Tra le attività di ricerca legate alle neuroscienze, una delle più interessanti riguarda gli organoidi cerebrali. Uno studio a guida italiana ha messo a punto un modello 3D di organoide cerebrale. È un passo avanti verso la conoscenza del cervello umano, nonché per comprendere e affrontare patologie che si sviluppano nelle primissime fasi di vita.

L’impiego di organoidi cerebrali è una delle opzioni di ricerca più interessanti nello studio del cervello umano. In particolare, c’è un grande interesse, teso a studiare e a comprendere meglio la corteccia cerebrale, considerata la struttura più complessa ed evoluta, oltre che il risultato cardine dell’evoluzione delcervello.

È la struttura neurale chiave che soggiace alle funzioni cerebrali superiori e all’intelletto; occupa circa il 70% della nostra massa cerebrale, come ha spiegato la neuroscienziata Patricia Goldman-Rakic nell’articolo “Cerebral Cortex Has Come of Age”, pubblicato da Oxford University Press.

Si stima che la sua superficie media sia di due metri quadrati e contenga 16 miliardi di neuroni [fonte: National Library of Medicine]. Gioca un ruolo di primo piano nella gestione delle capacità cognitive proprie dell’essere umanocapacità motorie, percettive, sensoriali, mnemoniche e le funzioni superiori come linguaggio, coscienza, capacità logica.

Oltre a cercare di comprendere caratteristiche e attività del cervello e della corteccia, scopo della ricerca è riuscire a creare percorsi di cura mirati per le malattie mentali e per i disturbi del cervello specifici dell’uomo.

Una recente ricerca ha messo a punto un nuovo modello tridimensionale di organoide cerebrale. Secondo i ricercatori coinvolti, esso consentirà di comprendere meglio lo sviluppo cerebrale e i disturbi correlati, in particolare quelli che hanno radici nelle fasi precoci di sviluppo. Tra questi vi è l’autismo, condizione particolarmente sviluppata. Circa un bambino su cento è affetto da disturbi dello spettro autistico [fonte: World Health Organization].


Lo studio del cervello umano attira interesse e grandi investimenti nella ricerca, finalizzati a comprendere l’organo più complesso del corpo. In particolare, si cerca di conoscere meglio la corteccia cerebrale, la struttura chiave nella gestione delle capacità cognitive umane.
La ricerca italiana sta fornendo un valido contributo, in particolare grazie alla definizione di un nuovo metodo per assemblare organoidi cerebrali, che consente di riprodurre in vitro aspetti salienti della polarità antero-posteriore della corteccia cerebrale umana.
Il nuovo modello 3D di organoide cerebrale contribuirà a comprendere meglio i disturbi del cervello specifici dell’uomo, in particolare quelli che si originano durante la fase dello sviluppo. È un importante esempio di utilizzo degli organoidi cerebrali, modelli in vitro che aprono a molteplici possibilità, fornendo anche un supporto alla medicina personalizzata.

Corteccia e organoidi cerebrali: il ruolo della ricerca italiana

La ricerca italiana sta contribuendo al lavoro di ricerca internazionale sulla corteccia cerebrale: proprio di recente sono stati pubblicati due lavori dedicati. Uno ha messo a punto un nuovo modello della superficie corticale che consente un suo campionamento uniforme, basato su scansioni strutturali di alta qualità (disponibili pubblicamente) di 1.031 cervelli, 25 volte di più rispetto ai modelli corticali esistenti. 

Allo studio ha contribuito Maria Ida Gobbini, del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna e del Laboratorio Neuroimmagini dell’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna. Gli esiti della ricerca sono stati presentati nell’articolo intitolato “A cortical surface template for human neuroscience”, pubblicato su Nature Methods.

È altrettanto recente il lavoro svolto da ricercatori dell’Università degli studi di Milano-Bicocca, dello Human Technopole e dell’Istituto di Biotecnologia Molecolare dell’Accademia Austriaca di Scienze (IMBA) di Vienna sugli organoidi cerebrali. Essi sono sistemi di coltura in vitromodelli tridimensionali derivati da cellule staminali pluripotenti che ricapitolano i processi di sviluppo e l’organizzazione del cervello umano in via di sviluppo.

Definiti – poco correttamente – “mini-cervelli”, essi permettono di generare un modello cerebrale 3D in vitro, fisiologicamente rilevante per studiare lo sviluppo neurologico e i processi patologici correlati al sistema nervoso degli esseri umani. Hanno importanti applicazioni nello studio dello sviluppo del cervello umano e dei disturbi neurologici come l’autismo.

Il nuovo modello è illustrato nello studio “A polarized FGF8 source specifies frontotemporal signatures in spatially oriented cell populations of cortical assembloids”, anch’esso da poco pubblicato su Nature Methods.

Il team internazionale a matrice italiana ha lavorato su queste tecnologie organoidi, impiegate per studiare lo sviluppo del cervello umano, così da rispondere a domande fondamentali su come la corteccia umana possa raggiungere le sue grandi dimensioni e per conoscere l’origine delle malattie del cervello.

A guidare il gruppo di ricerca è Veronica Krenn, titolare della borsa di studio Human Technopole Early Career presso Milano-Bicocca. A lei abbiamo chiesto di illustrarci il lavoro condotto e le prospettive aperte.

Dottoressa Krenn, la ricerca da lei guidata è focalizzata sulla realizzazione di un modello 3D di organoide cerebrale che intende riprodurre in vitro gli aspetti salienti della polarità antero-posteriore della corteccia cerebrale umana. Perché è così cruciale questo aspetto?

Veronica Krenn, ricercatrice presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca
Veronica Krenn, ricercatrice presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca

Innanzitutto, vorrei partire dagli organoidi come modelli cellulari prodotti interamente in laboratorio, che hanno l’enorme vantaggio di dare accesso a tessuto di natura umana. Nel caso degli organoidi cerebrali, essi permettono di studiare degli aspetti del cervello umano altrimenti impensabili con altri modelli animali. La loro estrema accessibilità, grazie al fatto di disporne in coltura per usi scientifici, consente di combinarli con altre tecnologie e svolgere diverse attività di ricerca. Questa opportunità è particolarmente preziosa perché gli organoidi cerebrali sono prototipi molto semplificati di ciò che può essere un cervello alle prime fasi di sviluppo. Permettono di riprodurre molto bene alcuni aspetti, come la presenza di staminali neuronali e di neuroni della corteccia, meno, invece, altri. Uno degli aspetti che non si riuscivano a riprodurre compiutamente, almeno fino al nostro lavoro di ricerca, riguardava la polarità antero-posteriore. La corteccia è una parte molto importante del cervello umano, che ha conosciuto un’importante espansione nel percorso evolutivo, sviluppandosi in maniera particolarmente significativa nell’uomo, consentendo funzioni differenti e specifiche di elevato livello. Pensiamo al linguaggio, alla scrittura, alla capacità di utilizzare arnesi o di suonare uno strumento musicale, solo per citare alcuni esempi.

Quali sono i punti chiave del vostro lavoro?

Sappiamo che il processo che porta alla separazione funzionale nella corteccia umana ha un avvio fin nelle primissime fasi dello sviluppo, con la definizione di zone distinte. Quindi, già nelle prime fasi di sviluppo della corteccia cerebrale si formano e si organizzano dei domini, seguendo una determinata organizzazione. Da qui si parla di polarità antero-posteriore, un’organizzazione che prevede una zona frontale, una posteriore e anche parti laterali. Tale aspetto assume una certa importanza proprio perché definisce le nostre funzioni. Sappiamo anche che tale mappa viene orchestrata da specifici segnali, chiamati morfogeni, che vengono prodotti in maniera controllata. Essi, poi, si diffondono nel tessuto e segnalano alle cellule a quale tipo di aree appartengono. Per riuscire a comprendere questo sviluppo precoce, abbiamo lavorato a ricreare la mappa antero-posteriore mediante gli organoidi cerebrali, concentrando la nostra attività proprio sull’azione controllata di questi morfogeni, un aspetto assai complesso. Ci siamo riusciti, grazie a un’intuizione che ci ha condotto a generare degli aggregati di cellule in grado di produrre un preciso segnale, denominato FGF8. Una volta compreso che il segnale veniva prodotto, il passaggio successivo è stato di assemblarlo con l’organoide, per creare una fonte di segnale prolungata nel tempo, in modo che potesse definire le varie aree. Un altro aspetto chiave della nostra ricerca riguarda la struttura degli organoidi corticali. Quelli tradizionali hanno una forma sferica: ci siamo accorti che utilizzandoli, il segnale agiva in maniera uniforme. Il sistema funzionava, ma non riusciva a specificare le aree in maniera diversa. Così, siamo giunti a una seconda, importante intuizione, ossia generare organoidi di forma allungata. Ciò ha permesso che il segnale agisse su una più ampia distanza. Così, abbiamo lavorato a creare una struttura allungata per far sì che il segnale fosse percepito in maniera differente, più forte nella parte anteriore, meno nella parte posteriore. Si è notato che le cellule così formate avevano caratteristiche differenti, per zona, in maniera molto simile a quella della corteccia cerebrale.

Quali saranno i prossimi passi?

Almeno due: migliorare il modello e utilizzarlo già. Innanzitutto, quanto abbiamo messo a punto è una mappa grezza, un modello approssimativo. Siamo sì riusciti a creare questa polarità antero-posteriore ma, in realtà, esistono svariate sfaccettature. Il lavoro successivo sarà finalizzato, quindi, a ottimizzare il livello di risoluzione, per avvicinarci quanto più possibile a replicare il modello reale. Il secondo passo è iniziare già a impiegare il modello e l’informazione offerta per capire se il processo incardinato sulla formazione dell’asse di polarizzazione possa essere utile nello studio delle malattie, in particolare nei disordini del neuro sviluppo che si manifestano proprio nelle prime fasi dello sviluppo. Lo spettro, ampio, va dalle malattie diagnosticate nei primi anni di vita, ma anche in età adulta: autismodisturbo da deficit di attenzione/iperattivitàdisturbi del linguaggiodislessiadisgrafia e disortografia. All’origine c’è una componente genetica, ma al momento non è noto se queste alterazioni siano causate da un problema collegato alla polarizzazione. Nella nostra ricerca, grazie al modello messo a punto, siamo riusciti a identificare uno dei fattori cruciali per la creazione di questa mappa della corteccia, il gene FGFR3, le cui mutazioni sono la causa di una displasia scheletrica, chiamata achondroplasia. Ci siamo concentrati su questo gene perché era visibilmente polarizzato nel nostro modello organoide. Però ne abbiamo trovati molti altri con lo stesso andamento e anch’essi associati ad altre malattie. Quindi, pensiamo che possano essere coinvolti in questo processo. Vogliamo studiare e sfruttare il modello, combinandolo a modificazioni genetiche, per capire se queste alterazioni molto precoci, a livello dell’asse di polarizzazione, possono spiegare in parte delle relazioni funzionali che si notano nei pazienti affetti da tali patologie.

La vostra ricerca intende chiarire alcuni dei processi legati al cervello umano, sulla cui conoscenza si indaga da tempo. Quanto si comprende oggi del suo funzionamento e qual è il livello di conoscenza che abbiamo?

Sul cervello umano si continua a studiare molto, ma nel frattempo si sono sviluppate nuove tecnologie che permettono, per esempio, di comprendere attività cerebrali associandole a molti parametri della vita umana, dallo stato di salute a quello emotivo. Questo ci fornisce molte informazioni utili per comprendere la sua plasticità e la sua complessità. Tuttavia, per molto tempo non si è potuto contare su modelli sperimentali dove effettuare manipolazione genetica. Dal 2013, però, con la scoperta degli organoidi, e con tecnologie simili, lavorando su modelli in vitro, è possibile andare a operare più nel dettaglio di queste prime fasi di vita. Esse sono fondamentali, non solo perché sono la base del futuro, ovvero per comprendere ciò che poi sarà il cervello adulto, ma anche perché possono fornire informazioni e permettere di capire quale sia la logica di questo processo e applicarla per comprendere lo sviluppo di determinate malattie, specie quelle neurodegenerative.

C’è la possibilità che filoni di ricerca legati agli organoidi cerebrali portino anche allo sviluppo di cellule sostitutive della corteccia cerebrale?

Sì, questo approccio di terapia cellulare, in termini di cell replacement, è già allo studio. Il campo applicativo dove si sta cercando di sfruttare questa tecnologia è quello attinente al morbo di Parkinson, dove si sta già sperimentando l’impiego di cellule staminali neuronali con l’obiettivo di ripristinare le caratteristiche delle funzioni perse nel processo neurodegenerativo. Naturalmente, prima di qualunque tipo di terapia, va fatto un lavoro mirato a standardizzare i protocolli, caratterizzare con precisione l’attività da svolgere in una possibile terapia. Serve, inoltre, approfondire il grado di conoscenza di questa e di altre patologie analoghe. In ogni caso, gli organoidi costituiscono non solo una fonte di studio e di conseguente conoscenza, ma anche una fonte di cellule che si potranno utilizzare. Il potenziale c’è, ma la strada è ancora molto lunga.

Riguardo agli aspetti etici, sullo studio degli organoidi quali vincoli sono stati fissati?

Se si intende il rispetto della privacy, è un requisito fondamentale. Le cellule che utilizziamo in laboratorio sono anonimizzate, quindi noi non sappiamo l’identità dei donatori e non potremmo mai riferire informazioni sensibili. Una questione etica è legata alla domanda “quanto ci si può spingere nello studio e nelle possibili applicazioni di questi organoidi?” Dal nostro punto di vista, stiamo lavorando su fasi estremamente precoci, in cui i neuroni che vengono prodotti sono molto poco attivi. Detto questo, in futuro ci potrebbe essere la possibilità di raggiungere un livello di maturazione più avanzata. Però, stiamo parlando di un gruppo di cellule, che non hanno coscienza di sé e del mondo. Reagiscono a stimolazioni biochimiche, ma non è una risposta in termini di comportamento. Si tratta di un ammasso di cellule, quindi la classificazione più appropriata a mio avviso è quella di modelli non senzienti. L’interesse del mio laboratorio è capire come i neuroni vengono generati, ma si sta cercando di sfruttare questi modelli anche per capire come i neuroni comunicano tra loro e quali sono le regole che determinano la loro comunicazione. Si sta lavorando molto anche in questa direzione. Molti laboratori stanno mettendo a punto varie tecniche, riguardanti l’utilizzo di chiprobot, o approcci di intelligenza artificiale. Insomma, da tutti i campi si sta cercando di estrarre queste regole di comunicazione. Ma ancora rimangono un enigma.

C’è, quindi, l’idea di utilizzare questo tipo di cellule per lo sviluppo dei futuri computer neuromorfici?

Credo sia un’eventualità alquanto remota. Posso immaginare l’idea di cogliere segnali generati dai neuroni e usarli in qualche modo per istruire una macchina ma, da neuroscienziata, non sappiamo nemmeno noi cosa siano questi segnali. Magari possiamo definirli chimicamente, ma non siamo in grado di tradurli in una task.

Quale sarà l’impatto futuro delle ricerche sugli organoidi cerebrali?

La speranza è di riuscire, un giorno, a essere nella condizione di contare su terapie mirate per il singolo paziente, grazie a un modello organoide costruito in laboratorio. Quindi, non solo contribuire allo sviluppo terapeutico, ma anche fornire un contributo significativo alla medicina personalizzata. Oggi esistono delle patologie definite con un unico nome, ma in realtà raggruppano tanti quadri clinici molto diversi. Occorre raggiungere un livello di precisione tale da ottenere per ogni paziente una cura mirata.

Glimpses of future

Il nuovo modello 3D di organoide cerebrale si rivela utile ad accrescere la conoscenza del cervello umano e delle patologie correlate, fornendo una tecnologia atta ad approfondire i meccanismi geni-malattia e a comprendere meglio come i fattori di rischio che contribuiscono all’insorgere delle malattie mentali possano alterare questi processi essenziali. Per quanto importante, è solo un passo iniziale nel percorso verso processi di comprensione e di cura più efficaci dell’organo più complesso del corpo umano.

Con l’obiettivo di anticipare possibili scenari futuri, proviamo ora ad analizzare – servendoci della matrice STEPS – gli impatti che l’evoluzione della ricerca sugli organoidi cerebrali potrebbe avere sotto il profilo sociale, tecnologico, economico, politico e della sostenibilità.

S – SOCIAL: l’applicazione degli organoidi cerebrali e la ricerca correlata forniranno uno strumento promettente per studiare i disturbi dello spettro autistico, ma anche per comprendere e affrontare disturbi neurologici e psichiatrici complessi come Alzheimer, Parkinson, autismo, schizofrenia ed epilessia. Modellare lo sviluppo di patologie del cervello in un ambiente controllato consentirà di accelerare la scoperta di farmaci e la medicina personalizzata. L’approccio organoide, in generale, ha un potenziale enorme per fare progredire la ricerca di base, lo screening dei farmaci e la terapia cellulare per curare lesioni o disturbi neurodegenerativi. Tutto questo potrà garantire significativi progressi nelle opzioni di trattamento, migliorando la qualità della vita di milioni di persone. Come riporta lo studio pubblicato quest’anno su Lancet, dal titolo “Global, regional, and national burden of disorders affecting the nervous system, 1990–2021: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2021”, nel 2021, più di tre miliardi di persone in tutto il mondo vivevano con una condizione neurologica. Oggi, le condizioni neurologiche sono la causa principale di cattiva salute e disabilità in tutto il mondo [fonte: World Health Organization]. Questa situazione mette in rilievo una grande disparità a livello sociale. Più dell’80% dei decessi e delle perdite di salute per cause neurologiche si verificano nei Paesi a basso e medio reddito e l’accesso alle cure varia notevolmente: la stessa Organizzazione mondiale della Sanità rileva che i Paesi ad alto reddito hanno fino a 70 volte più neurologi ogni 100mila persone rispetto ai Paesi a basso e medio reddito.

T – TECHNOLOGICAL: come accennato dalla dottoressa Krenn, lo sviluppo sempre più avanzato degli organoidi cerebrali è destinato a combinarsi con altri campi a forte grado di innovazione: dall’elettronica alla robotica, fino alla associazione con tecniche di intelligenza artificiale, le possibilità di sviluppo cui si potrà assistere sono diverse e affascinanti. Un esempio utile per comprendere il progressivo sviluppo lo offre lo studio “Brain organoid reservoir computing for artificial intelligence”, pubblicato su Nature Electronics, in cui si evidenzia la possibilità di collegare il tessuto organoide cerebrale a un chip di silicio e al successivo addestramento con AI del minuscolo biocomputer. Il team di ricerca, che ha ideato ed elaborato l’approccio e il progetto di calcolo, ha affermato che i chip brain inspired prefigurano un grande potenziale per realizzare i supercomputer del futuro.

E – ECONOMIC: l’adozione degli organoidi cerebrali potrà fornire un contributo prezioso nello studio della progressione di malattie neurodegenerative, consentendo una diagnosi e una prevenzione precoci, riducendo così il carico sui sistemi sanitari. Si stima che il costo totale delle patologie mentali oggi sia superiore al 4% del PIL (oltre 600 miliardi di euro) nei 27 paesi dell’UE e nel Regno Unito [fonte: Health at a Glance – Commissione Europea]. A livello globale, circa il 14% della spesa sanitaria è connesso ai disturbi neuropsichiatrici. In particolare, nei Paesi in via di sviluppo circa il 75% delle persone affette da disturbi mentali non riceve alcun tipo di trattamento [fonte: Epicentro – Istituto Superiore di Sanità]. Entro il 2030 si prevede che il costo delle condizioni di salute mentale (e delle relative conseguenze) salirà a 6mila miliardi di dollari a livello globale entro il 2030, dai 2,5 trilioni di dollari del 2010. Ciò renderà il costo della cattiva salute mentale maggiore di quello di cancro, diabete e disturbi respiratori messi insieme [fonte: World Economic Forum].

P – POLITICAL: l’impiego degli organoidi in futuro richiederà un controllo e una standardizzazione rigorosa dei protocolli. Inoltre, si dovrà sempre garantire che l’approvvigionamento di biomateriali per la derivazione di linee di cellule staminali venga condotto in modo coerente con gli attuali standard etici. Già oggi l’impiego degli organoidi è fonte di preoccupazioni di natura etica. Per cercare di fornire un inquadramento dedicato, è stato avviato il progetto europeo HYBRIDA (terminerà nel 2024). I partner di ricerca coinvolti hanno stilato linee guida operative sugli organoidi e sulle tecnologie correlate, un Codice di condotta responsabile per i ricercatori sugli organoidi e campi collegati. Attualmente, esso è in fase di implementazione da parte della European Bank for induced pluripotent Stem Cells. Inoltre, il team del progetto ha messo a punto un complemento al Codice di condotta europeo per l’integrità della ricerca, per incorporare la dimensione etica della ricerca basata sugli organoidi e delle tecnologie affini.

S – SUSTAINABILITY: la possibilità di arrivare, in futuro, grazie all’impiego di organoidi cerebrali, a una medicina personalizzata e mirata, consentirà di evitare costi sempre più gravi ai sistemi sanitari, contribuendo alla sostenibilità economica. Inoltre, avrà anche riflessi positivi in termini di sostenibilità ambientale, se concorrerà a ridurre sensibilmente il problema dell’eccesso di farmaci prodotti e del conseguente smaltimento dei medicinali, che finiscono anche nelle acque reflue, causando l’inquinamento chimico delle acque. La presenza di farmaci nell’ambiente già oggi è un problema di portata mondiale. Secondo una revisione globale commissionata dal Ministero dell’Ambiente tedesco nel 2014, su 713 farmaci selezionati come campioni per lo studio, ben 631 (o loro metaboliti/prodotti di trasformazione) sono stati trovati in concentrazioni al di sopra dei limiti di rilevazione in 71 Paesi nel mondo [fonte: Agenzia italiana del Farmaco].

Scritto da:

Andrea Ballocchi

Journalist Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin