Per sostenere il fabbisogno energetico dei data center, big tech e altre società IT puntano su scelte sostenibili: tra queste le rinnovabili, ma c’è chi punta sul nucleare di nuova generazione.

C’è un crescente bisogno di energia sostenibile per i data center. A oggi l’1-1,5% del consumo globale di elettricità è addebitabile ai centri dati e le conseguenti emissioni: data center e reti di trasmissione dati sono responsabili dell’1% delle emissioni di gas serra legate all’energia, segnala IEA. Tuttavia oggi sono elementi imprescindibili grazie ai servizi che offrono: si pensi ai cloud data center, capaci di elaborare il 94% di tutti i carichi di lavoro nel 2021. Entro il 2025, si prevede che supererà 100 zettabyte di dati che verranno archiviati nel cloud. Tale crescente penetrazione del cloud computing aumenta la crescita del mercato dei data center, che a livello mondiale si prevede raggiungerà i 418 miliardi di dollari nel 2030.

Da una parte i servizi essenziali che svolgono, dall’altra la loro fame di energia, solo in parte mitigata dagli interventi in termini di efficienza energetica compiuti negli ultimi anni, mettendo in risalto progressi significativi nelle prestazioni. Anche i data center sono attesi a obiettivi di decarbonizzazione ambiziosi per soddisfare i requisiti net zero emission attesi al 2050.

Cosa possono fare allora i proprietari di data center per ridurre l’importo energetico o, quantomeno, renderlo più green? Puntare su fonti rinnovabili. Apple (2,8 TWh), Google (18,3 TWh), Meta (9,4 TWh) e Microsoft (13 TWh) hanno acquistato o generato abbastanza elettricità rinnovabile da coprire il 100% del loro consumo operativo di elettricità nel 2021 (principalmente nei data center).

S&P Global segnala che la spesa delle Big Tech in rinnovabili sta aumentando sensibilmente. Negli Stati Uniti, la capacità eolica e solare contrattata con fornitori e clienti di data center è aumentata di oltre il 50% in questo aggiornamento arrivando a 40 GW, ovvero due terzi del mercato totale delle energie rinnovabili aziendali statunitensi. Ma è un fenomeno a portata globale, segnala la stessa S&P:

“I primi cinque hyperscaler – Amazon, Google, Meta, Microsoft e Apple – hanno un portafoglio combinato di energie rinnovabili per un totale di oltre 45 GW in tutto il mondo. Circa il 57% della capacità eolica e solare aziendale globale monitorata da S&P Global Commodity Insights è legata solo a queste cinque società.”

C’è un’altra strada che qualcuno sta già percorrendo: l’energia nucleare. L’esempio più significativo e recente lo offre Microsoft: proprio di recente ha pubblicato una ricerca di lavoro riguardante la figura di un principal program manager in tema di tecnologia nucleare. L’addetto, si legge:

“sarà responsabile della maturazione e dell’implementazione di una strategia globale per l’energia dei microreattori e degli Small Modular Reactor (SMR). Questa posizione senior ha il compito di guidare la valutazione tecnica per l’integrazione di SMR e microreattori per alimentare i data center su cui risiedono Microsoft Cloud e AI.”

Il colosso di Redmond punta anche sull’energia da fusione, oggi quasi una chimera, ma che invece – così pare – potrebbe essere una realtà nel giro di pochi anni. Helion Energy ha fatto sapere che Microsoft ha accettato di acquistare elettricità dalla sua futura prima centrale elettrica a fusione, la cui implementazione è prevista per il 2028. Lo scorso maggio questa società energetica statunitense ha pubblicato una nota in cui annuncia che fornirà elettricità a Microsoft in circa cinque anni. Questo è il primo accordo del genere che riguarda la fornitura di “energia delle stelle” così come viene presentata la fusione nucleare.

Takeaway

I data center sono infrastrutture oggi cruciali per la digitalizzazione. Ma costituiscono una voce importante in termini di consumi energetici e di emissioni. Per questo i colossi dell’IT hanno puntato da tempo sulle fonti rinnovabili.
Accanto a questa scelta, le strategie energetiche per soddisfare i fabbisogni dei data center stanno virando anche sull’opzione del nucleare. Una tendenza significativa è quella che guarda agli Small Modular Reactor (SMR).
I piccoli reattori modulari possono costituire un’opzione vantaggiosa, ma vanno considerati i pro e i contro. Il futuro dell’energia per i data center si caratterizzerà su più fronti, compreso l’impiego di fonti green inedite, come idrogeno verde e geotermia.

Energia sostenibile per i data center: la faccia energivora della digitalizzazione

La domanda di energia sostenibile per i data center è legata a doppio filo con la crescente digitalizzazione in atto. L’Agenzia internazionale dell’energia segnalava che i data center e le reti di trasmissione dati che sostengono la digital transformation richiedono energia, ma gli effetti collaterali sono rappresentate dalle emissioni, notevoli: nel 2020 hanno rappresentato circa 330 Mt di CO2 equivalenti, equivalenti allo 0,9% delle emissioni di gas serra legate all’energia. Seppure dal 2010 le emissioni dei data center sono cresciute modestamente nonostante la rapida crescita della domanda di servizi digitali, grazie ai miglioramenti dell’efficienza energetica, agli acquisti di energia rinnovabile da parte delle società di tecnologia dell’informazione e della comunicazione (ICT) e alla più ampia decarbonizzazione delle reti elettriche in molte regioni, le emissioni devono dimezzarsi entro il 2030 per rispettare lo scenario Net Zero Emission della IEA.

C’è bisogno di efficientare, perché si sa che servizi e tecnologie emergenti come streaming, cloud gaming, intelligenza artificiale, machine learning e realtà virtuale sono pronti a incrementare la domanda di servizi dati. Si pensi che solo Bitcoin ha consumato circa 110 TWh nel 2022, venti volte di più rispetto al 2016, rammenta la IEA.

L’opzione nucleare e gli Small Modular Reactor (SMR)

La necessità di ricorrere a forme di energia sostenibile per i data center ha messo in evidenza il ricorso al nucleare. La notizia riguardante Microsoft è rilevante, ma non è la sola azienda IT che punta sull’energia dell’atomo. In particolare, la tendenza più attuale è quella di rivolgere l’attenzione, e gli investimenti, sull’opzione nucleare in “piccola scala”. Più precisamente si intende puntare sugli Small Modular Reactor (SMR), ovvero piccoli reattori modulari. Vengono considerati reattori nucleari avanzati con una potenza fino a 300 MW(e) per unità, ovvero circa un terzo della capacità di generazione dei tradizionali reattori nucleari, specifica la International Atomic Energy Agency. La stessa sostiene che gli SMR possono produrre una grande quantità di elettricità a basse emissioni. I vantaggi presentati dalla IAEA sono legati alle loro caratteristiche peculiari: sono piccoli e modulari. Grazie a questo, possono essere collocati in luoghi non adatti a centrali nucleari più grandi. Inoltre, la loro realizzazione è più snella, dato che le parti prefabbricate di SMR possono essere prodotte e poi spedite e installate in loco, costituendo un fattore di indubbio interesse, anche in termini economici.

Gli SMR offrono risparmi in termini di costi e tempi di costruzione e possono essere implementati in modo incrementale per soddisfare la crescente domanda di energia”.

Queste loro caratteristiche hanno attirato l’interesse anche delle società IT. L’azienda statunitense Standard Power, specializzata in servizi informatici, ha annunciato l’intenzione di puntare sulla tecnologia SMR. Proprio in questi giorni ha annunciato l’intenzione di sviluppare due impianti supportati da quasi 2 GW di energia da 24 piccoli reattori modulari, avvalendosi della tecnologia sviluppata dalla statunitense NuScale Power Corporation, specializzata proprio in SMR. La notizia ha fatto clamore, tanto che il valore delle azioni in borsa di quest’ultima sono aumentate di oltre il 18%.

Sempre negli Usa, in Virginia, IP3 Corporation e Green Energy Partners LLC hanno annunciato quest’estate un accordo per realizzare il Surry Green Energy Center, un nuovo hub di data center alimentato da energia prodotta da piccoli reattori modulari in loco. Il progetto prevede una flotta di 4-6 SMR che alimentano 20-30 data center, generando idrogeno e fornendo energia di backup per la rete dello Stato federale.

In generale, l’interesse sugli SMR è alto: si contano più di 80 progetti SMR commerciali in fase di sviluppo in tutto il mondo, col Regno Unito che appare uno dei maggiori sostenitori, con piani di spesa previsti fino a 20 miliardi di sterline in 20 anni per produrre 24 GW di energia nucleare entro il 2050. Rolls-Royce, conosciuta a livello planetario per le sue auto di lusso, è una delle società più avanzate sul fronte della progettazione e sviluppo di Small Modular Reactor: prevede di installare 16 dei suoi generatori SMR nel Regno Unito.

Il rovescio della medaglia: costi alti e il problema dei rifiuti radioattivi

Se da una parte c’è una corsa a questa tecnologia, che promette molta energia e poche emissioni, dall’altra ci sono degli elementi da considerare in tema di generazione di energia sostenibile per i data center. Uno dei più importanti riguarda la produzione di rifiuti radioattivi. A sostenere la insostenibilità degli SMR su questo aspetto è l’esito di una ricerca condotta dalla Stanford University e della British Columbia. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences mette in luce che:

“la maggior parte dei progetti di reattori modulari di piccole dimensioni aumenterà il volume dei rifiuti nucleari che necessitano di gestione e smaltimento, di un fattore da 2 a 30 per i reattori. Questi risultati sono in netto contrasto con i benefici in termini di riduzione dei costi e dei rifiuti che i sostenitori hanno affermato per le tecnologie nucleari avanzate”.

C’è poi un altro fattore considerevole: la voce costi. L’esempio della sopra citata NuScale è rappresentativo: la società aveva promesso di fornire energia a 55 dollari per MWh, ma poi col tempo il costo è salito fino a 90 dollari per MWh, anche se sostenuto da ulteriori finanziamenti dell’Inflation Reduction Act. È un prezzo più alto di quello di fonti rinnovabili come fotovoltaico ed eolico.

Fonti rinnovabili: nel futuro energetico dei data center c’è spazio a idrogeno verde e geotermia

Per la fornitura di energia sostenibile per i data center resta sempre il ricorso alle fonti rinnovabili come elemento costante anche in prospettiva. Il futuro è caratterizzato da un sempre maggiore ricorso a fotovoltaico, eolico e ad altre risorse green. Una di queste potrà essere l’idrogeno verde.

Ne è convinta Equinix, società specializzata in infrastrutture digitali e fornitore di data center multi tenant, ha annunciato quest’autunno una partnership con il Center for Energy Research & Technology (CERT) del College of Design and Engineering dell’Università Nazionale di Singapore (NUS) per esplorare tecnologie che consentano l’uso dell’idrogeno come fonte di combustibile verde per missioni infrastrutture critiche dei data center.

Equinix e CERT lanceranno così il primo progetto di ricerca al mondo per confrontare l’efficienza delle celle a combustibile con membrana a scambio protonico (PEM).

Sempre a Singapore GDS, realtà asiatica specializzata nello sviluppo e gestione di data center ha siglato un accordo con SK ecoplant, società del gruppo sudcoreano SK specializzata in energia e ambiente, per avviare una partnership sperimentale finalizzata a usare la tecnologia delle celle a combustibile per alimentare il futuro data center di GDS nella città stato asiatica. A questo proposito hanno avviato un progetto pilota che studia la tecnologia delle celle a combustibile a ossido solido (SOFC) utilizzando l’idrogeno verde come fonte di energia primaria.

Perché le fuel cell possono diventare interessanti per la produzione di energia sostenibile per i data center? Prima di tutto per la loro efficienza: le celle a combustibile trasformano una frazione più significativa del combustibile in elettricità utilizzabile. Inoltre, essendo anch’esse sistemi modulari, facilitano l’adattamento e l’espansione delle soluzioni energetiche secondo necessità.

In futuro potrebbe avere un ruolo rilevante la geotermia per i data center. Sebbene soddisfi solo una minima frazione del consumo energetico complessivo è una fonte molto promettente e presenta diversi vantaggi. È rinnovabile, è disponibile quasi ovunque ed è considerata la forma più economica di energia rinnovabile; inoltre i pozzi geotermici possono essere utilizzati anche come dissipatori di calore per scopi di raffreddamento, opzione preziosa proprio per le necessità dei data center.

Un beneficio ulteriore è che gli impianti geotermici utilizzano circa l’11% della superficie per gigawattora rispetto al carbone o al solare e circa un terzo rispetto ai parchi eolici. Emettono un sesto dell’anidride carbonica prodotta da una centrale elettrica a gas naturale e il 97% in meno di una centrale elettrica a carbone. La fornitura di energia geotermica è potenzialmente notevole e solo una minima parte è stata sfruttata. C’è chi l’ha già provata per i data center: l’esempio è l’Iron Mountain Data Centers in Pennsylvania. Posto a 200 piedi sottoterra in un’ex miniera di calcare. La decisione di costruire il data center vicino a questa parte della miniera si è basata sulla bassa temperatura ambientale che gode tutto l’anno e sulla posizione del lago per il raffreddamento geotermico.

La geotermia potrebbe essere interessante anche per i Paesi in via di sviluppo, per sostenere energeticamente i data center locali. Di recente il Governo del Kenya ha avviato la costruzione del primo data center geotermico in Africa. Denominato Olkaria EcoCLOUD Data Center, ha una capacità totale di 60 MW, distribuita su tre campus. Incorpora vari elementi di progettazione ecologica, come la generazione di energia solare sul tetto, un utilizzo minimo di acqua, la raccolta dell’acqua piovana e punti di ricarica per veicoli elettrici. Come sottolineato, non è solo un data center: rappresenta l’impegno del Kenya per un futuro sostenibile e tecnologicamente avanzato.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

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