I biomarcatori possiedono il potenziale per fornire un'identificazione biologica univoca e immutabile agli alimenti, definendone la tracciabilità nella catena di approvvigionamento: lo hanno dimostrato, con un’inedita ricerca, i biotecnologi dell’Università del Surrey, in Inghilterra.

TAKEAWAY

  • Il più recente filone delle biotecnologie studia metodologie in grado di identificare la “carta di identità” dei prodotti alimentari, estraendone le componenti microbiche e/o molecolari che possano fungere da marker di autenticità e di tracciabilità.
  • Attraverso i biomarcatori è possibile creare un codice a barre immutabile del prodotto alimentare – estratto dal DNA della sua materia prima – che funge da identificatore univoco.
  • È quello che ha fatto un team di biotecnologi inglesi, estraendo i biomarcatori dal DNA delle fave di cacao utilizzate nella produzione del cioccolato, con l’obiettivo di identificare l’azienda agricola, l’impianto di produzione o la cooperativa da cui provengono.

Parlare di biotecnologie e tracciabilità dei prodotti alimentari rimanda all’autenticazione e alla garanzia di qualità delle produzioni alimentari attraverso l’utilizzo di biomarcatori, ossia di indicatori biologici quali una sequenza di DNA o una proteina.

In questo ambito, si inserisce l’attività di ricerca dei biotecnologi dei Dipartimenti di Sanità Pubblica, di Medicina Clinica e di Scienze Biomediche, che lavorano da tempo alla messa a punto di metodologie in grado di identificare la “carta di identità” del singolo alimento, estraendone e mettendone in rilievo le componenti microbiche e/o molecolari che possano fungere da marker di autenticità e tracciabilità del prodotto.

Attraverso i biomarcatori, è possibile creare “meta-codici a barre” di un prodotto alimentare, paragonabili alle sue impronte biochimiche. Poniamo il caso di un alimento derivato da una specie vegetale: ebbene, il biomarcatore fornirà un codice a barre immutabile – estratto dal DNA della pianta – che funge da identificatore univoco dell’organismo vegetale in questione.

È quello che hanno fatto i biotecnologi dell’Università del Surrey, in Inghilterra – in uno studio pubblicato sulla rivista Supply Chain Management – estraendo i biomarcatori dal DNA delle fave di cacao utilizzate nella produzione del cioccolato, con l’obiettivo preciso di identificare l’azienda agricola, l’impianto di produzione o la cooperativa da cui proviene il prodotto.

Biotecnologie e tracciabilità dei prodotti alimentari: l’esempio dei biomarcatori delle fave di cacao utilizzate nella produzione del cioccolato

Questo inedito studio in tema di biotecnologie e tracciabilità dei prodotti alimentari vuole essere un contributo della scienza nel fare luce sul fenomeno nascosto dietro alla produzione di cioccolato, che vede lo sfruttamento del lavoro minorile, la riduzione in schiavitù dei lavoratori e, in ultimo, la sostituzione di alcune materie prime con piante di cacao di qualità scadente, acquistate a poco prezzo dalle regioni deforestate.

Fenomeno confermato da un’indagine svolta dal Centro Nazionale di Ricerca dell’Università di Chicago, in base alla quale il 73,8% della produzione mondiale delle fave di cacao avviene in Costa d’Avorio, Ghana, Camerun e Nigeria e gran parte di questo viene esportato in America.

Un altro dato stima che 1,56 milioni di bambini lavorino nelle fattorie di cacao in Costa d’Avorio e Ghana. Spiega Glenn Parry, biotecnologo presso l’Ateneo inglese e membro del gruppo di lavoro:

Questa ricerca esamina il potenziale dei biomarcatori nel fornire un’identificazione immutabile ai prodotti alimentari – in questo caso il cioccolato – tracciabilità e visibilità nella catena di approvvigionamento, dalla barretta di cioccolato al dettaglio fino all’azienda agricola

Come è stato condotto lo studio

I ricercatori hanno utilizzato la raccolta di dati qualitativi, compreso il lavoro sul campo presso le fattorie di cacao e i produttori di cioccolato in Ecuador e nei Paesi Bassi e interviste semi-strutturate a professionisti del settore, per identificare le sfide e creare una mappa della catena di approvvigionamento, dalla pianta del cacao al rivenditore, convalidata da esperti dell’area.

Ma il cuore della ricerca in materia di biotecnologie e tracciabilità dei prodotti alimentari ha riguardato la creazione di una libreria di biomarcatori utilizzando il DNA estratto dalle fave di cacao, raccolto dal lavoro sul campo e dall’International Cocoa Quarantine Centre – centro del Berkshire, nel Regno Unito, che studia le malattie che colpiscono le piante di cacao – detentori di varietà di cacao provenienti da località conosciute in tutto il mondo.

È l’abbinamento dei biomarcatori del campione con quelli contenuti nella libreria che consente di identificare le origini del cacao utilizzato all’interno di un prodotto a base di cioccolato, anche quando proviene da più fonti diverse ed è stato elaborato.

La mappatura e le interviste identificano le aree della filiera del cacao che mancano della visibilità necessaria a garantire sostenibilità e qualità del prodotto. “Un punto di disaccoppiamento che oscura le origini del cacao utilizzato nella produzione di cioccolato e limita la visibilità” commenta il team dell’Università del Surrey.

Biotecnologie e tracciabilità dei prodotti alimentari a supporto della sostenibilità del cacao

Questa ricerca in tema di biotecnologie e tracciabilità dei prodotti alimentari fornisce uno dei primi esempi del contributo delle biotecnologie avanzate – che, lo ricordiamo, poggiano sulle tecniche di ingegneria genetica e biologia molecolare – nel fornire visibilità alla catena di approvvigionamento in ambito agricolo.

E lo fanno servendosi dei biomarcatori estratti dal DNA delle piante, utilizzati come “etichette”, codici QR o codici a barre che non è possibile né scambiare, né manomettere, diminuendo in questo modo il rischio di frode ai danni dei prodotti alimentari.

Nel caso specifico dello studio dell’Università inglese, i biomarcatori identificano la composizione del prodotto a base di cioccolato e le aziende agricole dal quale esso proviene, riuscendo a individuare se si tratta di cacao di origine sconosciuta e consentendo audit mirati a carico dei fornitori.

Questo studio fissa un metodo. Un metodo utile – a quelle aziende responsabili e a quelle organizzazioni serie nelle catene di approvvigionamento del cacao – a rintracciare alla fonte, in modo scientifico (attraverso codici a barre biologici), i loro prodotti.

Un metodo che dimostra che è possibile effettuare audit sulle responsabilità sociali del lavoro minorile e degli abusi ambientali come la deforestazione, a carico di aziende agricole specifiche che si trovano nelle loro supply chains. Un metodo che è possibile estendere ad altri prodotti alimentari, la cui filiera presenta zone d’ombra da portare alla luce e denunciare.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin