Gli scienziati dell'Università di Göteborg, in Svezia, hanno sviluppato un algoritmo che riconosce in maniera efficace i melanomi presenti sulla pelle, operando alla stessa velocità e con la medesima precisione di un dermatologo.

TAKEAWAY

  • All’Università di Goteborg è stato sviluppato un algoritmo di machine learning in grado di individuare i melanomi, i tumori che colpiscono la pelle.
  • Nella fase di test, il sistema AI ha sfidato sette dermatologi ma nessuno di loro è riuscito a pareggiarne le prestazioni in termini di precisione e velocità.
  • Lo studio è iniziato analizzando quasi mille immagini di lesioni utili, per distinguere così le diverse tipologie di estensione del cancro.

Machine learning e melanoma, ovvero tecniche di intelligenza artificiale e tumori della pelle, un binomio in cui il primo può diventare, in tempi brevi, una soluzione efficace per il secondo.

Nelle ultime settimane è stato presentato uno studio volto a diagnosticare i tumori alla pelle detti “melanomi”, da “melas”, che in greco vuol dire “oscuro”, e “oma” che indica il cancro.

Un’idea innovativa, emersa in ambito universitario, è quella di affidare la questione alle tecniche di machine learning – o di “apprendimento automatico” – branca dell’intelligenza artificiale per mezzo della quale è possibile analizzare e correlare tra loro una vasta e complessa mole di dati. Capacità, questa, particolarmente preziosa nella ricerca in ambito medico.

Resta da capire ora in che modo si possono collegare tecniche di machine learning e melanoma. La strada da percorrere è stata mostrata dall’Università di Göteborg che, in collaborazione con l’Ospedale Universitario Sahlgrenska, ha pubblicato un articolo sul Journal of the American Academy of Dermatology intitolato “Discrimination between Invasive and In situ Melanomas Using a Convolutional Neural Network”. Vediamo di che cosa si tratta.

Tecniche di machine learning e melanoma: lo studio dell’Università di Göteborg

In tema di machine learning e melanoma si è interrogato un team di esperti in scienze cliniche, partendo da due problemi principali ovvero la necessità di stimare l’invasività, cioè l’estensione del tumore, e la possibilità di percepire in anticipo il rischio di diffusione all’interno dell’organismo.

L’oncologia definisce i tumori come un insieme di cellule che crescono in eccesso in una parte del corpo e che possono raggiungere altri organi, caso in cui si parla di metastasi.Si tratta di situazioni non sempre verificabili, ma indubbiamente migliorabili attraverso algoritmi di intelligenza artificiale che siano in grado di distinguere i diversi scenari, vale a dire se la massa tumorale rimane confinata nel punto in cui si origina o se ci sono margini per cui essa può estendersi.

I ricercatori di Göteborg hanno circoscritto il raggio di azione, prendendo in considerazione 937 fotografie dermatoscopiche, dette così perché ritraggono parti della pelle umana non visibili ad occhio nudo. L’elaborazione di tali immagini ha richiesto un periodo di circa 4 anni, tra il 2016 e il 2020, ed è stata fondamentale per creare un dataset, l’insieme delle informazioni a cui può attingere il sistema AI.

Per evitare problemi di riconoscimento da parte del software, non sono state inseriti né i file in bassa qualità né gli scatti che non riuscivano, da soli, a contenere l’estensione del cancro.

Una scelta che ha portato all’esclusione di 208 lesioni, il 15% del totale tra quelle inizialmente selezionate per il progetto. “La mossa decisiva – spiegano i ricercatori – è stata quella di pensare a una rete neurale che riuscisse a lavorare con poco materiale e senza parametri precedenti ai quali riferirsi”.

Ancora una volta, come in altri contesti accademici sono state di grande aiuto le convolutional neural networks (CNN) o reti neurali convoluzionali, sistemi che si ispirano ai neuroni e in particolare alla corteccia visiva degli animali. Solo così è stato possibile posizionare correttamente ben 139 foto su 200, con un tasso di precisione pari al 69,5%.

machine learning e melanoma
La necessità di stimare l’estensione dei melanomi e la possibilità di calcolare in anticipo il rischio di diffusione all’interno dell’organismo, hanno portato il team di ricerca all’adozione di tecniche di machine learning, strumento in grado di analizzare e correlare tra loro una vasta e complessa mole di dati.

Algoritmi AI contro dermatologi: una sfida destinata a ripetersi

Negli ultimi anni, l’interesse per le tecniche di machine learning applicate allo studio del melanoma ha registrato una crescita continua e costante, portando a diversi studi sul tema. Analizzando il tema, si è notato come il ricorso alle tecniche di artificial intelligence può essere determinante soprattutto nei momenti che precedono l’intervento chirurgico.

Poiché l’epidermide è una parte esterna del nostro corpo, a riconoscere per primo delle macchie sospette è solitamente il paziente, a differenza di quanto avviene per gli organi interni, il cui stato va indagato attraverso una serie di esami.

Eppure, non era ancora chiaro se le macchine riuscissero in maniera efficace a fare meglio degli uomini in tale contesto e se ci fosse uno scarto tra i due approcci. Per questo il team di ricerca ha messo in atto una vera e propria gara, incentrata sul binomio machine learning e melanoma, che ha visto da un lato un’equipe di sette dermatologi e dall’altro il software sviluppato dai ricercatori.

L’obiettivo dichiarato era quello di misurare le rispettive capacità di classificazione di determinate immagini, scoprendo in quali di esse fosse ritratta l’insorgere del tumore e con che modalità. Il dottor Sam Polesie, tra gli autori dello studio, ha dichiarato a margine dell’esperimento:

Nessuno dei medici coinvolti è riuscito a raggiungere o a superare le prestazioni fornite dal nostro algoritmo, dunque al momento la sfida è finita in parità. Il nostro obiettivo è ora quello di sviluppare un sistema più strutturato, che sia di supporto non solo a ciascun chirurgo ma anche al singolo paziente

Tecniche di machine learning e melanoma: lo scenario futuro

I software di AI non sono in grado di vedere le cose allo stesso modo delle persone, ma possono imparare a farlo attraverso la ripetizione di determinati stimoli, memorizzando ad esempio il contenuto di alcuni documenti inseriti al loro interno. Questo tipo di ragionamento pone una serie di limitazioni rispetto ai medici in carne ed ossa che, dal loro canto, hanno tante altre informazioni su cui ragionare.

Pensiamo ad esempio come, nelle diagnosi di tutti i giorni, ai semplici dati si aggiungano la storia personale del paziente e il dialogo con quest’ultimo, come ricordato dagli stessi scienziati nella loro pubblicazione.

Un dottore virtuale può comunque essere a conoscenza dell’età del soggetto o di altri fattori numerici che lo riguardano, una conclusione che apre spiragli importanti. Più nello specifico, in tema di machine learning e melanoma, grazie ad alcuni accorgimenti, si potrà giungere, in futuro, a un monitoraggio sempre più puntuale.

L’impatto maggiormente positivo si avrebbe nei momenti e nelle fasi precedenti a quella operatoria: sapere con esattezza dove si trova il melanoma e quanto esso sia esteso, permetterebbe sicuramente, nelle cliniche e negli ospedali, interventi più veloci ed efficaci.

I risultati ottenuti finora appaiono molto interessanti – conclude Sam Polesie – ora c’è bisogno dei cosiddetti studi prospettici, ossia di procedure scientifiche che valutino gli effetti degli interventi medici assicurandosi che non subentrino complicanze o ricadute”.

Scritto da:

Emanuele La Veglia

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin