La ricerca ad alto rischio, fondamentale per il futuro in molti settori, va sostenuta. Per questo l’Europa la finanzia mediante gli ERC. Ma per gli scienziati italiani è un percorso arduo: così è nata ERC in Italy. Ecco cos’è e come intende agire.

TAKEAWAY

  • La ricerca di frontiera è un’autentica eccellenza, ad alto rischio, ma dai grandi potenziali. L’Unione Europea sostiene chi la porta avanti mediante finanziamenti dedicati: gli ERC.
  • Si contano numerosi ricercatori italiani premiati, ma molti hanno dovuto andare all’estero per trovare spazio: così ci perde doppiamente l’Italia.
  • Per cercare di invertire la tendenza è nata ERC in Italy, Associazione che intende “fare rete” e creare le condizioni perché anche in Italia si possa promuovere la ricerca di frontiera.

L’Europa crede molto nella potenzialità della ricerca d’eccellenza e lo fa attraverso gli European Research Council (ERC) per l’innovazione e la ricerca di frontiera, ovvero la ricerca ad alto rischio e alto guadagno che può creare grandi prospettive socio-economiche per i Paesi. La Comunità Europea la finanzia attraverso speciali finanziamenti noti, appunto, come ERC.

L’European Research Council è un organo europeo istituito nel 2007 che finanzia la ricerca di frontiera eccellente. Il suo bilancio complessivo, dal 2021 al 2027, è superiore ai 16 miliardi di euro, nell’ambito del programma Horizon Europe. La missione di ERC è:

«incoraggiare la ricerca di altissima qualità in Europa attraverso un finanziamento competitivo e di sostenere la ricerca di frontiera guidata dai ricercatori in tutti i campi, sulla base dell’eccellenza scientifica»

L’unico criterio di selezione è “l’eccellenza scientifica” e l’obiettivo è riconoscere le migliori idee e conferire status e visibilità ai migliori cervelli europei e non, che vogliano contribuire alla crescita del continente. Ma non è solo un semplice finanziamento. L’intento dei premi è rafforzare e modellare sostanzialmente il sistema di ricerca europeo.

L’Italia, secondo lo stesso Consiglio Europeo della Ricerca, si è posizionata al secondo posto assoluto nella graduatoria dei 397 ricercatori che hanno vinto l’ultima call ERC. Tra i cittadini dei 45 Paesi vincitori di questo bando, si contano ben 58 ricercatori italiani, subito dietro ai tedeschi (67 ricercatori), ma prima di francesi (44) e olandesi (27).

Tutto bene, quindi? Purtroppo no. Esiste una specie di paradosso italiano dell’ERC che vede coinvolti gli scienziati italiani. Pur vincendo molte sovvenzioni dal Consiglio Europeo della Ricerca, spesso gestiscono i loro progetti all’estero. Lo ha messo in luce un articolo pubblicato su Nature, scritto da quattro scienziati italiani, a loro volta vincitori di un premio di ricerca europeo e accomunati dal desiderio di invertire la tendenza.

Tra i firmatari e fondatori dell’Associazione, in veste di vicepresidente c’è Francesco Pasqualini, docente di Industrial Bioengineering all’Università di Pavia, dove ha avviato il Synthetic Physiology Lab. La sua ricerca ha ricevuto 2 milioni di euro di finanziamento da ERC per studiare il ruolo della matrice extracellulare nello sviluppo fetale e nelle malattie congenite del cuore.

Professor Pasqualini, a proposito del valore degli European Research Council per l’innovazione e la ricerca di frontiera, come vengono suddivisi i fondi e su quali somme riescono a contare?

Francesco Pasqualini, tra i fondatori di ERC in Italy
Francesco Pasqualini, tra i fondatori di ERC in Italy

Gli European Research Council sono suddivisi in tre livelli: Starting Grant, per i ricercatori entro 7 anni dal dottorato; Consolidator Grants, per chi ha maturato 7-14 anni; Advanced Grant da 14 anni in poi. In media, per i primi si può contare su un finanziamento fino a 1,5 milioni di euro per 5 anni. Per gli altri due i massimali sono rispettivamente di 2 milioni e 2,5 milioni. Per confronto, un PRIN (Progetto di Rilevante Interesse Nazionale) conta su 3-400mila euro circa per 3 anni. Si tratta di finanziamenti corposi: solo gli ERC 2021 per gli Starting Grant prevedono 619 milioni di euro investiti in progetti.

Perché avete fondato ERC in Italy?

Tutto è nato da un colloquio informale con Paolo Decuzzi [direttore e fondatore del Laboratorio di Nanotecnologia per la Medicina di precisione all’IIT, vincitore di un ERC Proof of Concept Grant 2019-2020 – ndr] sulla necessità di fare networking in Italia e di creare un gruppo tra vincitori di un ERC nel settore legato a fisica e ingegneria. Ci siamo accorti, parlandone tra noi, di avere tutti lo stesso tipo di problemi associati a essere una minoranza. Per quanti ERC possano esserci in Italia, finiscono poi – tranne rare eccezioni – per essere meno del 10% in dipartimento, ateneo e sul territorio nazionale. Quando si è così in pochi, è difficile fare massa critica e cambiare le cose. Un altro aspetto emerso è che in Italia c’è una cattiva percezione sui vincitori di un ERC, spesso considerati come quelli “che saltano la fila” delle cattedre universitarie. Purtroppo chi resta in Italia, facendo ricerca e didattica con risorse economiche e umane limitate o nulle, può provare del risentimento verso chi torna in ateneo con un importante finanziamento per avviare una ricerca di frontiera senza “fare la gavetta” locale. Va considerato, però, che chi parte fa sacrifici personali enormi, che spesso vengono dati per scontati da chi è rimasto. In ogni caso, una certa frizione culturale esiste e, come minoranza, questa frizione è pericolosa. Sulla base di queste osservazioni, insieme a Manuela Raimondi del Politecnico di Milano (presidente di ERC in Italy, docente di bioingegneria e titolare dell’insegnamento di Tecnologie per la Medicina Rigenerativa) e a una ventina di altri colleghi, abbiamo fondato ERC in Italy, la scorsa estate, trovando una sede, avviando un sito web, reclutando quanti più vincitori di un premio UE. Ad oggi siamo circa 150; altri 50 stanno perfezionando l’iscrizione e solo questa settimana abbiamo avuto dieci nuove richieste. Ci sono solo 600 progetti ERC appoggiati in Italia, quindi ci stiamo espandendo in fretta e speriamo presto di coinvolgere e rappresentare tutti. 

In tema di European Research Council per l’innovazione, quali sono gli aspetti più critici, le necessità e le complessità che intendete affrontare?

Come esposto nell’articolo-manifesto, c’è bisogno di un sistema in cui i giovani ricercatori di talento possano sviluppare un profilo competitivo con i loro colleghi europei. Per realizzarlo, abbiamo bisogno di tre categorie principali di azioni: innanzitutto servono iniziative di scouting e formazione per chi è particolarmente portato per la ricerca di frontiera. Inoltre c’è bisogno di una valutazione quanto più oggettiva ed equilibrata dei progetti di ricerca e delle promozioni individuali. Servono risorse finanziarie che permettano di garantire meccanismi di finanziamento regolari con la giusta programmazione: così sarà possibile creare le giuste condizioni per supportare i ricercatori a trovare le condizioni più favorevoli per fare ricerca ad alto rischio. Tutto questo occorre attuarlo, senza però togliere risorse a chi ha svolto e svolge ricerca di base e applicata e che hanno affrontato analoghe criticità e problemi sistemici. In altre parole, a noi piace considerare i vincitori di un ERC per la ricerca di frontiera come enzimi che catalizzano una reazione o lievito capace di trasformare in meglio il proprio contesto.

Quali filoni premiano gli European Research Council per l’innovazione e la ricerca di frontiera?

ERC premia tutte le linee di ricerca, per convenienza divise in tre macroaree: Life Sciences, fisica e ingegneria, scienze sociali e umanistiche. L’ampia gamma di linee di ricerca è un pregio, a cui si aggiunge anche il fatto che il meccanismo di finanziamento è atematico, contrariamente ad altri criteri di bando che pongono molti vincoli. Con gli ERC, l’unico aspetto fondamentale è che alla base del progetto vi sia l’eccellenza scientifica. Essendo di natura “investigator-driven” o “bottom-up”, l’approccio dell’ERC permette ai ricercatori di identificare nuove opportunità e direzioni in qualsiasi campo di ricerca, piuttosto che essere guidato dalle priorità stabilite da decisori politici. Questo assicura che i fondi siano incanalati in aree di ricerca nuove e promettenti con un maggior grado di flessibilità.

Quali benefici offre la ricerca di frontiera?

Il termine “ricerca di frontiera” è stato coniato per le attività dirette alla “frontiera” della conoscenza e oltre. Il ritorno è di tipo socio-economico. L’esempio pratico più simile alle potenzialità della ricerca di frontiera è la modalità di investimento di una società di venture capital. Queste aziende investono in startup che hanno un’elevata probabilità di insuccesso ma che, se vanno a bersaglio, possono avere un ritorno di dieci, cento, mille volte superiore all’investimento iniziale. Pensiamo a quanto è cambiato il settore biotech con l’avvento del sistema CRISPR Cas9: questa tecnica non esisteva fino a pochi anni fa e sta avendo il tipo di impatto trasformativo che ERC o una venture capital firm vorrebbe avere. Oppure pensiamo ai vaccini a mRNA: nessuno ci avrebbe pensato o scommesso dieci anni fa per sconfiggere una pandemia virale. Poi il Covid-19 ha cambiato tutto e in otto mesi si è messo a punto un vaccino. Ma è stato possibile grazie al fatto che si era scommesso, sotto forma di investimenti, su una ricerca di frontiera anni prima. Per fare comprendere ai ragazzi il valore di alto rischio, occorre fare comprendere loro che devono immaginare un progetto basato su un’idea la cui possibilità di successo sarà del 10% ma il cui payoff potrebbe essere del 10.000%.

Perché è così difficile, per i ricercatori italiani, vincere un ERC?

Perché, nonostante il grande impegno dimostrato dalla comunità scientifica italiana, i finanziamenti per la ricerca fondamentale e di frontiera in Italia sono rimasti troppo bassi negli ultimi 20 anni. Per gli italiani è difficile costruirsi un curriculum d’eccellenza restando nel nostro Paese. Inoltre, non è facile per un ricercatore italiano costruire un progetto che sia considerato di eccellenza, come richiesto dall’European Research Council. Mentre gli scienziati italiani hanno un buon record nel garantire progetti European Research Council per l’innovazione e la ricerca di frontiera, il numero di gruppi di ricerca con sede in Italia continua a diminuire, a causa delle carenze dell’ecosistema di ricerca italiano. Un ecosistema che risente di vari problemi, a partire dai finanziamenti, spesso carenti quanto a tempistiche e a modalità. L’incertezza non aiuta certo i giovani che intendono investire il loro futuro nella ricerca. A fronte di questa situazione critica, diventa sempre meno ipotizzabile pensare a meccanismi finalizzati a favorire progetti eccellenti ad alto rischio da parte dei giovani ricercatori. Così si è preferito puntare su vie di ricerca più sicure, preferendo distribuire le risorse in maniera uniforme (lo confermano i dati ISTAT relativi alla ricerca e sviluppo in Italia: le attività di sviluppo sperimentale contano su investimenti pari a 8,5 miliardi di euro, pari al 35,7% della spesa complessiva. La ricerca applicata ha ricevuto 10 miliardi, mentre per la ricerca di base sono stati stanziati circa 5,3 miliardi – ndr).

Chi intende rappresentare ERC in Italy e perché oggi può essere il momento opportuno per puntare agli European Research Council per l’innovazione?

Come abbiamo illustrato su Nature, ERC in Italy rappresenta i premiati delle tre macroaree sopra citate, ma anche di tutte le Istituzioni di ricerca pubbliche e private in Italia e all’estero. Ci sono tutte le condizioni per riuscire a condividere le migliori pratiche a ogni livello, ma anche per promuovere iniziative di formazione e disseminazione di conoscenza, oltre che di consulenza a beneficio tanto dei singoli ricercatori quanto dei decisori politici nazionali. Mi piace ricordare, in particolare un passaggio di quell’articolo-manifesto: «Oggi abbiamo accesso a un capitale che può essere utilizzato per affrontare questi problemi in modi che non erano possibili prima della pandemia di COVID-19. Alle nostre vecchie generazioni che hanno sofferto in modo sproporzionato in questa pandemia, e alle generazioni future che si faranno carico degli interessi del PNRR, dobbiamo non sprecare questa opportunità». C’è bisogno di far comprendere ai giovani che è possibile fare carriera non solo facendo ricerca di base o industriale, ma anche su ricerca con alto rischio, gettando un po’ il cuore oltre l’ostacolo.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin