Un’imponente ricerca a livello globale del Capgemini Research Institute, nell’esaminare il livello di maturità in tema di connected health da parte delle aziende farmaceutiche e biotecnologiche, stimola in tutti una riflessione sul futuro dell'assistenza sanitaria e sul ruolo delle nuove tecnologie nel rivoluzionarla.

TAKEAWAY

  • Il primo dato sul quale riflettere, evidenziato nel Report “Unlocking the value in connected health”, a cura del Capgemini Research Institute, vede l’84% delle aziende pharma e biotech intervistate affermare di essere ancora in fase di definizione di una strategia per l’approccio all’assistenza sanitaria connessa.
  • Un altro dato non roseo ha, invece, a che vedere con una generale mancanza di competenze specifiche in tema di connected health, specie relative a materie quali realtà aumentata, realtà virtuale e interoperabilità dei dati.
  • Tra le azioni chiave suggerite dagli analisti per aiutare le organizzazioni a ridurre il proprio gap in termini di “maturità”, il darsi una strategia di assistenza sanitaria connessa che si integri con la strategia aziendale già consolidata, promuovere la condivisione e l’interoperabilità dei dati all’interno e all’esterno della struttura e – punto focale – costruire un ecosistema ad hoc, fatto di figure professionali eterogenee e di competenze diverse.

Trattare, oggi, di “connected health” significa fare riferimento a un modello di assistenza sanitaria connessa, le cui tecnologie abilitanti convergono, consentendo alle strutture sanitarie di mettere a disposizione dei pazienti dispositivi digitali, nonché servizi da remoto ai quali essi possono avere accesso insieme ai medici e ai propri familiari stretti, arrivandone a consultare a distanza le informazioni e i dati raccolti dai sistemi di monitoraggio.

Tuttavia, il processo di trasformazione (tuttora in atto) che sta dietro tale modello non è lineare e, in molti casi, presenta più di una sfida alle aziende che operano nei settori di riferimento – farmaceutico e biotech – alle prese con questioni legate alla modernizzazione di applicazioni ormai obsolete e con la messa a punto di nuove strategie.

Coloro che, al contrario, hanno mostrato flessibilità nell’adeguarsi all’utilizzo delle tecnologie digitali in campo sanitario, sono proprio i consumatori, ossia gli stessi pazienti, specie a partire dall’inizio dell’emergenza pandemica, che ha inferto un’accelerazione a un cambiamento iniziato in sordina.

A sondare il livello di maturità della connected health e, in particolare, a che punto è lo sviluppo dei modelli sanitari connessi da parte delle aziende pharma e biotech, una ricerca globale a cura del Capgemini Research Institute, i cui risultati sono contenuti nel recente Report dal titolo “Unlocking the value in connected health”.

Ricordiamo che l’indagine – condotta tra ottobre e novembre 2021 – si fonda su una serie di interviste a 523 tra manager, C-level, direttori e vice president di ben 166 organizzazioni, attive in ambito farmaceutico e biotecnologico in Francia, Germania, Italia, Giappone, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Vediamo insieme che cosa ne è emerso.

Grafici che illustrano il campione degli intervistati in tema di assistenza sanitaria connessa, suddivisi per appartenenza geografica, tipologia di azienda (biotechnology o pharmaceutical), fatturato e ruolo specifico.
Una fotografia del campione degli intervistati, suddivisi per appartenenza geografica, tipologia di azienda (biotechnology o pharmaceutical), fatturato e ruolo specifico (Fonte: “Unlocking the value in connected health” – Capgemini Research Institute – https://www.capgemini.com/wp-content/uploads/2022/03/Final-Web-Version-Connected-Health-1.pdf).

I vantaggi dell’assistenza sanitaria connessa

Il primo aspetto di interesse evidenziato dal sondaggio riguarda il coinvolgimento del paziente e il suo grado di soddisfazione nell’utilizzo di prodotti e di servizi digitali che fanno capo alla connected health – tra cui dispositivi indossabiliterapie digitali e Software-as-a-Medical Device (SaMD) – con il 97% degli intervistati che afferma che la propria azienda ha realizzato, o sta programmando di realizzare, una linea di prodotti per l’assistenza sanitaria connessa che va in quella direzione, ponendosi come obiettivo principe un sempre maggiore coinvolgimento e una sempre maggiore soddisfazione da parte degli utenti.

I dati rilevati da una ricerca di Capgemini Research Institute del 2020 parlano di una particolare inclinazione dei pazienti all’impiego dei prodotti citati, indicando come il 46% del campione intervistato (e tra questi, il 56% di coloro di età compresa tra 23 e 38 anni) si senta a proprio agio nell’affidarsi alla tecnologia per monitorare la propria patologia ed effettuare le terapie necessarie.

A proposito di coinvolgimento, il recente sondaggio sottolinea come la partecipazione alle decisioni che riguardano la propria salute e la gestione della propria malattia coincida con una maggiore responsabilizzazione del paziente e con una sua maggiore aderenza alle terapie. Un esempio, a tale riguardo, è quello delle «terapie digitali prescritte come supplemento alle cure standard e volte ad aiutare a gestire il disturbo depressivo maggiore e il disturbo d’ansia generalizzato, in cui piattaforme digitali accessibili tramite smartphone o computer insegnano ai pazienti nuove abilità e comportamenti, consentendo loro di avere il controllo del trattamento».

Per quanto concerne, nello specifico, l’assistenza sanitaria a distanza, uno dei vantaggi per i pazienti è dato dalla possibilità di accedere ai trattamenti terapeutici in orari e in luoghi che sono per loro più comodi, come accade, ad esempio, nel caso di terapie digitali fruibili comodamente a domicilio. Uno degli intervistati – manager di una multinazionale – osserva come, con lo scoppio della pandemia, «non solo abbiamo assistito a una maggiore connettività tra paziente a medico, ma anche a un decentramento dell’assistenza sanitaria, portandola in aree in cui prima non era accessibile. Penso che questa tendenza proseguirà a livello globale e che, nella sanità, vedremo sempre più innovazione guidata dalla digitalizzazione».

Un altro vantaggio dell’assistenza sanitaria connessa risiede in un più puntuale coordinamento tra personale medico-sanitario e paziente, con la possibilità – grazie alle tecnologie digitali – di inviare automaticamente i parametri vitali rilevati, aggiornando in tempo reale la cartella clinica. In quest’ultimo caso, l’esempio citato nel Report è quello della funzionalità di Apple Watch nel rilevamento delle aritmie cardiache, approvato dalla Food and Drug Administratio come software con funzioni di dispositivo medico di Classe II. In particolare, Apple Watch Series 4 e le versioni successive sono in grado di generare un elettrocardiogramma tramite l’app ECG, condividendone i dati col cardiologo dell’utente.

Il livello di maturità delle aziende

Se, in generale, gli intervistati hanno ben chiari quali sono i benefici dell’assistenza sanitaria connessa – per i pazienti, l’interazione con questi e la gestione della malattia – di cui tengono conto nel mettere a punto le proprie linee di prodotto, il sondaggio mostra che la maggior parte delle organizzazioni farmaceutiche e biotech coinvolte è ancora in fase di pianificazione quando si tratta di implementare prodotti e servizi sanitari di connected health. Più nel dettaglio:

  • l’84% afferma che la propria azienda sta ancora definendo una strategia per l’approccio all’assistenza sanitaria connessa
  • molti intervistati dichiarano che la maturità della propria organizzazione in tema di connected health è “emergente”
  • solo un quarto sostiene che l’organizzazione è matura in aree chiave come la strategia del portafoglio, il design del prodotto e lo sviluppo di quest’ultimo

Un aspetto sul quale preme focalizzarsi ha a che vedere con la suddivisione di tali dati in base ai fatturati delle aziende biofarmaceutiche prese in esame, la quale rileva che le aziende più grandi e con maggiori ricavi hanno un vantaggio maggiore in termini di maturità. E, più in particolare, lo hanno quelle con oltre 20 miliardi di dollari di fatturato, il 49% delle quali si definiscono “mature” «nella strategia e nella pianificazione del portafoglio, rispetto al 17% delle aziende con meno di un miliardo di dollari di fatturato». E il 43% delle organizzazioni con oltre 20 miliardi di dollari di ricavi sostengono essere mature «nella scalabilità di prodotti e servizi sanitari connessi rispetto a al 10% delle aziende con meno di 1 miliardo di dollari di ricavi».

Grafico che illustra il numero di aziende farmaceutiche e biotech ancora in fase di pianificazione quando si tratta di implementare prodotti e servizi di assistenza sanitaria connessa.
La maggior parte delle aziende farmaceutiche e biotech coinvolte nel sondaggio è ancora in fase di pianificazione quando si tratta di implementare prodotti e servizi di connected health (Fonte: “Unlocking the value in connected health” – Capgemini Research Institute – https://www.capgemini.com/wp-content/uploads/2022/03/Final-Web-Version-Connected-Health-1.pdf).

Competenze e collaborazione tra organizzazioni

Alla domanda circa le competenze digitali e le abilità tecnologiche necessarie per dedicarsi allo sviluppo di prodotti e servizi di assistenza sanitaria connessa, solo meno di un terzo degli intervistati sostiene che la propria organizzazione le possiede.

Ponendo in correlazione tali dati con quelli relativi al livello di maturità delle aziende, emerge che i fornitori più maturi in tema di connected health, con prodotti approvati o attualmente in fase di sviluppo e di test, sono coloro con molte più capacità rispetto a quelle aziende che stanno ancora sviluppando una strategia per la salute connessa.

Anche quando si tratta della capacità di operare in partnership, meno di un terzo di tutti gli intervistati del settore farmaceutico e biotech afferma che la propria organizzazione possiede tale abilità, con solo il 30% che dichiara di disporre di strutture tali da consentire la cooperazione e la condivisione delle conoscenze.

E anche in questo caso, le aziende più mature, con all’attivo prodotti e servizi di connected health già approvati o in fase di sviluppo e di test, sono quelle che si distinguono maggiormente.Interessante, a tale riguardo, il commento di Yannis Pandis, responsabile delle Digital Partnerships all’interno di Johnson & Johnson:

«La capacità di creare buone partnership con quelle aziende che possiedono l’esperienza e le infrastrutture per supportare la realizzazione di progetti di assistenza sanitaria connessa, è fondamentale. Senza tale propensione, il rischio è di avventurarsi in progetti pilota, anche di grande innovazione, ma che si è in grado di sostenere solo in minima parte»

Diagnosi e monitoraggio, fanalini di coda

La ricerca di Capgemini Research Institute in tema di assistenza sanitaria connessa ha, inoltre, sondato, con riferimento a quelle aziende che si dichiarano mature per la connected health – e che stanno lavorando a dispositivi sanitari digitali o che ne hanno uno sul mercato – la tipologia di applicazione dei prodotti, mostrando che, per il 62% degli intervistati, questi coprono la fase del trattamento terapeutico del paziente. E che:

«per oltre la metà (il 56%), il proprio portafoglio include prodotti a supporto della prevenzione iniziale. Solo il 13% degli intervistati dichiara che i portafogli della propria azienda mirano alle fasi di diagnosi e di monitoraggio delle patologie»

E questo perché quella del “trattamento terapeutico”, per le aziende farmaceutiche e biotech, a livello globale, costituisce un’area di intervento classica e in merito alla quale si possiedono solide (e storiche) competenze.

Dall’altro alto, i prodotti sanitari connessi per applicazioni diagnostiche, nonché tese al monitoraggio delle malattie, rappresentano – in questo momento – terreni ancora poco esplorati e, proprio per questo, delle opportunità per le aziende del settore, oltre che un completamento del ciclo di cura, oltre le fasi di terapia e prevenzione.

Grafico che illustra le percentuali di intervistati dediti allo sviluppo di prodotti di connected health destinati a diverse applicazioni.
Solo il 13% degli intervistati punta a prodotti di connected health destinati alla diagnosi e al monitoraggio delle patologie (Fonte: “Unlocking the value in connected health” – Capgemini Research Institute – https://www.capgemini.com/wp-content/uploads/2022/03/Final-Web-Version-Connected-Health-1.pdf).

Assistenza sanitaria connessa: alcune applicazioni

Nell’esplorare il livello di maturità raggiunto dalle aziende intervistate nell’ambito dell’implementazione di alcune applicazioni di assistenza sanitaria connessa (tra cui app mobile per l’acquisizione e il monitoraggio di sintomi, biomarcatori digitali, strumenti di supporto clinico, dispositivi di realtà aumentata e realtà virtuale per scopi di salute mentale o di riabilitazione, monitoraggio del paziente a distanza, diagnostica predittiva e medicina preventiva abilitate all’intelligenza artificiale, dispositivi di neurofeedback, studi clinici virtuali e dispositivi per la somministrazione di farmaci) è emerso che, con la sola eccezione delle app mobile, meno del 20% ha sviluppato una prova di fattibilità in merito.

Il 54% delle aziende coinvolte nel sondaggio ha in programma di avviare, nei prossimi cinque anni, progetti relativi ad applicazioni di biomarcatori digitali – tra cui biosensori indossabili sotto forma di guanti, indumenti o impianti incorporati per il monitoraggio continuo di alcuni parametri – e il 51% progetti di diagnostica predittiva e di medicina preventiva abilitate da tecniche di intelligenza artificiale.

Grafico che illustra Il livello di implementazione, da parte delle aziende intervistate, di nove applicazioni di connected health.
Il livello di implementazione, da parte delle aziende intervistate, di nove applicazioni di connected health (Fonte: “Unlocking the value in connected health” – Capgemini Research Institute – https://www.capgemini.com/wp-content/uploads/2022/03/Final-Web-Version-Connected-Health-1.pdf).

Dati – questi – sganciati dal livello di maturità (correlato, a sua volta, al fatturato) di alcune aziende che, nella maggior parte dei casi, se paragonate alle realtà più piccole e dai ricavi inferiori, non vanno oltre la prova di fattibilità per ciascuna delle applicazioni prese in considerazione.

Secondo Indira Jain-Figueroa, product director di digital health di AstraZeneca, è l’oncologia a presentare opportunità promettenti per lo sviluppo di applicazioni di connected health, permettendo, così, ai pazienti «di non doversi recare in ospedale dopo ogni ciclo di chemioterapia per il controllo dei marcatori tumorali e di altri parametri ematici, e di avvalersi del monitoraggio da remoto, utilizzando flussi di dati coerenti».

Per quanto concerne, invece, altre aree terapeutiche che, nei prossimi anni – secondo coloro che hanno preso parte al sondaggio – verranno coperte dell’assistenza sanitaria connessa, il 45% indica alcune patologie neurologiche, tra cui sclerosi multipla, Alzheimer ed epilessia; il 42% le malattie rare (tra cui cistica e malattia di Huntington) e il 40% l’immunologia.

Connected health, rivoluzionerà l’assistenza sanitaria?

Nel rispondere a questa domanda, gli intervistati sono tutti d’accordo: per il 99% di loro, l’assistenza sanitaria connessa rivoluzionerà il mondo dell’assistenza sanitaria, rendendola personalizzata e integrata. Rivoluzione – fanno notare in coro – accelerata dalla pandemia, ritenuta «il principale motore per fare avanzare la digitalizzazione nel settore sanitario, superando quelle barriere che sono sempre esistite nella maggior parte dei suoi comparti».

Un’area che si sta già trasformando – si legge nel Report – è quella della salute mentale, divenuta, proprio in seguito al Covid, centrale nelle preoccupazioni della popolazione a livello globale.

In particolare, tra i servizi di connected health, le terapie digitali sono quelle col maggiore potenziale «di ridurre significativamente le disuguaglianze nell’accesso all’assistenza sanitaria, offrendo cure di salute mentale ai pazienti esattamente dove essi si trovano e quando ne hanno bisogno». Sul tema, Capgemini Research Institute cita un’azienda farmaceutica svedese che, nel 2020, ha ottenuto l’approvazione della FDA Food and Drug Administration per Deprexis, terapia cognitivo comportamentale online per il trattamento della depressione, accessibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7 da qualsiasi dispositivo.

Sempre relativamente alla salute mentale, i prodotti e i servizi di assistenza sanitaria connessa stanno raggiungendo quelle categorie più fragili sotto il profilo socio-economico e maggiormente a rischio, tra cui i più anziani. L’esempio, in questo caso, è dato «da una start-up statunitense che utilizza la sua piattaforma di realtà virtuale nelle case di riposo e nelle strutture assistite per aiutare gli anziani a superare l’isolamento sociale e la depressione, attraverso esperienze condivise e coinvolgenti».

Azioni chiave per colmare il gap

Se gli analisti del Capgemini Research Institute concludono rimarcando il fatto che la maggioranza delle aziende coinvolte nella ricerca è ancora in una fase embrionale in materia di sviluppo di soluzioni di assistenza sanitaria connessa e che, sul tema, la maturità complessiva è piuttosto bassa, osservano che esistono, comunque, da parte delle organizzazioni, l’ambizione, la volontà di fare parte di un mercato che sta decollando, oltre – come evidenziato nel paragrafo precedente – alla convinzione circa il potenziale della connected health e i suoi reali benefici.

È, alla luce di tale quadro, che hanno individuato sei azioni chiave, destinate alle aziende pharma e biotech che intendono colmare il proprio divario di maturità.

1) Definire una strategia di assistenza sanitaria connessa che si integri alla strategia consolidata

Il primo passo è definire una strategia di portafoglio integrata, in modo che i propri prodotti e servizi di connected health siano allineati con quella che è la strategia di portafoglio ormai consolidata da parte dell’azienda. È preferibile, in una prima fase – sottolineano gli analisti – includere le nuove soluzioni all’interno di un’offerta più ampia, che preveda già, ad esempio, applicazioni nell’ambito di determinate aree di intervento e patologie, senza porsi obiettivi completamente nuovi, mai contemplati in precedenza.

2) Focalizzarsi sui processi e sulle metriche per fare previsioni e calcolare ricavi

Il sondaggio ha appurato che l’80% delle aziende biofarmaceutiche intervistate non possiede ancora un processo da seguire, né metriche da adottare per gestire lo sviluppo di offerte sanitarie connesse. Il che si traduce nella difficoltà a fare previsioni e a calcolare ricavi che esplicitino che cosa l’azienda può aspettarsi in termini di ritorno degli investimenti, col rischio di fare della propria offerta di assistenza sanitaria connessa un ulteriore centro di costo.

3) Promuovere la condivisione e l’interoperabilità dei dati

«Costruire un ecosistema di dati che promuova la condivisione e l’interoperabilità di questi, all’interno e all’esterno dell’organizzazione» è un altro tassello importante del mosaico dell’assistenza sanitaria connessa. Purtroppo, però, i dati emersi dal sondaggio vedono un quarto delle aziende intervistate prive di applicazioni per l’interoperabilità dei dati, solo un quarto di esse disporre di piattaforme cloud per l’integrazione dei dati di diverse fonti e meno di un terzo avvalersi di strutture comuni per la raccolta, l’analisi e la gestione dei dati interni ed esterni.

4) Acquisire competenze in tema di assistenza sanitaria connessa

Mettere a punto un dispositivo sanitario digitale prevede un processo assai diverso rispetto allo sviluppo del classico farmaco. Sono necessari competenze e saperi che attingono ad ambiti spesso distanti dalla chimica e dalla biologia, che pongono la persona al centro. Inoltre, la ricerca ha portato a galla anche lacune in diverse competenze tecniche richieste dalla connected health, tra cui quelle afferenti a realtà aumentata, realtà virtuale e interoperabilità dei dati.

5) Centralizzare la governance

Un altro dato messo in luce dagli analisti del Capgemini Research Institute riguarda la dipendenza – da parte della maggioranza delle aziende intervistate – da centri di Ricerca & Sviluppo e da esperti IT esterni nell’individuare nuove soluzioni di assistenza sanitaria connessa. Al contrario, finanziare unità di connected health interne all’azienda significa conferire autonomia all’intero processo decisionale in materia, «fondamentale per un’accelerazione e una scalabilità efficaci».

6) L’importanza di un ecosistema sanitario connesso

Uno degli intervistati, direttore di un’azienda farmaceutica internazionale, nel fare notare l’importanza di avere, nella stessa stanza, competenze eterogenee – medicina, marketing, servizi per i pazienti, tecnologie digitali, normative – ha ricordato a tutti quanto sia basilare, per lo sviluppo di prodotti e servizi di assistenza sanitaria connessa, la costruzione di un ecosistema ad hoc che lo sostenga e lo supporti lungo tutto il processo.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin