I dissalatori marini a evaporazione solare rappresentano una soluzione sostenibile alla crisi idrica globale. Tuttavia, i loro processi risentono ancora di alcune falle, responsabili di sprechi e di potenziali danni all’ambiente.
«Entro il 2025 – stima la FAO – Food and Agriculture Organization of The United Nations – 1,8 miliardi di persone vivranno in aree del pianeta colpite da “scarsità idrica assoluta” – ovvero con meno di 500 metri cubi di acqua dolce pro capite all’anno – e due terzi della popolazione mondiale potrebbe trovarsi in condizioni di “stress idrico”, cioè con una disponibilità di acqua dolce compresa tra i 500 e i 1000 metri cubi pro capite all’anno».
Crescita demografica, sviluppo economico basato sullo sfruttamento intensivo delle risorse idriche e cambiamento climatico sono tra le cause che hanno portato ai due fenomeni citati, purtroppo destinati a inasprirsi nei prossimi anni in seguito all’atteso aumento del riscaldamento globale [fonte: United Nations Water].
Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UN Environment Programme – UNEP), a marzo 2024, in occasione della “giornata mondiale dell’acqua”, svoltasi il giorno 22 dello stesso mese, ha indicato sette azioni da mettere in atto per arginare la crisi idrica globale. Tra queste, anche lo «sfruttamento delle fonti d’acqua non convenzionali», compresa l’acqua del mare, purché – raccomanda l’UNEP – la desalinizzazione venga eseguita sempre in modo sostenibile, ossia «superando il problema dello scarico di salamoia tossica negli oceani e azzerando il rischio di aumento delle emissioni di gas serra derivanti dall’energia necessaria per alimentare l’intero processo», dove per “salamoia tossica” si intende «una soluzione acquosa con livelli elevati di salinità, superiori alle concentrazioni presenti nell’acqua di mare, definita con salinità 3,5%», tale da arrecare danno agli ecosistemi marini.
Takeaway
Desalinizzazione tramite il calore del sole: l’importanza della capacità fototermica dei materiali utilizzati
Desalinizzare, o dissalare, l’acqua marina significa sottoporla a un processo per privarla – totalmente oppure solo in parte – del sale, rendendola potabile o comunque utilizzabile in agricoltura e nell’industria.
Tra le metodologie adottate per porre in essere tale processo, quella che tende maggiormente al “green”, alla sostenibilità ambientale, è l’evaporazione tramite il calore del sole.
Gli sviluppi più recenti nella messa a punto di evaporatori solari sono quelli che puntano a materiali dall’elevata capacità fototermica, come – ad esempio – quelli costituiti da nanoparticelle metalliche, semiconduttori e polimeri.
A tale riguardo, il lavoro descritto in “Flatband λ-Ti3O5 towards extraordinary solar steam generation” (Nature, 2023) rimarca come, per rendere l’evaporazione del calore solare strategica per la desalinizzazione dell’acqua di mare, nonché per evitare sprechi di energia, sia cruciale ottimizzare proprio il passaggio che, dalla raccolta dell’energia solare, conduce alla generazione di vapore.
«La maggior parte degli sforzi precedenti si sono concentrati sulla raccolta dell’energia solare. Viene meno enfatizzata, invece, l’importanza di migliorare l’assorbimento dell’energia solare da parte dei materiali fototermici utilizzati» osservano gli autori, impegnati presso la Northeastern University e la Chinese Academy of Sciences, entrambe a Shenyang, in Cina.
In particolare, il materiale proposto dal team cinese è fatto di polveri metalliche (λ-Ti3O5), in grado di garantire un assorbimento solare del 96,4%:
«Incorporandole in evaporatori tridimensionali porosi a base di idrogel, con una cavità conica, si ottiene un tasso di evaporazione di circa 6,09 chilogrammi per metro quadrato all’ora, per il 3,5 % in peso di acqua salina»
precisa il gruppo di ricerca.
Progressi e limiti attuali degli evaporatori solari
Gli evaporatori ai quali fanno riferimento gli scienziati cinesi sono di tipo tridimensionale. Ma non è sempre stato così.
Fino a cinque anni fa, gli evaporatori fototermici sperimentali erano bidimensionali, vale a dire costituiti da una sola superficie piana, «col rischio che perdessero dal 10 al 20% di energia solare, a causa dell’acqua e dell’ambiente circostanti», fanno notare i ricercatori del Future Industries Institute, presso l’University of South Australia, in “Sunlight to solve the world’s clean water crisis” (2021), in cui è descritto il primo evaporatore tridimensionale.
Nel dettaglio – illustrano – si tratta di un evaporatore dal particolare design a forma di pinna che, spostando il calore in eccesso lontano dalle sue superfici, lo distribuisce alle sue “alette” per l’evaporazione dell’acqua. In questo modo, la superficie di evaporazione si raffredda e non vi sono perdite di energia durante il processo.
Questo è solo uno dei tanti esempi di evoluzione del metodo di desalinizzazione dell’acqua di mare tramite calore solare, che hanno portato, negli ultimi anni, non solo a miglioramenti significativi nell’efficienza dell’evaporazione, ma anche a un sempre maggiore livello di sostenibilità.
Nello specifico, a tali scopi, si è lavorato allo sviluppo di evaporatori solari dalle diverse strutture – da quelle caratterizzate da architetture porose a quelle a lamelle e a strutture a colonna – e al potenziamento dei tassi di evaporazione, attraverso – ad esempio – un’attenta razionalizzazione dei canali idrici e l’implementazione di processi di evaporazione multistadio.
Tuttavia, un recente studio a cura del Waterloo Institute for Nanotechnology dell’Università di Waterloo, nell’Ontario (“Thermo-adaptive interfacial solar evaporation enhanced by dynamic water gating” – Nature Communications, 2024), insiste sulle sfide ancora da affrontare nella desalinizzazione dell’acqua di mare, in primis quella relativa alla formazione di incrostazioni saline nei canali dell’acqua dell’evaporatore, causa di malfunzionamenti che richiedono manutenzione continua.
Finora – ricordano gli autori – per ovviare a tale problema, si è fatto affidamento su strutture che impediscono depositi di sale, «su canali d’acqua senza contatto e sulla cristallizzazione localizzata».
Ma, in tema di evaporatori solari, persiste un’altra criticità importante – evidenziano – data «dai loro rigidi progetti strutturali e dai loro cicli operativi passivi, che ne impediscono il funzionamento prolungato». Da qui l’idea di progettare un processo di evaporazione solare “autonoma” dell’acqua salata. Vediamo in che modo.
Desalinizzazione dell’acqua salata: focus sull’evaporazione solare autonoma
Il gruppo di studio dell’Ateneo canadese si è ispirato, in particolare, al ciclo naturale dell’acqua, per mettere a punto una struttura di evaporazione dell’acqua salata che emula il modo in cui gli alberi trasportano l’acqua dalle radici alle foglie:
«Abbiamo progettato un evaporatore solare a doppio strato, che induce l’acqua a evaporare. Quindi, la trasporta in superficie e la condensa in un ciclo chiuso, prevenendo l’accumulo di sale che riduce l’efficienza del dispositivo. Dotato di un sistema dinamico di controllo termico, passa autonomamente dall’evaporazione dell’acqua allavaggio del sale», minimizzando, così, il rischio di rilasciare in mare la cosiddetta “salamoia tossica”, alla quale si è accennato all’inizio.
È stato fabbricato con schiuma di nichel (porosa) e il doppio strato si deve a due componenti strategici: lo strato superiore, assemblato con nanosfera di polidopamina – polimero sintetico derivato dalla dopamina – e lo strato inferiore, ingegnerizzato con sporopollenina, polimero biologico presente sulla parete esterna dei granuli di polline.
Nello specifico, lo strato superiore funge da interfaccia fototermica, mentre quello inferiore, composto da sporopollenina termo-reattiva, «funge da strato di controllo».
Questo doppio meccanismo fa in modo che vi sia un trasporto continuo di acqua salata, senza interruzioni, e al medesimo tempo, che si attui un’autoregolazione per fare fronte all’accumulo di sale.
Il nuovo evaporatore solare per la desalinizzazione dell’acqua marina possiede, inoltre, una struttura cava, che assicura isolamento termico. Si tratta di un design – sottolinea il team di lavoro – che, in fase di test, «ha prodotto elevate prestazioni di conversione del vapore solare, con un tasso di generazione di vapore fino a 3,58 kg per metro quadrato e un rapporto solare-vapore del 93,9%».
Il dispositivo è alimentato a energia solare (converte circa il 93% della luce solare in energia) – contribuendo, in questo modo, alla riduzione dell’aumento delle emissioni di gas serra – ed è in grado di produrre circa 20 litri di acqua dolce per metro quadro, «la stessa quantità raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, affinché, ogni giorno, ogni persona possa bere e lavarsi senza preoccupazioni».
Glimpses of Futures
Trasformare l’acqua di mare in acqua dolce per mezzo dell’evaporazione solare è una pratica che, negli ultimi anni, si è sempre più diffusa.
Tuttavia, nata col nobile obiettivo di recuperare acqua potabile dall’ambiente naturale in modo sostenibile, tale pratica rischia di divenire, essa stessa, ulteriore causa di problematiche ambientali se non si iniziano a prendere di petto le sue criticità, prime fra tutte lo scarico di salamoia tossica negli oceani e la produzione di gas serra derivanti dall’energia necessaria per alimentare i suoi processi.
Con l’obiettivo di anticipare possibili scenari futuri, proviamo ora ad analizzare – servendoci della matrice STEPS – gli impatti che l’evoluzione del nuovo sistema di evaporazione solare per la desalinizzazione dell’acqua marina potrebbe avere sotto il profilo sociale, tecnologico, economico, politico e della sostenibilità.
S – SOCIAL: in futuro, l’evoluzione della metodologia illustrata, per dissalare l’acqua marina in modo più sostenibile dal punto di vista ambientale, potrebbe portare a un ampliamento del proprio raggio di azione, dimostrando – ad esempio – il suo potenziale anche nella purificazione di acque dolci contaminate, oltre che nella rimozione, da queste, di metalli pesanti. Inoltre, un altro impatto positivo dato dallo sviluppo, nei prossimi anni, del nuovo evaporatore solare per la desalinizzazione, potrebbe consistere nella costruzione di un prototipo da utilizzare direttamente in mare, per testare la tecnologia su una scala più ampia. Se i test sul prototipo avranno esito positivo, il dispositivo, un giorno, potrebbe essere impiegato (sempre in modo sostenibile) per fornire acqua dolce alle comunità costiere di quelle aree che risentono maggiormente della carenza di acqua potabile.
T – TECHNOLOGICAL: l’ambito di studi delle nanotecnologie, con la ricerca di sempre nuovi nanomateriali dalle elevate capacità di assorbimento di energia solare, è quello che maggiormente influenzerà l’evoluzione della tipologia di dispositivo progettato dall’Università di Waterloo. In futuro, sono attese nuove nanoparticelle metalliche, nonché nuovi polimeri sintetici e biologici, per la creazione di altre strutture, a perfezionamento dell’evaporatore solare descritto. In particolare, restano ancora da chiarire quali soluzioni sono più idonee a regolare le dinamiche relative all’accumulo di sale all’interno dei canali dell’evaporatore e al suo rilascio in mare, col pericolo di disequilibri ai danni degli ecosistemi marini.
E – ECONOMIC: qual è l’impatto economico della produzione di acqua marina desalinizzata? Per quanto riguarda l’Europa, l’Asociación Española de Desalación y Reutilización – il cui obiettivo è «promuovere l’uso appropriato della dissalazione dell’acqua di mare e dell’acqua salmastra e il riutilizzo delle acque reflue depurate, contribuendo così alla gestione sostenibile delle risorse idriche» – in un articolo reso pubblico ad aprile 2024, fa sapere che, attualmente, «il costo per produrre acqua desalinizzata dal mare varia tra 0,5 e 1,0 euro al metro cubo. E che un litro di acqua desalinizzata costa tra 0,0003 e 0,0010 euro» (ricordiamo che la Spagna, nel Vecchio continente, è stata l’antesignana degli impianti di desalinizzazione, che costruisce, ormai, da oltre sessant’anni). Si tratta di costi esigui, che evaporatori solari come quelli presentati dal team di ricerca canadese, tesi a ridurre le dispersioni di calore e alimentati da pannelli fotovoltaici, potrebbero addirittura contribuire a ridurre.
P – POLITICAL: nei paesi più fragili dal punto di vista socio-economico, la crisi idrica è, molto spesso, anche conseguenza di una completa assenza di politiche tese alla salvaguardia dell’ambiente e di una cattiva gestione dell’acqua, accompagnate da interventi distruttivi nei confronti degli ecosistemi di acqua dolce. E questo, per miliardi di persone in tutto il mondo, significa assenza di acqua pulita e di servizi igienico-sanitari sicuri. il Rapporto 2024 delle Nazioni Unite sullo sviluppo idrico mondiale (The UN World Water Development Report 2024) ci restituisce la dimensione del problema, con ben 2,2 miliardi di persone che non hanno accesso ad acqua batteriologicamente pura e 3,5 miliardi senza servizi igienico-sanitari sicuri per la salute. Ricordiamo che l’acqua pulita rientra tra i 17 Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030 (Obiettivo 6). Mancano ormai meno di sei anni al suo conseguimento, per il quale si rendono necessarie efficaci tecnologie di raccolta e di purificazione. Quello illustrato è un sistema che, in futuro, potrebbe divenire anche portatile, il che lo renderebbe ideale per l’uso in regioni remote (si pensi solo alle aree interne dell’Africa), caratterizzate da condizioni di siccità severa e dove l’accesso all’acqua dolce è praticamente inesistente.
S – SUSTAINABILITY: la desalinizzazione dell’acqua marina non sempre è supportata da tecnologie, materiali e procedure sicure per l’ambiente. Le questioni ancora aperte – come accennato – riguardano la formazione di condense d’acqua eccessivamente salate (poi scaricate nei mari), il rischio di un aumento delle emissioni di gas serra, dovuto alle grosse quantità di energia di cui necessitano gli impianti durante la lavorazione, e la dispersione di calore in seguito a un cattivo assorbimento dell’energia solare da parte di materiali fototermici poco performanti. L’adozione, in futuro, di evaporatori solari come quello proposto dagli scienziati canadesi, potrebbe superare questi limiti e contribuire, oltre che alla produzione di acqua dolce pulita, alla sostenibilità ambientale.