Le nanotecnologie hanno un ruolo essenziale sia per produrre sia per stoccare energia verde. Tra le soluzioni più interessanti, c’è la produzione green di ammoniaca, sostanza molto richiesta dal mercato, interessante per creare idrogeno verde per i trasporti. Sulla possibilità di produrre ammoniaca green e sull’impiego delle nanotech per produrre e stoccare energia lavora Federico Bella, docente del Politecnico di Torino e responsabile scientifico del progetto europeo SuN2rise.

TAKEAWAY

  • Per l’energy storage la ricerca mira ad un utilizzo più efficace delle nanotecnologie, impiegate per esempio anche nella produzione di ammoniaca verde che potrebbe dare una svolta al tema dei combustibili per i veicoli (anche se la produzione su vasta scala rappresenta ancora un problema critico)
  • Non solo nanotecnologie per l’energy storage, la ricerca punta anche all’impiego dei nanomateriali, per esempio per lo sviluppo di nuove tipologie di celle fotovoltaiche
  • E ancora… si stanno analizzando le potenzialità di materiali naturali quali sodio e potassio per sviluppare nuove soluzioni di energy storage, in particolare per gli impianti che sfruttano le fonti rinnovabili (fotovoltaico ed eolico in primis)

Sfruttare le nanotecnologie per l’energy storage e per produrre energia è materia di ricerca che promette un impatto decisamente positivo anche sul fronte ambientale. Un esempio lo offre la possibilità di generare ammoniaca verde, ovvero prodotta grazie a fonti rinnovabili e a impatto zero. L’impiego dell’ammoniaca si conta in innumerevoli settori dell’industria oltre che in agricoltura: ogni anno se ne producono circa 176 milioni di tonnellate per un volume d’affari che sfiora gli 80 miliardi di dollari. Non solo: ha potenziali notevoli quale combustibile del futuro per i veicoli su strada, ma anche per il trasporto marino. Il problema è il suo metodo di produzione su larga scala, basato sul processo Haber-Bosch, uno dei tre processi più impattanti per il nostro Pianeta, sia per domanda energetica sia per emissioni di CO2.

Per produrre l’ammoniaca verde entrano in gioco le nanotecnologie che svolgono anche un importante ruolo per creare sistemi fotovoltaici ibridi e per realizzare le future batterie di accumulo per cui l’Europa ha avviato l’iniziativa di ricerca Battery 2030+. Essa è nata per avviare le condizioni per produrre industrialmente le batterie sostenibili del futuro. Conta su un budget totale di 40,5 milioni di euro distribuiti su sette progetti che contribuiranno alla realizzazione di batterie ad altissime prestazioni, oltre che affidabili, sicure e accessibili.

Federico Bella, docente del Politecnico di Torino e responsabile scientifico del progetto europeo SuN2rise
Federico Bella, docente del Politecnico di Torino e responsabile scientifico del progetto europeo SuN2rise

In tutti questi lavori è protagonista uno scienziato italiano di 34 anni, pluripremiato per l’elevato valore prospettico delle sue ricerche nel campo dell’energia e dell’ambiente. Si chiama Federico Bella, è un docente di fondamenti chimici delle tecnologie del Politecnico di Torino e segue vari promettenti filoni sulla chimica dei materiali per la conversione e lo stoccaggio dell’energia. È il responsabile scientifico del progetto europeo SuN2rise – Solar driven electrochemical nitrogen fixation for ammonia refinery (2021-2026) per la produzione di green ammoniaca.

Tra i riconoscimenti conseguiti, citiamo l’Environment, Sustainability & Energy Division Horizon Prize della Royal Society of Chemistry di Londra per il contributo dato a prolungare la vita delle celle solari e delle batterie, grazie a dispositivi eco-compatibili. L’ultimo premio, da poco ricevuto è la “Medaglia Giorgio Squinzi”, instituita proprio quest’anno dalla Società Chimica Italiana. Bella ne è stato insignito quale miglior ricercatore under 45 per i contributi di rilievo scientifico e applicativo nello sviluppo di materiali innovativi per processi elettrochimici nel settore dell’energia rinnovabile.

Professor Bella, lei lavora sull’impiego delle nanotecnologie per l’energy storage. Quale ruolo svolgono nel processo di produzione green di ammoniaca, al centro del progetto SuN2rise?

Immagine che richiama il funzionamento di un nuovo processo di produzione di ammoniaca mediante l’elettrochimica. Il progetto si chiama SuN2rise - Solar driven electrochemical nitrogen fixation for ammonia refinery - ed è un progetto di ricerca che mira a ridefinire la produzione gree di ammoniaca (sostanza sempre più richiesta per creare idrogeno verde per i trasporti)
Immagine che richiama il funzionamento di un nuovo processo di produzione di ammoniaca mediante l’elettrochimica. Il progetto si chiama SuN2rise – Solar driven electrochemical nitrogen fixation for ammonia refinery – ed è un progetto di ricerca che mira a ridefinire la produzione gree di ammoniaca (sostanza sempre più richiesta per creare idrogeno verde per i trasporti)

Il progetto SuN2rise intende ridisegnare il processo di produzione di ammoniaca mediante l’elettrochimica, branca della chimica che riguarda la trasformazione dell’energia chimica in elettrica mediante due tipi di processi che coinvolgono ossidoriduzioni. Nel caso specifico, ciò che avviene è la rottura del legame dei diversi reagenti tramite una reazione generata all’interno di un particolare dispositivo a 25 °C e a un’atmosfera di pressione, rispetto ai 400-500 °C e alle 300 atm del processo Haber-Bosch.

Il processo è virtuoso per due motivi: innanzitutto si tratta di un processo spontaneo e in grado di produrre energia utile per rigenerare i vari componenti della cella, che ha un ciclo che va riavviato. Inoltre permette di produrre ammoniaca già in fase liquida, non dovendo quindi consumare ulteriore energia per il passaggio da gas a liquido.

Tutto il processo, per essere attuato, ha solo bisogno di aria, acqua e sole. Infatti, impiega azoto, presente al 78% nell’aria, e lo combina con l’idrogeno (parte integrante dell’acqua) per produrre ammoniaca. Tutto questo all’interno di celle elettrochimiche in cui sono presenti due scomparti dove avvengono i due processi di ossidazione e di riduzione alimentate dall’energia solare. Questo permette di evitare l’impiego di materiali reagenti e la necessaria catena di fornitura, consentendo una maggiore sostenibilità ambientale oltre che economica. 

Produrre ammoniaca verde, grazie a questa procedura, sarà possibile direttamente in azienda agricola, grazie all’adozione di pannelli fotovoltaici ibridi trasparenti integrabili nelle serre. Dove entrano in gioco le nanotecnologie? Le celle fotovoltaiche che sviluppiamo sono basate su un nanomateriale, quale agente fotosensibile: si tratta di un elettrodo in ossido di titanio nanostrutturato e reso compatibile per gli usi dell’agrivoltaico, aprendo così a maggiori opportunità di impiego del fotovoltaico in agricoltura.

Questo processo avrebbe un ulteriore vantaggio: essere applicabile in maniera diffusa, contrariamente al processo Haber-Bosch, possibile solo in pochi impianti al mondo date le caratteristiche estreme richieste e che comporta l’ulteriore necessità di trasporto in tutto il mondo e il conseguente impatto ambientale.

La produzione “verde” di ammoniaca apre anche al campo dei combustibili alternativi e net-zero. Come è possibile?

L’ammoniaca è una molecola che contiene idrogeno e ha le medesime applicazioni in prospettiva. Una riguarda l’alimentazione delle fuel cell, le celle a combustibile dei veicoli a idrogeno. A differenza dell’idrogeno puro, offre vantaggi importanti: il primo è che l’ammoniaca ha una maggiore densità energetica dell’idrogeno a parità di volume. Inoltre, essendo più facile da liquefare, è anche più semplice da processare: quindi, la catena di trasporto dell’ammoniaca quale combustibile è molto più gestibile, oltre che più sicura.

Nelle celle a combustibile avverrebbe il cracking, ossia la rottura della molecola di ammoniaca in azoto e idrogeno: il primo tornerebbe in atmosfera, il secondo impiegato come vettore energetico.

Sappiamo che la transizione ecologica in Italia avrà tra i suoi capisaldi la produzione e l’impiego di idrogeno, in particolare idrogeno verde: questa opzione permetterebbe di ovviare a diverse criticità, in primis infrastrutturali, per il suo trasporto e stoccaggio in piena sicurezza.

A proposito di nanotecnologie. Che ruolo svolgono nel suo lavoro di ricerca?

Fondamentale direi. A parte l’impiego delle nanotecnologie per l’energy storage, le celle fotovoltaiche che stiamo sviluppando sono basate su un nanomateriale, un elettrodo in ossido di titanio nanostrutturato colorato in modo chimico con sostanze naturali per renderlo compatibile per integrare queste soluzioni fotovoltaiche nelle serre. In esse esiste una stretta correlazione tra prestazioni, stabilità e la natura “nano” di questo materiale che può conoscere svariate applicazioni. Un esempio è l’elettronica portatile. In questo caso un lato della cella solare è esposto alla luce con il compito di “catturarla”, l’altro invece è integrato con un supercapacitore. Questo consente di generare sia wearable device, come dispositivi medici impiantabili anche sottopelle per il monitoraggio di parametri vitali, oppure per tutt’altro tipo di impieghi. In questo caso, si può pensare all’adozione nelle boe marine “intelligenti”, in grado di raccogliere dati contando su batterie indipendenti e quanto più autonome.

Le nanotecnologie sono quindi il mattone basilare del fotovoltaico del futuro e della conversione verde dell’ammoniaca. Tutti questi processi avvengono soltanto se i materiali sono organizzati a livello nanoscopico.

Lei è detentore di un brevetto internazionale relativo a elettroliti polimerici compositi per celle ricaricabili litio-metallico allo stato solido e il loro processo di produzione. Qual è la sua funzione?

Le attività che abbiamo con le aziende nel settore delle batterie rappresentano il core-business che ci permette di autofinanziarci le attività di ricerca di base sopra descritte. Tra l’altro, io e il team di cui faccio parte collaboriamo attivamente all’iniziativa di ricerca europea Battery 2030+. L’obiettivo non è solo la ricerca, ma lo sviluppo di un’industria europea altamente competitiva. Tra le finalità c’è la realizzazione di 20 gigafactory, distribuite nell’UE e sviluppare un’industria totalmente nuova. Il Politecnico di Torino è l’unica università italiana impegnata e, al di là della ricerca applicata, ha anche il compito di disseminazione culturale, in pratica di formare persone che andranno ad operare in un’industria UE ai primordi. Ricordo, infatti, che in Europa non c’è neppure un’industria che produca batterie al litio. Dagli smartphone all’auto elettrica, le batterie hanno impieghi molteplici (e un giro d’affari enorme e in sensibile crescita: Markets and Markets stima che il suo valore quadruplicherà in 10 anni, passando da poco più di 41 miliardi di dollari nel 2021 a più di 116 miliardi nel 2030 – nda), ma ad oggi la produzione è al 90% concentrata nei paesi asiatici.

Vi state occupando anche di trovare alternative al litio e al cobalto?

Esatto. Oltre all’impiego di nanotecnologie per l’energy storage, stiamo esaminando le potenzialità di sodio e potassio, elementi abbondanti e globalmente diffusi, estraibili dal sale marino, per concepire soluzioni di energy storage specie per impianti a fonti rinnovabili come fotovoltaico ed eolico. Non potranno sostituire il litio nelle applicazioni micro utili per smartphone, tablet e pc, ma in altri contesti (edilizia o automotive, per esempio) possono essere un’opportunità molto interessante.

Trovare un’alternativa al litio, in particolare, non solo aiuta lo sviluppo sostenibile delle batterie, ma anche è un contributo in termini di sicurezza: malgrado le batterie Li-ion siano sul mercato da trent’anni è ancora possibile il rischio di cortocircuito e di incendio.

Nell’ottimizzazione delle celle, entrano in gioco anche IoT e AI. Come?

Sempre nell’ottica dell’industrializzazione delle batterie, uno degli elementi critici è la possibilità di sostituire una cella guasta. Occorre pensare alle batterie come a contenitori nei quali sono presenti decine di celle sotto forma di “fogli”. Se una di esse si guasta, oggi si provvede al cambio dell’intera batteria. L’obiettivo su cui stiamo lavorando, e che riguarda l’impiego delle nanotecnologie per l’energy storage, è inserire sensori IoT nanostrutturati all’interno di ogni cella (in un’auto elettrica se ne possono contare anche 800) e gestire il pacco batteria in modo che esso possa individuare la cella guasta e inibirne il suo funzionamento, isolandola, ma permettendo al pacco batteria di continuare a funzionare. La sfida è consentire questa inserzione in un contesto che presenta elementi molto reattivi e poco compatibili; ci stiamo lavorando da qualche anno e oggi stiamo avendo qualche primo riscontro positivo, che permetterebbe di allungare di molto la vita del pacco batteria in un’auto elettrica.

Un altro elemento importante è il riciclo. Nella nuova concezione di industria europea di batterie (da realizzarsi in un continente privo di litio e cobalto) dobbiamo partire dal recupero e riciclo delle batterie esauste. Il primo problema è che in ogni singola cella questo elemento non è presente in abbondanza, tutt’altro. Il secondo è legato al lavoro pratico, svolto dalle macchine, per estrarlo. Le batterie al litio commerciali si presentano in svariate decine di geometrie e formati diversi. Creare una macchina tarata per ognuna di esse è insostenibile economicamente: per questo stiamo pensando di elaborare algoritmi di Intelligenza artificiale per realizzare il design dell’impianto capace di processare le batterie e di favorire le condizioni per un riciclo economico e porre le condizioni per contare su materia prima seconda per una industria circolare e indipendente.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

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