe essere risolta con una giornata di lavoro negli studio, rendendo l’intero iter realizzativo molto più flessibile. Un set come Stagecraft non ha natura effimera ma una configurazione stabile, prevista per ammortizzare l’investimento nell’arco di molte produzioni.

Sicurezza e continuità durante la pandemia

Il mondo del cinema è stato tra le vittime designate dell’emergenza legata al Covid-19. La chiusura delle sale e le difficoltà logistiche per viaggi e allestimento dei set ha finito per scoraggiare moltissime produzioni, rinviate a data da destinarsi, con notevoli danni per l’indotto dell’industria dello spettacolo. (linkare articolo concerti virtuali). Allo stesso modo, alcuni film già conclusi da tempo hanno dovuto posticipare la data di uscita, si pensi a 007: No time to die e Fast and Furious 9, entrambi ricalendarizzati per la primavera 2021, salvo ulteriori strascichi pandemici.

Se il grande schermo sta attraversando una fase tra le più drammatiche della propria vita, grazie alle potenzialità del digitale, molti lavori procedono cercando di rispettare le timeline originali. È il caso delle distribuzioni su canali quali Amazon Prime Video, Netflix o lo stesso Disney+, che hanno tratto enorme giovamento dalle limitazioni dei lockdown in tutto il mondo.

I set in produzione virtuale hanno garantito una vera e propria ancora di salvezza per un settore che può così operare in tutta sicurezza, sottoporre lo staff a controlli periodici e limitare il più possibile il carico logistico dei set tradizionali.

La profezia di George Lucas e la grande opportunità per il futuro delle produzioni audiovisive enterprise

Dopo aver ceduto Lucasfilm a Disney, il ruolo di George Lucas nel contesto delle produzioni di Star Wars si è parzialmente ridimensionato, ma la sua presenza rimane sempre viva, anche soltanto per un consulto.

Verso la fine degli anni 2000, parlando con alcuni membri del vertice di ILM, Lucas si sbilanciò dicendo che nel giro di una decina d’anni un film come Star Wars si sarebbe potuto tranquillamente girare in garage, per una sorta di ritorno alle origini nell’immaginario creativo americano. A maggior ragione, se pensiamo a come sono nate le storie di alcuni dei principali colossi dell’attuale sistema economico, dal garage di Steve Jobs a quello di Jeff Bezos.

Anche in quel frangente, tenendo fede alla reputazione che lo vede dieci anni avanti rispetto ai suoi tempi, George Lucas non sbagliava. Da creativo ha confermato la sua capacità visionaria in merito alla tecnologia e, in particolare, al suo utilizzo per fare cinema. La direzione delle produzioni è sempre più votata alla virtualità. Se Star Wars richiede ancora qualcosa in più rispetto all’autorimessa domestica, per tante esigenze è davvero sufficiente disporre di uno spazio relativamente modesto in cui fare almeno i primi testi di produzione.

La profezia di George Lucas diventa fondamentale soprattutto in una direzione: estendere la produzione virtuale 3D a tutti i contesti in cui oggi si utilizzano già forme di produzione virtuale meno efficienti, ed implementarne di nuove a supporto di una richiesta sempre maggiore di contenuti digitali da parte di tante industrie differenti.

Se a prima vista un set come Stagecraft offre l’idea di un investimento milionario, cosa che in effetti è, per allestire una produzione virtuale non si è innanzitutto vincolati da tecnologie proprietarie. Ricordo ancora, con un certo effetto, l’incontro con Hal Hickel, animation supervisor in ILM, in occasione della View Conference 2019, l’ultima disputata in presenza a Torino.

Pur avendo già ben chiari i principi legati alla pipeline, non ero ancora entrato nel merito dei particolari relativi all’investimento, indispensabili per fare le opportune valutazioni di business. Nel contesto di una conversazione informale, ingenuamente chiesi quanti anni ci sarebbero voluti prima di poter disporre di quel genere di tecnologia anche per le produzioni di noi comuni mortali.

Hickel mi sorprese, facendomi notare come in realtà non ci si sia nulla di esclusivo nella pipeline software di Stagecraft, al di là di alcuni tool scritti ad hoc in Python dai programmatori di ILM. Tutto il resto è disponibile a tutti, all’interno di Unreal Engine 4.26. Si tratta di tecnologie che si trovano liberamente in commercio anche per quanto riguarda l’hardware, a disposizione di chiunque voglia implementare il proprio set, sia a noleggio che in acquisto.

Ciò da cui non si può prescindere sono piuttosto le competenze, ma anche in questo caso, si va nella direzione di una democratizzazione della tecnologia. Concludendo la sua analisi, Hickel mi faceva giustamente notare come le competenze di sviluppo sui software 3D real time possono averle anche dei ragazzi capaci di condurre con successo produzioni indipendenti. Parliamo di studi composti da poche persone. Non migliaia di professionisti come nel caso di un gigante come ILM.

Non rimane dunque che attendere che il costo dei sistemi LED si riduca in virtù della sua diffusione, poi i tempi saranno maturi per assistere alla diffusione capillare della produzione virtuale 3D anche nelle produzioni audiovisive di altri ambiti, a partire da quello legato alla pubblicità. La profezia di Lucas di avvererà ancora. Ancora una volta, come direbbe Mando: questa è la via.

Sintesi breve dello speciale di ILM sulla produzione di The Mandalorian. La società di Lucasfilm specializzata negli effetti visivi ha pubblicato molti breakdown sui contenuti digitali, tra cui la realizzazione della Razor Crest, la curiosa nave utilizzata da Mando durante i suoi spostamenti planetari. Per il lavoro su The Mandalorian, il team di ILM, capitanato dal VFX Supervisor Richard Bluff, ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui l’Emmy Award nella categoria Outstanding Special Visual Effects, superando l’agguerrita concorrenza di Stranger Things, Watchmen e Westworld. (credit: ILM)

Per chi volesse approfondire gli aspetti tecnici relativi a The Mandalorian e alla sua produzione, suggeriamo la lettura dei seguenti servizi:

Nota di produzione. Sui VFX della seconda stagione hanno lavorato i seguenti studi: Industrial Light & Magic, Hybride, Base FX, Important Looking Pirates, Image Engine, Stereo D. Richard Bluff (ILM) è stato confermato come VFX Supervisor della produzione insieme a Joe Bauer, reduce da una lunga esperienza ne Il Trono di Spade.

Scritto da:

Francesco La Trofa

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