L’interesse crescente porta a ricercare opzioni più sostenibili per la produzione e la gestione dell’idrogeno. E l’Italia gioca da protagonista in un progetto europeo innovativo.

TAKEAWAY

  • Nel processo di diffusione dell’idrogeno (e, in particolare, dell’idrogeno verde) è fondamentale affrontare e superare le diverse questioni critiche legate al suo stoccaggio.
  • La ricerca lavora per trovare vie più economiche e funzionali per questo. Una delle più recenti è stata condotta da scienziati della Deakin University di Sidney: essa mira a immagazzinare e trasportare in sicurezza enormi quantità di idrogeno verde in forma solida a una frazione del costo energetico corrente.
  • Di particolare livello innovativo è il progetto europeo HyCARE, coordinato dall’Università di Torino, il cui obiettivo è lo stoccaggio mediante idruri metallici, ponendosi come primo sistema di stoccaggio di idrogeno d’Europa di questo tipo. Per la prima volta in Europa, verranno prodotti e immagazzinati circa 50 kg di H2 verde.

Lo stoccaggio dell’idrogeno è un processo al centro di studi e ricerche che intendono affrontare e risolvere le questioni più critiche, favorendo lo sviluppo di questo vettore energetico, soprattutto quello green.

È una tecnologia abilitante fondamentale per il progresso delle tecnologie dell’idrogeno e delle celle a combustibile in applicazioni che includono l’energia stazionaria e portatile nonché i trasporti, soprattutto in riferimento all’idrogeno verde, parte integrante delle cleantech, ovvero quelle tecnologie in grado di ridurre gli impatti ambientali negativi attraverso miglioramenti significativi del modo di produrre e gestire energia.

Ad oggi l’idrogeno verde, prodotto da elettrolisi mediante l’impiego di fonti energetiche rinnovabili, è ancora molto limitato. IEA ricorda che la produzione a basse emissioni ha rappresentato meno dell’1% della produzione totale di idrogeno negli ultimi tre anni.

Ma la situazione è destinata a cambiare: sono diversi i progetti in fase di sviluppo destinati a incrementare la produzione di idrogeno low emission.

La stima dell’International Energy Agency è di passare dalle 0,6 milioni di tonnellate registrate l’anno scorso a oltre 24 milioni di tonnellate di idrogeno verde (per lo più) prodotte annualmente entro il 2030, il 40% in più rispetto alle aspettative dello scorso anno. A questi obiettivi produttivi si legano quelli per lo sviluppo di infrastrutture abilitanti, tra cui quelle per lo stoccaggio e il trasporto.

Proprio sullo stoccaggio dell’idrogeno si concentrano diversi progetti, alcuni dei quali coordinati da realtà italiane.

Stoccaggio idrogeno: un processo critico

Per comprendere perché lo stoccaggio dell’idrogeno sia un processo delicato nel complessivo ciclo produttivo e di gestione dell’H2 occorre partire dalle caratteristiche di questo elemento, il più abbondante dell’universo, anche se sulla Terra lo si trova per lo più combinato con altri elementi, in composti come l’acqua o con idrocarburi e biomasse (composti organici).

L’idrogeno ha la più elevata densità energetica gravimetrica di tutti i combustibili chimici: rispetto alla benzina, per esempio, è tre volte superiore. Tuttavia, la sua bassa densità volumetrica ne limita l’uso diffuso nelle applicazioni di trasporto, poiché le attuali opzioni di stoccaggio richiedono molto spazio.

A temperatura ambiente, l’idrogeno è un gas, anzi è il gas più leggero conosciuto: un chilogrammo di idrogeno occupa un volume di 12 metri cubi, corrispondenti a 12mila litri. Per riuscire a immagazzinarlo occorre ridurne il suo volume. Per questo, viene compresso, a pressioni molto elevate (tra i 200 e i 1000 bar); nel caso dell’idrogeno liquido, che ha una maggiore densità, lo stoccaggio esige una temperatura molto bassa, prossima a quella di ebollizione (-253 °C) e contenitori isolati sotto vuoto.

In entrambi i casi lo stoccaggio dell’idrogeno richiede costi elevati e determinate precauzioni. Servono, quindi, soluzioni più agili per riuscire a svolgere questa operazione, anche perché, da qui ai prossimi anni, affinché si possa raggiungere lo scenario Net Zero è necessario aumentare la produzione di idrogeno verde. Per centrare il traguardo, IEA stima una produzione totale di 95 milioni di tonnellate entro il 2030. Come fare allora?

Idrogeno allo stato solido, le frontiere della ricerca

Una delle più interessanti e recenti scoperte è stata messa a punto presso l’Institute for Frontier Materials della Deakin University di Sidney, da Ying Chen e da Srikanth Mateti.

I due scienziati ritengono che il frutto della loro ricerca possa contribuire a superare la sfida basilare dello stoccaggio dell’idrogeno, consentendo di immagazzinare e trasportare in sicurezza enormi quantità di idrogeno verde (solitamente in forma gassosa) in forma solida a una frazione del costo energetico.

L’approccio messo a punto utilizza il ball milling (“macinazione a sfere”), una tecnica per immagazzinare il gas in uno speciale nanomateriale a temperatura ambiente. Questo metodo si basa su reazioni meccano-chimiche, ossia sull’uso di macchinari per produrre reazioni. L’ingrediente speciale del processo è la polvere di nitruro di boro, le cui caratteristiche la rendono ideale per assorbire le sostanze.

Per fare funzionare il processo, questa polvere viene inserita in un congegno contenente piccole sfere di acciaio inox. Quando la camera ruota a velocità progressivamente più elevate, la collisione delle sfere con la polvere e la parete della camera innesca una speciale reazione meccano-chimica, con conseguente assorbimento del gas nella polvere.

Questo processo di assorbimento dei gas mediante ball milling utilizza circa 77 kilojoule al secondo per immagazzinare e separare mille litri di gas, richiedendo un dispendio energetico notevolmente inferiore(almeno del 90%) rispetto alla distillazione criogenica, processo di separazione di miscele gassose che rappresenta una delle voci più importanti di consumo energetico mondiale.

Lo stoccaggio dell’idrogeno verde

Il futuro dell’energia deve puntare a soddisfare le esigenze e i consumi crescenti con forme produttive che riducano sensibilmente le emissioni di CO2. In questo senso, le fonti rinnovabili come fotovoltaico ed eolico sono quelle più promettenti. Grazie al loro impiego, è possibile immagazzinare energia in eccesso che altrimenti andrebbe persa sotto forma di calore come H2 mediante elettrolisi dell’acqua.

Questo tipo di idrogeno comporta la trasformazione da fase liquida a fase gassosa, con un’efficienza che dipende fortemente dalla tecnologia utilizzata, ma che può raggiungere valori del 75%.

«La logistica dell’idrogeno gassoso prodotto (cioè il suo stoccaggio e la sua distribuzione) è legata alla sua compressione, alla liquefazione o all’interazione con un opportuno vettore, solido o liquido, tutti processi che comportano una perdita di energia, con efficienze fino a circa l’85%» scrivono i ricercatori Erika Michela Dematteis, Jussara Barale, Marta Corno, Alessandro Sciullo, e i docenti Marcello Baricco e Paola Rizzi, del dipartimento di chimica dell’Università di Torino, in un paper dedicato a tracciare gli scenari dei sistemi di stoccaggio dell’idrogeno a stato solido. Proprio in questo loro lavoro, si mettono in luce diverse considerazioni e soluzioni tecnologiche.

Tra queste, hanno una particolare evidenza gli idruri metallicicomposti ionici formati per reazione chimica tra metalli o leghe metalliche e idrogeno. Essi consentono di immagazzinare H2 a bassa temperatura, persino prossima a quella ambiente, e a bassa pressione (anche meno di 50 bar), integrandosi facilmente con un elettrolizzatore a bassa pressione a monte e/o una cella a combustibile a valle.

Italia protagonista del progetto HyCARE

Proprio il professor Baricco è coordinatore del progetto europeo HyCARE – che coinvolge il già citato team dell’Ateneo torinese, oltre ad aziende e Istituti di ricerca italiani ed europei – il cui obiettivo è lo stoccaggio di idrogeno verde mediante metallo idruri. In particolare, per la prima volta in Europa, verranno prodotti e immagazzinati circa 50 kg di H2 verde.

Con tale progetto si intende sviluppare un serbatoio di idrogeno con l’utilizzo di un vettore di idrogeno allo stato solido su larga scala.

Tale serbatoio sarà collegato a un elettrolizzatore a membrana a scambio protonico (PEM) da 20 kW e a una cella a combustibile PEM da 10 kW, rispettivamente come fornitore e utilizzatrice di idrogeno

Il serbatoio di idrogeno HyCARE si baserà su un vettore a stato solido utilizzando l’idruro metallico, che a sua volta farà parte di un impianto di energia rinnovabile che sfrutta l’uso dell’H2 come vettore energetico per l’accumulo di energia stazionario.

Questo contenitore si basa sul concetto che collega l’idrogeno e l’accumulo di calore per lo stoccaggio stazionario dell’energia rinnovabile in eccesso.

Come spiegano Erika Dematteis e Jussara Barale, del team torinese attivo nel progetto, «uno dei principali elementi innovativi, nella composizione del serbatoio, è rappresentato dall’impiego di una lega metallica a base di titanio e ferro che ha il vantaggio di essere una lega commerciale a basso costo, con un mercato potenzialmente pronto ad affrontare produzioni di larga scala. Il materiale permette di stoccare H2 direttamente da un elettrolizzatore a 30 bar e di rilasciarlo a 2 bar per alimentare la fuel cell a una temperatura di 50-55 °C».

L’impiego dei PCM

La parte innovativa del sistema è legata allo scambiatore termico del serbatoio a metallo idruro. «In pratica, si intende accoppiare allo stoccaggio di idrogeno uno storage termico, in modo da usufruire del calore prodotto nella formazione del metallo idruro (reazione esotermica) e nella reazione di rilascio dell’idrogeno (reazione endotermica) – spiegano le due scienziate – Questo accoppiamento tra stoccaggio dell’idrogeno e termico viene svolto grazie a materiali a cambio di fase (PCM). Essi passano da uno stato solido a uno liquido, immagazzinando o rilasciando calore quando è necessario».

L’accoppiamento del PCM con l’idruro metallico nelle condizioni di esercizio di immagazzinamento e di rilascio permette di raggiungere delle efficienze pari al 70%. Tutto ciò consente di avere un sistema che funziona senza richiedere troppa energia esterna per il suo mantenimento e funzionamento.

Il serbatoio HyCARE è vicino al completamento. Prossimamente sarà trasferito all’Engie Lab Crigen di Parigi, dove sarà installato, testato e convalidato.

Stoccaggio idrogeno verde: le prospettive sui materiali

L’interesse del progetto HyCARE, come detto, è legato al cuore del suo processo, basato sulla produzione e stoccaggio di idrogeno verde.

Attualmente le tecnologie più impiegate sul mercato sono lo stoccaggio di H2 gassoso e liquido. Entrambe presentano delle criticità: nel primo caso, in particolare, serve la compressione a pressioni molto elevate (anche 700-1000 bar), che richiedono un alto dispendio energetico ed ingenti spese operative.

Allo stesso modo, è necessario un grande dispendio energetico ed economico per l’idrogeno liquido in cui vengono richieste temperature criogeniche e, di conseguenza, una gestione del serbatoio a temperature estreme.

Ci sono anche altre tecnologie in grado di immagazzinare idrogeno in vari modi. In Europa, per esempio, si assiste a uno sviluppo molto sensibile dei Liquid organic hydrogen carriers (LOHC), molecole organiche ricche di idrogeno, in grado di caricare e rilasciare idrogeno con capacità abbastanza buone.

«Anche grazie al progetto HyCARE, stiamo lavorando molto per dimostrare il grande potenziale dei metalli idruri nello stoccaggio dell’idrogeno, per spingerli sul mercato come sistemi di stoccaggio stazionario dell’idrogeno e come potenziali sistemi per il trasporto dell’idrogeno verde dai siti di produzione a quelli di utilizzo» conclude il team di ricercatrici dell’università di Torino.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin