Si chiama Hydrocarbot il robot autonomo con il quale quattro giovanissimi ragazzi liguri hanno vinto le Olimpiadi della Robotica e rappresentato l’Italia alla First Challenge di Dubai. Il robot autonomo riesce a raccogliere gli idrocarburi sversati in acqua grazie a spugne in nanoscala e ad alcune tecnologie informatiche ed elettroniche. In futuro, si pensa a tanti piccoli robot che si coordinano autonomamente per lavorare insieme.
Porti distrutti, navi affondate, carburanti che si riversano in mare: l’inquinamento da idrocarburi (petrolio, gasolio, benzina) è un problema complesso per il quale servono soluzioni concrete (come quelle dell’impiego di robot autonomi per pulire gli oceani) e realizzabili prima che sia troppo tardi per gli ecosistemi marini e, di conseguenza, anche per quelli terrestri.
Pulire oceani e mari è un’impresa forse oltre le possibilità dell’uomo che può però aiutarsi, attingendo a un altro “bacino”, non acquatico, ovvero quello dell’intelligenza artificiale (e della robotica, in particolare i robot autonomi). Un esempio di tecnologia vincente, in tal senso, è l’idea di quattro ragazzi di Rapallo, città ligure il cui porto fu spazzato via da una mareggiata due anni fa, il 29 ottobre 2018. Mesi dopo l’acqua rimaneva ancora color arcobaleno, anche dopo che i relitti delle centinaia di barche distrutte erano stati tolti. E nonostante ciò erano già riprese le attività di pesca e quelle di balneazione.
Dal voler contrastare danni ambientali come questo nasce Hydrocarbot, il robot con cui Alberto Conte, Giorgio Bernardini, Tommaso Pavletic e Luca De Ponti hanno vinto, per la categoria “Acqua”, l’edizione 2019 delle Olimpiadi di Robotica, un progetto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca dedicato alle scuole secondarie. Dopo questa vittoria hanno rappresentato l’Italia alla First Global Challenge di Dubai, arrivando secondi.
La sagoma del loro robot è quella di un catamarano, con due scafi fatti in pvc, sui quali si regge l’intera struttura, composta di plexiglass e alluminio, al cui interno c’è la parte elettronica e il sistema di filtraggio. Di centrale importanza è infatti il convogliatore, che ha il compito di portare acqua alla pompa e, attraverso una rete metallica, è protetto dall’arrivo di inquinanti secondari.
Un filtro attira petrolio, gasolio e altri idrocarburi senza assorbire l’acqua, attraverso delle particolari spugne. Queste ultime, presentate nel 2018 dall’Istituto Italiano di Tecnologia, sono trattate in nanoscala, quindi a livelli infinitamente piccoli, con particelle che le rendono oleofile, ma allo stesso tempo idrofobiche. Allontanano l’acqua e trattengono gli “oli” dannosi.
Alla base della tecnologia di Hydrocarbot ci sono diversi elementi di sostenibilità e una preparazione tecnica: il giovane team si è confrontato negli ultimi anni con fisici e esperti di robotica marina. Compagni di scuola, adesso tutti e quattro studiano all’università, frequentando facoltà scientifiche, e hanno dato vita a una start-up, BeInn.
Una sostenibilità innanzitutto energetica: una batteria di 12 volt alimenta non solo i propulsori, presenti all’estremità posteriori dei due scafi, ma anche il processore e la pompa, collocata in mezzo ai processori. Tale batteria viene poi ricaricata attraverso un pannello fotovoltaico posto al di sopra della struttura.
Per sapere quali zone pulire il robot, completamente autonomo sullo specchio d’acqua, è gestito tramite Arduino e manovrato con un semplice smartphone, attraverso un sistema bluetooth. Fondamentale l’azione del processore che, tramite gps, orienta il robot e gestisce la potenza dei motori per raggiungere le zone da pulire.
L’idea è quella di produrre tanti piccoli robot, di non più di due metri di larghezza, che si coordinino insieme per svolgere il lavoro, invece di una grande barca, come già ne esistono. Si pensi ad esempio a Ocean Cleanup, la macchina per pulire gli oceani fino a 600 metri di profondità ancorata ad un tubo di gomma: la sua rete blocca ogni tipo di rifiuti, Hydrocarbot invece si concentra sugli scarichi, e non dunque su rifiuti solidi, e aggiunge però il plus di poterli recuperare.
Gli idrocarburi prelevati dal mare attraverso il filtro vengono infatti accumulati in un serbatoio e possono essere riutilizzati per altri scopi, in modo che niente vada sprecato. Lo scenario è interessante: non solo purificare l’acqua, ma evitare altre produzioni di idrocarburi, recuperando quelli dispersi in mare. Un progetto ambizioso con cui i quattro studenti vogliono ripulire tutte le acque d’Italia.