Primo consenso tra gli scienziati sulla definizione e sui metodi in tema di colture cellulari di organi in 3D, con l’indicazione di criteri per la loro classificazione.
TAKEAWAY
- Gli organoidi sono versioni miniaturizzate e tridimensionali di organi umani, prodotti in laboratorio attraverso tecniche di coltura cellulare in 3D a partire da poche cellule di tessuto prelevate dal paziente.
- La ricerca in questo campo apre alla possibilità di riprodurre in vitro quegli organi aggrediti da malattie – tra cui quelle croniche e il cancro – per poter, in questo modo, osservarne dal vivo gli effetti e sviluppare terapie mirate e personalizzate.
- La ricerca sugli organoidi, negli ultimi anni, è divenuta particolarmente ricca e attiva. E, con essa è diventata urgente anche la necessità di definizioni e di nomenclature chiare, che descrivano le tecniche e i sistemi utilizzati. Urgenza di cui si è fatta portavoce l’Università di Utrecht, proprio dove, anni fa, è nato questo nuovo corso di studi.
Si torna a parlare di organoidi per la medicina di precisione, in un momento in cui la comunità scientifica è sempre più impegnata nello studio e nella ricerca di soluzioni mirate contro malattie complesse e patologie tumorali.
Gli organoidi sono versioni miniaturizzate (non superano i pochi centimetri), tridimensionali e dalle caratteristiche anatomiche realistiche, di organi umani. Prodotti in laboratorio attraverso tecniche di coltura cellulare in 3D a partire da poche cellule di tessuto prelevate dal paziente e contenenti cellule staminali, rappresentano un modo del tutto inedito, rivoluzionario, di osservare il processo di formazione e sviluppo dell’embrione di organi quali, ad esempio, intestino, rene, pancreas, fegato, cervello e retina.
Le prime tecniche di coltura cellulare di organi in 3D risalgono al periodo tra gli anni ’80 e ’90, con i primi studi dei processi che guidano lo sviluppo degli organi durante le prime fasi della vita embrionale.
Da allora, con l’evoluzione delle tecniche di coltura cellulare e il susseguirsi delle ricerche, la scienza ha spinto verso l’utilizzo degli organoidi nell’ambito della medicina di precisione, col tentativo di personalizzare il più possibile i trattamenti terapeutici di determinate patologie in base al singolo paziente e alle sue specifiche caratteristiche.
Più in particolare, la ricerca in questo campo apre alla possibilità di riprodurre in vitro quegli organi aggrediti da malattie – tra cui quelle croniche e il cancro – per potere, in questo modo, osservarne dal vivo gli effetti e sviluppare terapie mirate.
Si pensa anche agli organoidi come valido strumento per l’analisi dell’impatto di nuovi farmaci sulla fisiologia dei vari organi e, infine, come eventuale “strada” verso la generazione di organi per trapianti.
Nelle direzioni citate si colloca la startup italiana HoMoLog – nata nel 2017 da una collaborazione tra l’Università La Sapienza di Roma e il Center for Life Nano Science dell’Istituto Italiano di Tecnologia (CLNS – IIT Roma) – composta da un team multidisciplinare di biologi, ingegneri e fisici impegnati nella produzione di organoidi realizzati a partire da cellule staminali dei pazienti, con l’obiettivo di verificare in anteprima l’efficacia delle terapie a cui si dovranno sottoporre.
Sempre in tema di organoidi per la medicina di precisione è il progetto PreCanMed, finanziato dall’Unione Europea, che vede riuniti centri di eccellenza per la ricerca sul cancro in Italia (Friuli Venezia Giulia) e in Austria (Tirolo), al fine di creare una piattaforma di precisione per il trattamento anticancro.
Più nel dettaglio, gli scienziati che lavorano a questo progetto si servono della tecnologia degli organoidi tumorali, modelli di coltura cellulare 3D generati da tessuti di pazienti oncologici, che possono essere coltivati in laboratorio in modo da replicare con precisione le caratteristiche del tumore originale e sperimentare, così, l’efficacia terapeutica dei diversi trattamenti.
Organoidi per la medicina di precisione: la necessità di definizioni chiare e di un metodo sistematico
La ricerca sugli organoidi per la medicina di precisione, negli ultimi anni, è divenuta particolarmente ricca e attiva. E, con essa – osserva Bart Spee, professore presso l’Università di Utrecht, nei Paesi Bassi, in un articolo sulla rivista Cell Stem del 4 maggio 2021, di cui è autore insieme al suo team – è via via diventata urgente anche la necessità di definizioni e di nomenclature chiare, che descrivano le tecniche e i sistemi utilizzati, facilitando, al tempo stesso, la comunicazione, un filo rosso, all’interno del mondo scientifico e un’interpretazione coerente della materia.
La nascita di questo specifico ambito di studi è avvenuta proprio nei laboratori di ricerca dell’Ateneo di Utrecht molti anni fa, ricorda Spee. E, nel momento in cui gli studi hanno preso piede, è sorta un po’ di confusione. Al punto che oggi – si legge nell’articolo – c’è da chiedersi che cos’è esattamente un organoide, quante tipologie ne esistono e come dovrebbero essere definite.
“In passato – fa notare il professore – linee cellulari sufficientemente semplici da coltivare sono state assemblate in 3D e il cluster cellulare risultante è stato definito ‘organoide’. Ma, secondo la nostra definizione, non lo è. Perché una tale linea cellulare non è rappresentativa di tutte le differenze tra gli individui”
Secondo la definizione avanzata nell’articolo, un organoide deve essere costituito da cellule primarie che sono state isolate da tessuti malati o sani, a seconda dell’organo che si intende riprodurre in vitro (se, appunto sano oppure affetto da una patologia).
Il che fornisce una buona rappresentazione di tutte le differenze naturali tra gli individui e consente ai ricercatori di verificare se determinate terapie funzionano per gruppi di pazienti specifici.
Nel “sistema” descritto nell’articolo, gli organoidi vengono classificati a seconda delle caratteristiche specifiche di ognuno. Il professor Bart Spee, a tale riguardo, fa l’esempio dell’organoide del fegato, costituito da diversi tipi di cellule, tra cui gli epatociti e le cellule dei dotti biliari (colangiociti). “Ebbene, è importante che i ricercatori siano molto precisi quando descrivono il sistema organoide che stanno coltivando”.
La definizione fissata dal gruppo di lavoro dell’Università di Utrecht si basa, in particolare, sugli organoidi delle cellule del fegato, del pancreas e dei dotti biliari, ma è applicabile a tutti i tessuti, quindi – ad esempio – anche agli organoidi dell’intestino, del cervello o della pelle.
Come si raggiunge il consenso della comunità scientifica in merito a definizioni e sistematizzazioni in un ambito come quello degli organoidi per la medicina di precisione? Il team ha inviato a cento scienziati che, a livello globale, hanno pubblicato studi e articoli di divulgazione sugli organoidi, un elenco di domande aperte sulla base delle quali hanno poi potuto perfezionare le proprie linee guida.
“Il tasso di risposta dell’85% dimostra che gli scienziati coinvolti hanno riconosciuto l’urgenza di definizioni e di metodi standard, universalmente riconosciuti” ha sottolineato il professore.
Riflessioni sulle implicazioni etiche
In tema di organoidi per la medicina di precisione, la ricerca possiede potenzialità enormi. Ma le tecnologie utilizzate – lo ricordiamo – non sono prive di implicazioni sotto il profilo etico, con interrogativi che dovranno essere affrontati mediante un approccio multidisciplinare.
Interrogativi che – come emerge da un documento pubblicato su Science – riguardano, in primis, le cellule staminali embrionali, al centro da anni di un acceso dibattito.
Il timore è che lo sviluppo della ricerca sugli organoidi possa portare a un aumento della richiesta di materiale embrionale umano, per convalidare in modo rigoroso le tecniche di sperimentazione sugli organoidi.
Un’altra domanda che ci si pone riguarda il valore che i donatori di cellule attribuiscono ai “loro” organoidi, in particolare agli organoidi di cervello, che potrebbero possedere qualche abbozzo di caratteristica cognitiva individuale.
Ricordiamo, infine, che la ricerca sugli organoidi presuppone anche l’ampliamento delle bio-banche, dove vengono raccolti i campioni cellulari e tissutali. Ebbene, chi può conservare i campioni biologi? Con quali regole, con quali finalità e tempistiche? I comitati etici sono al lavoro e attendiamo risposte che – al pari delle definizioni di standard e dei criteri di classificazione – facciano altrettanta luce su un settore di studi affascinante quanto delicato.