Il crescente interesse attorno ai supercondensatori e alle loro potenzialità di impiego muove l’attività di ricerca, impegnata a studiare nuove prospettive di utilizzo anche con finalità ambientali. E l’Italia fornisce il suo importante contributo.
TAKEAWAY
- I supercondensatori sono dispositivi elettrochimici di accumulo energetico che trovano spazio, grazie alle loro performance, in svariati settori come automotive, energy ed elettronica e nelle applicazioni “di frontiera” come la robotica flessibile e la Iontronica.
- La loro forza è legata alla possibilità di usare l’energia in maniera più efficiente. Per questo si moltiplicano le prospettive di impiego per l’energy storage, fino ad approdare all’energy harvesting, avvalendosi anche delle nanotecnologie.
- La ricerca italiana contribuisce al loro sviluppo: a Bologna si lavora a migliorare l’autonomia energetica e si studiano potenziali applicazioni per AI e neuromorphic computing; a Torino si è creata una linea pilota per produrre supercondensatori e si studia l’impiego dei supercapacitori per ridurre la CO2 in atmosfera.
Si moltiplicano le prospettive di impiego dei supercondensatori per l’energy harvesting e, ancor prima, per l’energy storage, ma anche per la loro connessione con impianti fotovoltaici o per applicazioni IoT, fino ad arrivare al loro uso per sviluppare reti neurali, elementi basilari degli algoritmi di deep learning.
Oggi, una delle esigenze più sentite in svariati settori è la necessità di efficienza energetica. Dal mondo industriale all’elettronica, risparmiare o recuperare energia è una delle priorità, accanto a produrne in maniera sempre più “pulita” e rinnovabile. La decarbonizzazione richiede efficienza e sostenibilità: in entrambi i casi i supercondensatori possono fornire un importante contributo. Per le loro caratteristiche, sono elementi strategici nell’industria elettronica, nell’automotive, specialmente nell’e-mobility dove sono componenti fondamentali. Ma si fanno apprezzare anche nel mondo Energy, specie nelle applicazioni integrate negli impianti fotovoltaici, come pure per gestire al meglio fluttuazioni di rete, elemento basilare per le prossime smart grid.
La significativa crescita dell’industria elettronica, insieme alla crescente richiesta di apparecchiature ad alta efficienza energetica per i sistemi di energia solare ed eolica, è uno dei fattori chiave che creano un impatto positivo sul mercato. La loro adozione sempre più diffusa ha conosciuto, almeno negli ultimi cinque anni, una crescita esponenziale, che è ipotizzata anche per i prossimi anni: il mercato mondiale dei supercapacitori, che nel 2021 ha raggiunto un valore di 3,5 miliardi di dollari, si prevede che arriverà, nel 2027, a 14,3 miliardi di dollari, quadruplicando quindi il proprio valore.
Dal “macro” al “micro”, grazie alle loro caratteristiche, i supercondensatori possono entrare praticamente dovunque, dai wearable device alla micro robotica flessibile. Quest’ultima applicazione l’hanno ipotizzata alcuni ricercatori della Bejing Institute of Technology che hanno illustrato su Nature Communication le potenzialità dei micro-supercapacitori con ricarica wireless integrati.
Ma le potenzialità più interessanti, i supercondensatori le stanno mettendo in luce in alcuni filoni di ricercarivolti alla Iontronica. Si tratta di un concetto interdisciplinare emergente, che guarda all’elettronica organica, comprendendo l’elettrochimica, la fisica dello stato solido, l’ingegneria elettronica e le scienze biologiche.
La ricerca italiana c’è ed è molto attiva: in questo senso c’è un progetto europeo, vincitore di un ERC, che punta a impiegare i supercapacitori per catturare e ridurre la CO2 emessa in atmosfera e al contempo produrre energia. A coordinare il progetto è Andrea Lamberti, docente del DISAT del Politecnico di Torino: l’ideatore del progetto e lo stesso Dipartimento e Ateneo sono direttamente coinvolti nell’avvio di una linea pilota per la fabbricazione di supercondensatori e batterie ricaricabili su una scala intermedia tra le tipiche attività di laboratorio e l’industria.
Supercondensatori per l’energy harvesting: caratteristiche e finalità
Il supercondensatore (o supercapacitore) è un dispositivo elettrochimico che ha la capacità di immagazzinare carica elettrica tramite un veloce processo elettrostatico. Consiste, per lo più, in due elettrodi di carbone a elevata area superficiale, immersi in un elettrolita costituito da ioni positivi e negativi dissolti in un solvente. Mentre si carica, gli ioni dell’elettrolita si accumulano sulla superficie degli elettrodi, immagazzinando così energia. Rispetto alle batterie tradizionalmente utilizzate, i supercondensatori forniscono una potenza superiore, permettendo di gestire in modo più efficiente, ad esempio, fluttuazioni di rete. Inoltre, sono in grado di accumulare una quantità di carica elettrica notevolmente superiore rispetto ai condensatori tradizionali.
Uno degli ambiti più interessanti di impiego dei supercondensatori è per l’accumulo di energia da sistemi che convertono energia disponibile nell’ambiente in diverse forme (termica, solare, meccanica), detti environment energy harvesters. I supercpndensatori, rappresentano un componente funzionale essenziale degli energy harvester proprio per la loro notevole capacità di accumulare rapidamente e in gran quantità le piccole energie catturate e renderle disponibili in maniera immediata e utile ai dispositivi elettronici. La raccolta e l’accumulo energetico dall’ambiente è una valida alternativa per alimentare dispositivi wireless come sensori e wearable device in modo pulito e sostenibile, convertendo l’energia ambientale in elettrica. Le principali fonti di energia nell’ambiente comprendono la luce, la differenza di temperatura, la deformazione, le vibrazioni.
Quando si parla di supercapacitori, si parte da una necessità basilare: usare l’energia in maniera più efficiente. Come è possibile farlo, combinando l’efficienza energetica alla sostenibilità? Usando, appunto, sistemi di energy storage come batterie e supercapacitori, che hanno il vantaggio di poter essere impiegati praticamente dovunque, grazie alla loro scalabilità. In più, permettono anche di alimentare dispositivi autonomi, come wearable device o componenti elettronici.
La vocazione dei supercondensatori per l’energy harvesting è al centro del progetto internazionale THOR (lighTweight self-cHarging piezO-supercapacitoR systems by nanotechnologies), Commissionato dalla Nato, il cui obiettivo è sviluppare sistemi accoppiati di piezoelettrici e supercondensatori, leggeri, efficienti e indossabili, costituiti da nanocompositi elettrofilati, per alimentare dispositivi elettronici portatili e sensori durante le missioni militari, offrendo così un’alternativa efficace rispetto alle batterie, essendo sia più leggeri e performanti che più sostenibili per l’ambiente. Il progetto è a “firma” italiana: a coordinarlo, infatti, è l’Università di Bologna e, in particolare, la Prof.ssa Chiara Gualandi del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Alma Mater Studiorum. Al team partecipano anche la Prof.ssa Francesca Soavi e il Prof. Davide Fabiani, per lo sviluppo di supercondensatori e la loro integrazione con energy havesters piezolettrici.
Italia protagonista nella ricerca: supercondensatori per l’energy harvesting nella riduzione delle emissioni di CO2
Sempre italiano è l’ideatore e coordinatore del progetto che punta a sequestrare la CO2 emessa in atmosfera grazie ai supercapacitori. Andrea Lamberti, professore associato del DISAT – Department of Applied Science and Technology del Politecnico di Torino ha avviato il progetto europeo CO2CAP (vincitore di un ERC Starting Grant da 1,5 milioni di euro), la cui finalità è recuperare energia rinnovabile alternativa proveniente dalle emissioni di anidride carbonica. Un ulteriore esempio di applicazione dei supercondensatori per l’energy harvesting, su cui Lamberti svolge ricerca da diversi anni, anche in collaborazione con Federico Bella (docente del Politecnico di Torino, il quale segue vari filoni sulla chimica dei materiali per la conversione e lo stoccaggio dell’energia), su questi dispositivi e anche sulle batterie e altre soluzioni per l’energy storage. Da qui si arriva alle opportunità di stoccaggio di CO2. «L’idea alla base del progetto è la cattura dell’anidride carbonica – e del recupero energetico – con un processo sostenibile a livello ambientale, studiando la possibilità di usare, debitamente ingegnerizzati, liquidi ionici, che sono sali sciolti in temperatura ambiente, senza uso di solventi. Il compito per cui sono stati concepiti è proprio la carbon capture in maniera selettiva, rilasciandola con un dispendio energetico inferiore a quello che richiedono le soluzioni attuali».
Il supercondensatore entra in campo qui: i liquidi ionici possono essere, infatti, ottimi elettroliti. «Quando essi catturano il biossido di carbonio modificano le loro proprietà e così facendo, modificano a loro volta l’energia all’interno del dispositivo». Il risultato è che catturando la CO2 e rilasciandola – come già accade nei processi industriali – è possibile anche recuperare energia, in forma chimica di assorbimento, e trasformarla in energia elettrica all’interno di un supercapacitore. Per questo è stato impiegato un dispositivo molto simile a quelli commerciali, quindi scalabile a uno già esistente sul mercato.
Il processo permette non solo di catturare e rilasciare poi un flusso di CO2 pura per la conseguente valorizzazione, ma anche di farlo in maniera decisamente più sostenibile. Oggi, infatti, il procedimento viene svolto mediante acqua ed etanolammine, composti impattanti per l’ambiente e con un approccio multidisciplinare basato, tra l’altro, sulle nanotecnologie e sui nanomateriali.
«Questa tecnologia è totalmente sovrapponibile a quella dei supercondensatori: per cui ogni avanzamento che viene fatto in questo progetto può essere trasferito nell’energy storage e agli ambiti di potenziale interesse, dall’emobility alla wearable electronics fino ai sensori IoT per la sensoristica remota e distribuita, sempre più nella combinazione tra supercondensatori e fotovoltaico, per la produzione e accumulo energetici» sottolinea Lamberti.
Il ricercatore e docente lavora anche – insieme a Federico Bella e a Silvia Bodoardo, colleghi del DISAT e del Politecnico di Torino – alla linea pilota per la produzione di supercondensatori, nata di recente nel capoluogo piemontese. I motivi sono diversi, uno dei quali è cercare di fornire un’opportunità per realizzare supercapacitori in Europa, su cui – a parte poche eccezioni – è ancora dipendente dall’Asia. «L’obiettivo è creare un ponte tra la ricerca di laboratorio, che spesso si ferma alla pubblicazione scientifica, e quella applicata al mondo industriale. L’intenzione è quindi creare un’infrastruttura di trasferimento tecnologico che garantisca l’evoluzione della ricerca di laboratorio, arrivando a una pre-prototipazione» spiega Lamberti.
Batterie e supercondensatori: differenze e ruolo delle nanotecnologie
Supercondensatori e batterie sono dispositivi elettrochimici simili per caratteristiche, ma il principio di funzionamento è diverso. «Nelle batterie ci sono reazioni elettrochimiche e processi faradici che permettono di accumulare molta energia a parità di volume e massa. Le batterie sono guidate da processi di trasferimento elettronico di ossidoriduzione, che comporta tempi più lenti e meno stabilità nel tempo. Nella loro configurazione tradizionale i supercondensatori sono caricati per processo elettrostatico, con una separazione di carica ai due elettrodi, tipicamente costituiti da carbonio. Il processo è molto più rapido rispetto a una batteria ed essendo un accumulo di carica il processo avviene solo sulla superficie degli elettrodi. Questo significa che i supercapacitori sono più rapidi ad accumulare ed erogare carica, oltre che molto più potenti e con una vita di ciclo lunghissima» illustra Francesca Soavi.
La ricerca, inoltre, punta a creare supercondensatori con una capacità di accumulo sempre più elevata. Per questo si intende combinare nella loro struttura dei materiali provenienti dal mondo delle batterie. Per i dispositivi più piccoli, la sfida è data dalla miniaturizzazione. Occorrono dispositivi di accumulo facilmente integrabili, come appunto gli energy harvester. «Sono dispositivi di varie forme e caratteristiche. E, anche in questo caso, i supercondensatori per l’energy harvesting si rivelano vincenti su piccoli sistemi, perché hanno una risposta dinamica migliore rispetto alle batterie, sono più flessibili rispetto ad esse».
A giocare a favore dei supercondensatori è anche l’innovazione tecnologica sui materiali basata sulle nanotecnologie. Una delle più recenti scoperte scientifiche l’ha presentata un team di ricerca del Korea Institute of Materials Science, il quale è riuscito a sviluppare la prima fibra di nanotubi di carbonio multifunzionale al mondo che raggiunge contemporaneamente un’alta capacità di immagazzinamento dell’energia e un’elevata resistenza.
Il team di ricerca ha applicato un trattamento superficiale alle fibre di nanotubi di carbonio e ha prodotto un supercapacitore a fibra ad alta resistenza, inducendo la crescita di carbonio poroso. Questo ha permesso la sintesi di un nuovo materiale fibroso con proprietà di accumulo di energia, pur mantenendo la resistenza delle fibre di nanotubi di carbonio. I ricercatori hanno confermato che il supercondensatore a fibre funziona in modo stabile sostenendo un peso elevato. Le potenzialità della tecnologia multifunzionale della fibra di nanotubi di carbonio, grazie alle proprie prestazioni unite alla leggerezza, troveranno molteplici impieghi: nei droni, nei veicoli elettrici ma anche nel settore aerospaziale e aeronautico.
Dall’Iontronics al deep learning: le potenzialità della combinazione elettronica – micro energy storage
Un altro filone di ricerca è legato alla possibilità di aumentare l’energia, ovvero la capacità di accumulo dei cosiddetti supercondensatori ibridi. In questo caso si fa utilizzo di elettrodi non più basati su carbonio, ma su altri materiali con una risposta molto rapida all’accumulo di carica. Tra questi, i polimeri conduttori elettronici.
Da qui è nata collaborazione tra Francesca Soavi e Clara Santato (docente di Ingegneria fisica al Polytechnique Montréal) per lavorare sull’elettronica organica e, in particolare, sulla Iontronics: «in pratica si lavora sul cambiamento della proprietà di conduzione elettrica dei materiali semiconduttori tramite una reazione elettrochimica reversibile. A fronte di questo processo, cambiando una componente del transistor, si è realizzato un “trans-cap”, un transistor che una volta acceso porta il semiconduttore allo stato di conduzione ma l’energia così spesa viene accumulata. Quando viene spento, quell’energia viene erogata, ottenendo così un consumo molto basso».
Le due scienziate hanno pubblicato di recente un articolo che mette in luce le prospettive aperte nel campo dell’Iontronics. In particolare, hanno focalizzato l’attenzione sulle potenzialità di collegare l’elettronica e il micro energy storage per lo sviluppo di oggetti piccoli, intelligenti e remoti, che richiede componenti in microscala e autonomia energetica.
«I transistor sono un elemento chiave in qualsiasi circuito integrato e l’uso di elettrodi di carbone si è dimostrato efficiente per ottenere una modulazione di corrente a bassa tensione, riducendo l’energia richiesta per farli funzionare – specifica Soavi – Inoltre, l’integrazione monolitica di un transistor ion-gated e di un supercapacitore ha permesso di immagazzinare e riutilizzare fino al 50% dell’energia usata per accendere il transistor».
La Iontronics è importante perché riesce a guidare un segnale elettrico mediante un altro segnale. «Se si usano materiali supercapacitivi, la velocità è elevata, nei tempi dell’elettronica. Impiegando queste soluzioni è possibile contribuire alla creazione di reti neurali, modulando la conduzione elettronica di questi semiconduttori per via elettrochimica». Oltre ai supercondensatori per l’energy harvesting, questi dispositivi ibridi concorrono a costruire i presupposti del deep learning, costruendo le reti neurali. In questa direzione stanno avendo grande considerazione anche i materiali impiegati nelle batterie Li-Ion: nasce così la “Lithium Iontronics” opportunità per creare nuovi dispositivi utili per reti neurali e per la neuromorphic computing.