Che peso ha l’azione dei fornitori nel percorso che conduce alla decarbonizzazione delle aziende? Qual è il valore della collaborazione tra le due tipologie di attori? E come è possibile attivarla?

TAKEAWAY

  • Un recente studio condotto da Carbon Disclosure Project (CDP) e Boston Consulting Group (BCG) indaga l’impatto ambientale delle catene di approvvigionamento, la cui conoscenza puntuale – secondo gli autori – è fondamentale nella messa a fuoco dell’impronta di carbonio dell’intero ecosistema in cui operano le aziende e nella definizione di un efficace piano per ridurla.
  • Tuttavia, lo studio mette in luce un dato non roseo: solo il 38% delle aziende è impegnato con i propri fornitori in tema di decarbonizzazione. Numero piuttosto lontano dall’approccio fondato sulla collaborazione e sulla condivisione di dati e di strategie.
  • Uno degli strumenti volti a spingere verso un maggiore coinvolgimento della supply chain nella quantificazione e nel progressivo taglio delle emissioni di CO2, è dato dall’adozione di una piattaforma basata su tecniche AI per la misura e il monitoraggio delle emissioni indirette prodotte lungo tutta la catena del valore dell’azienda.

In materia di decarbonizzazione, l’ultima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26) – svoltasi a Glasgow dal 31 ottobre al 13 novembre 2021 – ha fissato il taglio del 45% delle emissioni globali di CO2 entro il 2030 e il conseguimento dell’obiettivo Net-Zero (zero emissioni nette) entro il 2050. Tali traguardi rappresentano – insieme – un imperativo morale che ognuno di noi ha nei confronti del pianeta. Le aziende di ogni settore e dimensione, in particolare, sono chiamate a tenere costantemente sotto controllo la propria impronta di carbonio (carbon footprint). E non solo loro.

Lo studio “Engaging the chain: driving speed and scale. CDP global supply chain Report 2021”, a cura dell’organizzazione internazionale Carbon Disclosure Project (CDP) in collaborazione con Boston Consulting Group (BCG), presentato in anteprima lo scorso 9 febbraio durante un evento online, pone l’accento sull’urgenza di coinvolgere nel processo di decarbonizzazione l’intera catena di fornitura di ogni azienda, tracciando un quadro puntuale delle emissioni di carbonio di tutto l’ecosistema in cui ciascuna opera. Il perno del processo – come ha rimarcato Paul Simpson, Chief Executive Officer di CDP – dovrà essere la collaborazione tra aziende e supply chain, fatta di condivisione dei dati relativi agli impatti delle proprie attività sull’ambiente. Detto così, sembra un lavoro lineare. Ma non lo è affatto. Vediamo in che modo può essere svolto.

Taglio delle emissioni di CO2: le azioni autonome non sono sufficienti

L’imponente studio citato – condotto da CDP in collaborazione con BCG – mira a esplorare l’impatto ambientale delle catene di approvvigionamento e le azioni messe in atto per ridurlo, a partire da una serie di dati raccolti a livello globale mediante questionari in materia di cambiamenti climatici, deforestazione e sicurezza idrica inviati, in totale, a 23.487 aziende della supply chain, con oltre 11.457 risposte singole ricevute.

Per quanto riguarda, nello specifico, i cambiamenti climatici, un primo dato messo in luce dallo studio vede, complessivamente, nel 2020, il 75% dei fornitori intervistati riferire circa le proprie emissioni di gas serra dirette (emissioni Scope 1, generate dall’azienda stessa) e indirette (Scope 2, generate dall’energia acquistata e consumata dall’azienda), oltre alle azioni intraprese per ridurle, arrivando, globalmente, a un taglio di 231 milioni di tonnellate di emissioni CO2.

Nessun dato – nello stesso periodo di tempo – è stato, però, rilevato in merito a tutte le altre emissioni indirette prodotte dalla catena del valore dell’azienda (emissioni Scope 3). E questo è un primo punto. Il secondo ha a che vedere col fatto che nessuno dei fornitori intervistati è stato in grado di riferire dati puntuali sui prelievi di acqua dall’ambiente, né sul consumo di materie prime forestali. Come già sottolineato in seno alla COP26:

«… le azioni autonome non sono sufficienti. Le questioni ambientali sono interconnesse. Le aziende non possono raggiungere i loro obiettivi di decarbonizzazione tagliando le emissioni, ma generando, al contempo, una deforestazione di massa o consumi di acqua oltre le soglie critiche nella loro catena di approvvigionamento»

La sola quantificazione delle azioni (priva di analisi dei rischi) non è una via percorribile

Nel corso del 2021 – come accennato – ai questionari inviati hanno risposto 11.457 fornitori, di cui 5.285 PMI, con un aumento complessivo delle risposte del 41% rispetto al 2020, Dato – questo – probabilmente legato, secondo gli analisti, «a una crescente pressione per una maggiore trasparenza ambientale da parte di clienti e altri stakeholder».

Nel dettaglio, il 71% dei fornitori ha segnalato emissioni di gas serra dirette, il 55% emissioni di gas serra indirette e solo il 20% emissioni derivate da beni e servizi acquistati (Scope 3).

La prima novità rispetto all’anno precedente è data dall’avere fornito dati sulla sicurezza idrica – con il 62% dei fornitori che ha riferito cira il prelievo di acqua, il 60% il consumo di acqua e il 57% gli scarichi idrici – e sul consumo di materie prime forestali, con ben il 63% dei fornitori che ha dichiarato di acquistare materie prime da paesi ad alto rischio di deforestazione.

Grafico che illustra come l’80% dei fornitori intervistati non comunichi alle aziende i dati relativi alle proprie emissioni. (Fonte: “Engaging the chain: driving speed and scale. CDP global supply chain Report 2021”, a cura di CDP in collaborazione con Boston Consulting Group).
L’80% dei fornitori intervistati non comunica alle aziende i dati relativi alle proprie emissioni (Fonte: “Engaging the chain: driving speed and scale. CDP global supply chain Report 2021”, a cura di CDP in collaborazione con Boston Consulting Group).

Tuttavia, non emerge ancora, da parte delle aziende intervistate, l’approccio alla misurazione del proprio impatto ambientale. C’è stata, certo, una quantificazione delle proprie azioni, ma prive di un’analisi dei rischi. Ad esempio, i rischi idrici maggiormente segnalati sono le inondazioni e la mancanza di risorse, ma solo il 13% dei fornitori ha confermato di avere messo in atto procedure per valutare tali rischi e nessuno ha definito piani per farvi fronte.

Relativamente alle emissioni, solo il 28% ha detto di avere in atto un piano di transizione che porti a un taglio delle emissioni di CO2. Questo numero è troppo basso. E, inoltre, si legge nel Report «dando uno sguardo più approfondito ai dati forniti, scopriamo spesso che tali piani e strategie non corrispondono alle aspettative degli stakeholder e che solo il 2,5 degli obiettivi che includono sono in linea con le riduzioni delle emissioni previste dalle politiche globali sul clima, tra cui il mantenimento dell’aumento della temperatura al di sotto di 1,5°C».

Grafico che illustra come solo il 28% dei fornitori intervistati abbia in atto un piano di transizione a basse emissioni di carbonio (Fonte: “Engaging the chain: driving speed and scale. CDP global supply chain Report 2021”, a cura di CDP in collaborazione con Boston Consulting Group).
Solo il 28% dei fornitori intervistati ha in atto un piano di transizione a basse emissioni di carbonio (Fonte: “Engaging the chain: driving speed and scale. CDP global supply chain Report 2021”, a cura di CDP in collaborazione con Boston Consulting Group).

Taglio delle emissioni di CO2: strategie per aumentare il coinvolgimento dei fornitori

Per definire tassi di interesse e criteri per l’accesso al credito, Istituzioni finanziarie e investitori sono sempre più focalizzati su come le aziende gestiscono l’impatto delle proprie attività sull’ambiente anche attraverso le loro catene di approvvigionamento.

Nel rapporto The Economics of Biodiversity: The Dasgupta Review si fa riferimento a un’economia in cui la natura ha un ruolo preciso e a un sistema socio-economico che tiene conto delle questioni ambientali, che fungono da guida a prese di posizioni e a precise scelte in termini di investimenti. E, in questo, i dati relativi ai consumi energetici riferiti a determinate attività, il calcolo delle impronte di carbonio, la misurazione delle emissioni e la definizione di piani che prevedono un taglio delle emissioni di CO2 sono azioni imprescindibili.

Dallo studio emerge che solo il 38% delle aziende è impegnato con i propri fornitori sulle tematiche inerenti al cambiamento climatico. Percentuale che scende al 26% se si tratta di deforestazione e al 16% di sicurezza idrica.

Come migliorare, dunque, la portata del coinvolgimento dei fornitori a livello globale? Una strada percorribile è quella indicata da Carbon Disclosure Project e BCG per mezzo del Sustainable Procurement Pathway, strumento da loro messo a punto per «giungere a una strategia di approvvigionamento sostenibile, con l’obiettivo di ottenere una riduzione coerente degli impatti ambientali lungo la catena del valore» ha spiegato Sonya Bhonsle, Global Head of Value Chains & Regional Director, Corporations di CDP, durante l’evento di presentazione.

In particolare, lo sviluppo della “strategia di approvvigionamento sostenibile” poggia su cinque fasi, definite in base al livello di maturità di ogni azienda (Foundation, Practice, Embed Enhance e Lead), ognuna delle quali include diversi obiettivi e azioni.

Oltre a questo strumento, è previsto il Supplier Engagement rating (SER), che analizza i dati divulgati dalle aziende in tema di lotta ai cambiamenti climatici e relativi al coinvolgimento dei fornitori e alla governance. «Coloro che ottengono il punteggio SER più alto entrano a fare parte della Supplier Engagement Leaderboard. L’inclusione in questo elenco dimostra che un’azienda sta lavorando in modo proattivo con i propri fornitori per garantire che l’azione contro il cambiamento climatico si ripercuota a cascata lungo la catena di approvvigionamento» ha concluso Bhonsle.

La condivisione dei dati è il vero punto di partenza

Ma un maggiore coinvolgimento della supply chain nel processo di decarbonizzazione, oltre a “collaborazione”, significa anche condivisione trasparente – tra aziende e fornitori – dei dati sulle rispettive emissioni, arrivando a “quantificare” in modo preciso l’impronta di carbonio di tutti gli attori e ad acquisire una maggiore consapevolezza circa il percorso da compiere verso il taglio delle emissioni di CO2.

Ecco che, durante l’evento online dello scorso 9 febbraio, è stato presentato un ulteriore strumento atto a una “strategia di approvvigionamento sostenibile”, ossia la nuova piattaforma di BCG e CDP per la misura e il monitoraggio delle emissioni indirette (le cosiddette “Scope 3”), prodotte lungo la catena del valore dell’azienda.

Tale piattaforma è, in realtà, l’evoluzione del software CO2 AI di BCG, basato su tecniche di intelligenza artificiale che – come ha sottolineato Rich Lesser, Global Chair di BCG – è nato per colmare la mancanza di precisione e di completezza nella stima delle emissioni di gas da parte delle organizzazioni. Sfrutta, in particolare, algoritmi di machine learning in grado di calcolare in tempo reale – in base all’analisi e all’incrocio di una serie di dati relativi all’attività dell’azienda – le emissioni prodotte direttamente da quest’ultima (Scope 1 e 2) e, come accennato, le emissioni indirette, elaborando il carbon footprint dell’intero ecosistema.

Oltre alle funzioni di calcolo, compie anche simulazioni circa il potenziale impatto del taglio delle emissioni di CO2 e suggerisce automaticamente le migliori opzioni. Supporta il processo decisionale dell’organizzazione, «a partire dalla progettazione del prodotto fino all’approvvigionamento, dalla sua produzione fino alla distribuzione».

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin