I sistemi di raccolta di luce ambientale forniscono una nuova generazione di dispositivi IoT “intelligenti” e autoalimentati. Una ricerca ne evidenzia le potenzialità.
TAKEAWAY
- Le potenzialità dei sensori IoT capaci di energy harvesting (raccolta di energia) e di “intelligenza” sono enormi se si pensa che entro il 2025 saranno installati più di 100 miliardi di dispositivi Internet of Things.
- Un team di ricercatori della Uppsala University (ora alla Newcastle University) si è focalizzato sui sistemi di raccolta di luce ambientale per una nuova generazione di dispositivi IoT “intelligenti” e autoalimentati da una fonte di energia in gran parte non sfruttata.
- I ricercatori sono riusciti a produrre energia con illuminazione ambientale con un’efficienza di conversione senza precedenti.
Celle solari per sensori IoT intelligenti: è una delle prospettive più interessanti per l’ulteriore sviluppo del mondo Internet of Things. Per capire quanto ci sia bisogno di energy harvesting (ossia di “raccolta di energia”) per alimentare i sensori IoT lo si capisce dalle previsioni secondo cui entro il 2025 saranno installati più di 100 miliardi di dispositivi dell’Internet delle Cose che genereranno un mercato da circa 10 mila miliardi di dollari.
A cominciare dall’edilizia all’Industry 4.0, non c’è contesto dove non ci sia bisogno di intelligenza, ovvero di capacità di interpretare quanto accade nell’ambiente per fornire risposte e servizi dedicati.
Per questo occorre sensoristica con autonomia energetica. Non solo: più dispositivi ci saranno, maggiore sarà la quantità di dati ottenuti. Serviranno sempre più dispositivi autonomi IoT capaci di implementare intelligenza artificiale per poter processare dati senza bisogno di dipendere da server o data center.
È da qui che nasce la ricerca condotta da un team di ricercatori della Uppsala University, in Svezia – coordinato da Marina Freitag – oggi attivo presso la School of Natural and Environmental Science della Newcastle University. La ricerca è stata presentata con un articolo sul Royal Society of Chemistry.
La ricerca ha posto al centro lo sviluppo di specifiche celle fotovoltaiche, chiamate DSSC (Dye-Sensitized Solar Cell), celle solari a colorante, denominate anche celle di Grätzel. Sono dispositivi costituiti da multistrati di materiali che permettono di assorbire la radiazione luminosa e di trasformarla in energia elettrica.
Il principio è sfruttare la luce ambientale per produrre elettricità sufficiente a garantire al device di essere indipendente. I sistemi di raccolta di luce ambientale forniscono una nuova generazione di dispositivi IoT “intelligenti” e autoalimentati da una fonte di energia in gran parte non sfruttata.
Le potenzialità della ricerca in materia di celle solari per sensori IoT sono notevoli se si considera l’ampio utilizzo che sono destinati ad avere questi sensori per gli edifici intelligenti o per monitorare diversi parametri, dalla qualità dell’aria alla raccolta dati su traffico o illuminazione urbana, tutti utili alle future smart city.
Celle solari per sensori IoT intelligenti: come sfruttare al meglio la luce
Il team di ricerca sta lavorando per migliorare l’efficienza energetica delle DSSC per garantire così ai device IoT una piena autonomia energetica e capacità di energy harvesting. Un altro team, attivo al dipartimento di Electrical and Computer Engineering della Technical University di Monaco di Baviera si sta occupando dell’intelligenza del sensore.
La consapevolezza che stimola il lavoro di ricerca è che il fotovoltaico ambientale fornisce una vasta energia universale che può essere utilizzata per realizzare dispositivi IoT intelligenti quasi permanenti che possono trasformare direttamente l’energia luminosa diffusa in inferenze computazionali basate su reti neurali artificiali e Machine Learning.
Queste celle non hanno mai dimostrato un adeguato funzionamento alla luce solare, ma questi limiti sono superati con livelli di luce più bassi. “Se alla luce solare l’efficienza è di circa il 10%, in un contesto indoor possono raggiungere anche il 34%” spiega Iacopo Benesperi, ricercatore post doc specializzato in Chimica e membro del team di ricerca della Uppsala University.
Le loro prestazioni sono superiori alle celle fotovoltaiche ad arseniuro di gallio e possono contare anche sulla maggiore economicità, senza contare che sono realizzate con materiali non tossici a differenza di quelle a perovskite, che contengono piombo.
Le Dye-Sensitized Solar Cell fanno parte del gruppo di celle solari a film sottile e sono costituite da due vetri conduttori, che fungono da elettrodi: su uno dei due vetri viene depositato del biossido di titanio, su cui si attacca il colorante; lo spazio tra i due vetri viene riempito con una soluzione elettrolitica.
Il colorante (dye) serve come materiale attivo, in grado di trasferire elettroni al biossido di titanio in seguito all’assorbimento di fotoni. Di coloranti ce ne sono tantissimi disponibili, addirittura ottenuti da molecole di succo di mirtillo, anche se poco efficienti. Nel caso specifico il dye utilizzato è comunque atossico.
I coloranti sono un ulteriore punto di forza delle DSSC, dato che possono essere sintetizzati in modo da assorbire esattamente lo spettro della luce emesso dalle lampade, permettendo una maggiore efficienza.
Il ruolo centrale dell’Intelligenza artificiale nei sensori IoT
L’Intelligenza artificiale è parte integrante dello sviluppo della soluzione del team di studio in tema di celle solari per sensori IoT. “Ci siamo resi conto, nella messa a punto dei sensori, che non era sufficiente provvedere all’auto-alimentazione energetica dei sensori IoT. Essi sono chiamati a inviare i dati raccolti periodicamente al data center. Abbiamo finalizzato il lavoro in modo da alimentare con celle solari il device di elaborazione dati locale” osserva Benesperi.
Nel caso di studio ci si è serviti di un Raspberry Pi Zero, ossia di un computer a scheda singola capace di eseguire algoritmi di Machine Learning sufficienti per processare i dati raccolti sul posto periodicamente durante la giornata, permettendo l’implementazione dell’AI sul dispositivo.
Celle solari per sensori IoT intelligenti, dove si dirige la ricerca
Le prospettive su cui lavora Benesperi e il team vanno verso lo sviluppo di materiali più efficienti, in modo da aumentare le capacità delle celle solari per sensori IoT. Ma non solo: all’interno della Newcastle University c’è un laboratorio di una importante multinazionale che si occupa di IoT, Machine Learning con cui intendiamo iniziare a collaborare per implementare le celle e orientarle a una loro prossima industrializzazione.
Intanto si intende elevare ulteriormente l’efficienza delle celle solari, già oggi ottima (34%). “Sappiamo che il limite massimo teorico è pari al 52%, praticamente impossibile da raggiungere. Tuttavia stiamo lavorando su due tipi di celle”.
In ogni caso, quanto messo a punto dall’équipe è stato anche orientato ad adattare le dye-sensitized solar cell per produrre energia con illuminazione ambientale con un’efficienza di conversione senza precedenti: si è arrivati al 34% a 1000 lux (equivalente all’intensità di illuminazione di un ufficio).
Il limite conosciuto della DSSC è l’utilizzo del liquido elettrolita, che presenta qualche sproblema nella tenuta sul lungo periodo. Per questo il team sta lavorando su un’alternativa totalmente solida, decisamente più affidabile anche per il futuro ambito commerciale.
In questo senso, il lavoro svolto ha un carattere particolarmente innovativo: “grazie all’intuizione avuta dalla coordinatrice del lavoro, la professoressa Marina Freitag, nella nostra ricerca i materiali sviluppati e utilizzati per la prima volta nella storia delle DSSC funzionano sia allo stato liquido che allo stato solido” conclude Benesperi.