Tra la quantità totale di CO2 assorbita dai mari del pianeta e quella trattenuta dall'atmosfera è un bel match. La ricerca sulla sua rimozione dalle acque oceaniche senza il ricorso alla chimica - congiuntamente alle misure e alle tecnologie già in essere per azzerarne le emissioni - contribuisce ad abbassare l'impatto ambientale generato da questo gas serra.
La riduzione di CO2 nelle acque degli oceani tramite processi estrattivi rappresenta, oggi – mentre scriviamo – un’opportunità foriera di grandi speranze per il futuro, nell’ottica della mitigazione globale delle emissioni di gas serra e del loro definitivo azzeramento. Ma facciamo un passo indietro. Solo a partire dagli ultimi anni l’oceano è stato riconosciuto come “serbatoio globale” per l’anidride carbonica atmosferica.
«L’oceano è il più grande serbatoio di carbonio del pianeta, un sistema naturale che assorbe l’anidride carbonica in eccesso dall’atmosfera e la immagazzina. Circa il 40% di CO2 immessa nell’atmosfera dalla combustione di combustibili fossili dall’alba dell’era industriale è stata assorbita dall’oceano»
si legge nel paper “External Forcing Explains Recent Decadal Variability of the Ocean Carbon Sink”, a cura del Lamont-Doherty Earth Observatory, in seno alla Columbia University. E – ricordano i suoi autori – il continuo processo di acidificazione delle acque oceaniche (diretta conseguenza della reazione dell’acqua marina a contatto con la CO2 assorbita) ha già portato alla distruzione delle barriere coralline e a impatti nocivi su altre forme di vita nei mari. Che cosa si è fatto, finora, per arginare tale fenomeno?
Riduzione CO2 negli oceani: la ricerca di una metodologia priva dell’utilizzo di sostanze chimiche
In tema di riduzione di CO2 negli oceani, ad oggi sono stati proposti due approcci, ossia l’elettrodeionizzazione e l’elettrodialisi, come spiega un team composto da alcuni ricercatori del Department of Chemical Engineering e del Department of Mechanical Engineering del Massachusetts Institute of Technology (MIT), autori dello studio descritto in“Asymmetric chloride-mediated electrochemical process for CO2 removal from oceanwater” :
«Nel processo di elettrodeionizzazione si verificano reazioni di scissione dell’acqua, che a loro volta generano gas di idrogeno e ossigeno per modulare il pH, determinando così la rimozione di CO2. Tuttavia, tale approccio porta con sé un elevato consumo complessivo di energia. L’elettrodialisi, invece, fornisce un mezzo più efficiente dal punto di vista energetico, ma comporta un costo più elevato e – aspetto cruciale – presenta rischi di perdite di sostanze tossiche nell’oceano»
È necessario – sottolinea il gruppo di studio – identificare approcci che non richiedano l’aggiunta di sostanze chimiche, né portino a reazioni che conducono alla formazione di composti indesiderati nelle acque.
La CO2 dell’aria si dissolve nell’acqua di mare come acido carbonico, «che può essere riconvertito in CO2 molecolare semplicemente abbassando il pH dell’acqua dell’oceano e poi rimosso come gas puro mediante strippaggio sotto vuoto»ipotizzano i ricercatori.
A quel punto, il pH dell’acqua trattata può, successivamente, essere innalzato prima che questa venga restituita all’oceano, col duplice vantaggio di contrastare l’acidificazione dei mari e di favorire l’ulteriore assorbimento di CO2 dall’atmosfera. Ma vediamo più da vicino di che cosa si tratta.
La modulazione elettrochimica del pH delle acque oceaniche
In tema di riduzione di CO2 negli oceani, la tecnica messa a punto dal team del MIT si fonda esclusivamente sulla modulazione elettrochimica del pH dell’acqua marina, atta a rilasciare inizialmente la CO2 e poi ad alcalinizzare l’acqua trattata prima che venga restituita all’oceano.
Questo approccio – specificano gli autori – «non richiede procedure costose o l’aggiunta di sostanze chimiche. È facile da implementare e non porta alla formazione di sottoprodotti o di flussi secondari».
In che cosa consiste la modulazione elettrochimica del pH dei mari? Il processo è costituito da celle elettrochimiche senza membrana, i cui elettrodi (uno in bismuto e l’altro in argento, entrambi metalli non inquinanti) rilasciano protoni nel mare, guidando così il rilascio dell’anidride carbonica, che si discioglie nell’acqua.
«Si tratta di un processo ciclico, in cui dapprima viene acidificata l’acqua per convertire i bicarbonati inorganici disciolti in anidride carbonica molecolare, che viene poi raccolta come gas sotto vuoto. E poi l’acqua di mare viene alimentata da un secondo gruppo di celle con una tensione inversa, per recuperare i protoni e trasformare l’acqua acida in alcalina prima di rilasciarla nuovamente in mare»
spiega il gruppo di studio. La rimozione di CO2 dalle acque marine e la successiva reimmissione di acqua alcalina nel mare potrebbe – nelle intenzioni degli autori – iniziare lentamente a invertire il processo di acidificazione delle acque, causato dall’accumulo di anidride carbonica.
Una volta che l’anidride carbonica viene rimossa dall’acqua, deve poi essere smaltita, proprio come accade con tutti i processi di rimozione del carbonio. E Lo si può fare, ad esempio, seppellendola in formazioni geologiche profonde, sotto il fondo del mare.
Oppure la CO2 rimossa può essere convertita chimicamente in un composto come l’etanolo, che può essere impiegato come carburante per i trasporti.
Riduzione CO2 oceani: applicazioni e direzione futura della ricerca
«Con questo approccio non saremo in grado di trattare le emissioni dell’intero pianeta, ma la reiniezione di acqua alcalina nel mare potrebbe essere effettuata a livello locale, ad esempio in luoghi come gli allevamenti ittici, che tendono ad acidificare l’acqua marina»
afferma il team di studio in materia di riduzione di CO2 negli oceani. I moduli di rimozione della CO2 possono essere installati anche su piattaforme fisse nei mari o su navi mercantili che solcano gli oceani oppure integrati con processi di desalinizzazione a terra, per sfruttare gli impianti di trattamento dell’acqua già installati.
E l’anidride carbonica catturata può essere iniettata direttamente dalle piattaforme nelle strutture geologiche sotterranee per il sequestro a lungo termine o utilizzata come materia prima per combustibili o per la produzione di materie prime e prodotti chimici speciali.
Il sistema potrebbe essere implementato anche da navi che trattano l’acqua durante il viaggio, al fine di contribuire a mitigare il contributo significativo del traffico navale alle emissioni complessive di gas serra.
Esistono già mandati internazionali per ridurre le emissioni delle spedizioni navali e questo potrebbe aiutare le compagnie di navigazione a compensare parte delle loro emissioni e trasformare le navi in depuratori oceanici.
La ricerca futura in tema di riduzione di CO2 negli oceani, prevede – per quanto riguarda la struttura gli elettrodi – la sostituzione dell’argento con un altro materiale, più facile da smaltire e da dissolvere.
Inoltre – anticipano gli autori – si dovrà lavorare a metodi per superare l’incrostazione degli elettrodi a causa di condizioni locali di pH superficiale elevato, che promuovono la formazione di incrostazioni:
«Attualmente sono già allo studio diversi approcci ingegneristici ed elettrochimici per alleviare tali problemi. In uno di questi, ad esempio, l’acqua degassificata è stata miscelata con acqua fresca dell’oceano prima di essere alimentata dalla cella di rigenerazione, per ridurre l’aumento complessivo del pH nel canale di flusso». E la ricerca continua.