Un recente studio del MIT invita a guardare con occhio critico a quei sistemi di intelligenza artificiale progettati in modo da riprodurre attività assai simili ai processi cognitivi del cervello biologico, in quanto possibile risultato di specifici parametri imposti dai ricercatori e non di un’evoluzione naturale delle funzioni apprese nel tempo.
TAKEAWAY
- Al recente dibattito sull’autenticità dei progressi delle prestazioni delle reti neurali artificiali si è unito anche il Massachusetts Institute of Technology, con un lavoro in cui vengono analizzate oltre 11.000 reti allenate all’attività di orientamento nello spazio fisico, tipica del cervello dei mammiferi.
- Lo studio del MIT ha evidenziato come quasi il 90% delle reti neurali prese in esame abbia appreso il compito alla perfezione e come solo il 10% sia riuscito a produrre modelli di attività che si avvicinano a quelle del cervello biologico.
- Tra le critiche rivolte agli studi precedenti sullo stesso tema, quella relativa a uno specifico parametro imposto dai ricercatori alla rete neurale, grazie al quale questa è riuscita a portare a termine il compito assegnatole, ma senza tuttavia replicare il funzionamento dello schema neurale biologico.
Da tempo, ormai, la ricerca nell’ambito delle neuroscienze si avvale delle reti neurali artificiali (dette anche Artificial Neural Network – ANN) non solo come veri e propri strumenti di studio, bensì anche come modelli del cervello biologico, sulla base dei quali sviluppare sistemi di intelligenza artificiale sempre più evoluti per applicazioni di computer vision o di elaborazione del linguaggio naturale, solo per citare alcuni esempi.
Il nocciolo di tale utilizzo consiste nel riuscire a replicare, per mezzo delle ANN, i processi cognitivi propri del cervello umano – per poi trasferirli alla macchina – e, al contempo, nel tentare di trarre nuove ipotesi su come lo stesso cervello biologico funziona.
Tuttavia, recentemente, nella comunità scientifica è sorto un dibattito attorno all’autenticità di alcune evoluzioni delle prestazioni delle reti neurali artificiali. In particolare, «tali miglioramenti vengono talora attribuiti a nuove funzioni acquisite dalle ANN in sede di ricerca in laboratorio, quando invece essi derivano da scelte di implementazione intenzionali da parte dei team di studio, in alcuni casi addirittura non dichiarate» fa notare un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology – MIT, unitosi al dibattito attraverso uno studio dal titolo “No Free Lunch from Deep Learning in Neuroscience: A Case Study through Models of the Entorhinal-Hippocampal Circuit” che verrà presentato in occasione di NeurIPS 2022 – Conference on Neural Information Processing Systems, in scena dal 28 novembre al 9 dicembre 2022 in parte in presenza, a New Orleans, e in parte in modalità virtuale.
In poche parole, la progettazione di futuri sistemi di intelligenza artificiale complessi, che puntano ad essere dotati di funzioni sempre più simili a quelle del cervello biologico (pensiamo solo ai veicoli a guida autonoma) in realtà – secondo le obiezioni sollevate – potrebbe essere solo il risultato di una forzatura dei ricercatori, responsabili di “guidare” le ANN verso un determinato risultato, mossi da precisi obiettivi. Vediamo che cosa è emerso dal recente studio del MIT.
Reti neurali artificiali e cervello biologico: l’imitazione dell’orientamento nello spazio fisico
Ricordiamo che le reti neurali artificiali si compongono di migliaia o addirittura di milioni di nodi (ossia le unità di elaborazione) connessi tra loro, a imitare la complessa e intricata rete di collegamenti tra i neuroni (sinapsi) del cervello biologico, mediante i quali avvengono le trasmissioni di informazioni sotto forma di segnali elettrici.
Ogni nodo della rete neurale artificiale è collegato ad altri nodi e, durante il suo addestramento per mezzo di grosse mole di dati, questi collegamenti cambiano di intensità man mano che la rete apprende a svolgere una determinata attività, a imitazione di un processo cognitivo umano.
Nel loro recente lavoro, il team del Massachusetts Institute of Technology si è focalizzato, in particoalre, sulle attività delle reti neurali artificiali messe a punto per imitare la funzione delle “cellule a griglia” (dette anche “cellule grid”) del cervello dei mammiferi – presenti in un’area dell’ippocampo, nella regione temporale – deputate ad aiutare gli animali a orientarsi nello spazio fisico e a spostarsi in posizioni diverse.
Nel dettaglio, le cellule grid formano tra loro delle “griglie” appunto, dei circuiti sovrapposti di diverse dimensioni, atti a codificare un certo numero di posizioni dell’animale in un dato spazio (ad esempio una stanza) e a prevedere le sue posizione successive in base al suo punto di partenza e alla sua velocità.
Già in precedenza, sono stati condotti studi in cui le reti neurali artificiali venivano addestrate a replicare il meccanismo delle cellule a griglia, con l’obiettivo di riprodurre l’attività neurale di un animale che vaga in uno spazio mentre il suo cervello calcola e aggiorna le sue esatte posizioni in quello stesso spazio.
«Mentre la rete neurale apprende a eseguire il compito di orientamento nello spazio, è possibile misurare le attività dei suoi diversi nodi e rappresentarle sotto forma di “schemi di attivazione”, simili a quelli dei neuroni nel cervello del mammifero» spiegano i ricercatori.
Quello che emerso dagli studi precedenti è che le ANN sono state in grado di produrre unità di elaborazione (nodi) che imitano da vicino i modelli di attivazione delle cellule grid, asserendo che tale attività neurale artificiale potrebbe emergere in modo naturale in qualsiasi artificial neural network addestrata allo stesso scopo, ovvero all’orientamento nello spazio tramite attività di integrazione del percorso.
Si tratta solo dell’apprendimento di un compito?
Quello che, di tali studi, viene messo in dubbio non è la veridicità in sé del risultato ottenuto, quanto il fatto di considerare quest’ultimo un fatto naturale, un progresso dei modelli di rete neurale artificiale, una loro evoluzione nel riprodurre i processi del cervello biologico. Quando invece, più semplicemente, si tratta di reti che hanno appreso a svolgere un dato compito.
Eseguendo lo stesso tipo si studio, il team del MIT è giunto a risultati diversi. Esaminando oltre 11.000 ANN addestrate all’orientamento nello spazio tramite attività di integrazione del percorso, hanno rilevato che quasi il 90% di esse ha imparato il compito alla perfezione e che solo il 10% è riuscito a generare modelli di attività che potrebbero essere classificati come “simili” a quelle svolte dalle cellule grid del cervello dei mammiferi.
Il paragone è simile all’asse insegnamento-apprendimento negli esseri umani, in cui – ad esempio – a un bambino delle scuole elementari viene insegnato a svolgere un determinato calcolo matematico: si ha davvero “apprendimento” quando l’allievo è poi in grado di applicare le regole imparate nello svolgere quel calcolo ad altri problemi matematici. Se così non fosse, si tratterebbe di solo di uno sterile esercizio di memorizzazione, che inizia e termine con quel calcolo.
Allo steso modo, secondo i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, «gli studi precedenti avevano maggiori probabilità di generare attività simili a quelle del cervello biologico solo a causa dei vincoli che i ricercatori hanno deliberatamente imposto ai modelli di reti neurali artificiali da loro sviluppati», dove per “vincoli” si intendono i parametri, tra cui le modalità di addestramento, i dati utilizzati e gli obiettivi fissati, il tutto intenzionalmente deciso dagli studiosi, privo, dunque, di naturalezza:
«La tesi secondo cui, se si addestrano ANN per l’orientamento nello spazio tramite attività di integrazione del percorso, poi si ottengono automaticamente cellule a griglia, è dubbia. Quello che, invece, abbiamo scoperto è che, seguendo una lunga sequenza di scelte di parametri – che sappiamo essere incoerenti con la biologia – riusciremo a ottenere una piccola porzione del risultato desiderato»
Reti neurali artificiali e cervello biologico: un esempio di parametri imposti
Come accennato, tra le funzioni delle cellule grid del cervello animale c’è anche la previsione della posizione dell’animale nello spazio, in base al suo punto di partenza e alla sua velocità di spostamento.
Ebbene, tra le riflessioni critiche fatte in merito agli studi precedenti, c’è quella relativa all’impostazione della rete neurale in modo che questa converta la velocità di spostamento in una posizione unica, espressa da un solo nodo della rete, il che – osserva il gruppo di studio del MIT – non è il modo in cui funzionano le cellule a griglia biologiche, ricordando come queste siano in grado di rispondere «a un massimo di venti posizioni diverse, non solo a una».
Quando, invece – durante il recente studio – le reti ANN sono state impostate in modo che convertissero la velocità di spostamento in più posizioni, i modelli erano ancora in grado di eseguire l’attività di orientamento nello spazio tramite l’integrazione del percorso, ma non producevano più un’attività simile a quella delle cellule a griglia. Si è, dunque, verificato un cambiamento nella prestazione.
Allo stesso modo, l’attività simile a quella del cervello biologico è scomparsa anche quando i ricercatori hanno incaricato le reti neurali artificiali di «generare diversi tipi di output di posizione, tra cui – ad esempio – la distanza rispetto a un punto iniziale».
La conclusione sembra essere che se, nell’ambito dei compiti descritti, alle reti neurali artificiali si domanda di eseguire l’attività di orientamento nello spazio tramite l’integrazione del percorso, imponendo loro limiti molto specifici (vedi la conversione della velocità di spostamento in una posizione unica), allora è possibile ottenere un’attività che si avvicina a quella delle cellule neurali biologiche. Ma se vengono sciolti i limiti dei parametri imposti, l’attività della rete va degradando.
Dove condurrà la ricerca futura
Gli esiti dello studio del MIT invitano i neuroscienziati a riflettere sulla necessità di una maggiore prudenza nell’interpretare le abilità dei modelli di rete neurale che imitano il cervello biologico e nel trovare analogie tra le due attività neurali.
Riguardo, nello specifico, alla riproduzione delle attività delle cellule grid, quello che è stato dimostrato con quest’ultimo lavoro è che questa non si verifica “naturalmente” in tutte le reti addestrate all’orientamento nello spazio tramite attività di integrazione del percorso.
Si verifica solo se si replicano determinati parametri imposti che, in ogni caso, sono funzionali solo all’esecuzione di quel compito, ma non riproducano affatto il funzionamento delle cellule a griglia biologiche. E questo – sottolinea il team – solleva la questione in merito a quali scelte relative alle architetture di rete possano essere effettuate al fine di ottenere una struttura neurale che si avvicini il più possibile a quella delle cellule grid.
Gli studi futuri saranno orientati a tale obiettivo, ossia a esplorare quelle condizioni in cui, da una determinata struttura di ANN, derivino determinate attività di orientamento nello spazio, con quante più caratteristiche simili a quelle delle cellule a griglia dell’area dell’ippocampo dei mammiferi.
Il lavoro teorico successivo sulle rappresentazioni delle cellule a griglia – suggeriscono i ricercatori – potrebbe includere quelli che, a loro avviso, sono emersi come due fattori importanti, vale a dire «un range di codifica molto ampio delle posizioni attuali dell’animale nello spazio, così come delle sue posizione successive, e la relativa proprietà di correzione degli errori».