Le esperienze digitali richiedono un numero sempre maggiore di mondi virtuali 3D, in cui gli utenti possono immergersi ed interagire insieme nelle applicazioni del metaverso. Di fronte ad una crescente esigenza di contenuti 3D emerge immediatamente la barriera degli standard tecnologici, dove ogni vendor tende ad imporre la propria soluzione, rendendo problematica l’interoperabilità sia a livello di contenuti che di sviluppatori. I professionisti del software non possono ovviamente conoscere tutti i linguaggi e i formati file esistenti.

Dopo aver esaminato i principali trend che contraddistinguono l’ingegneria del software, incontriamo nuovamente Paolo Emilio Selva, Principal Engineer di Weta Fx, e decano dell’industria VFX (effetti visivi), dopo aver maturato esperienze anche nell’ambito del HMI (human-machine interface) e nella generazione di sistemi urbani.

In più di un’occasione ti sei dimostrato un fautore dell’open standard nell’industria VFX, da cosa deriva questa presa di posizione?

Selva: La presenza di prodotti di diversi vendor nelle pipeline di produzione rende di base complessa l’interoperabilità. Si tratta di un problema eterno, che chiunque abbia lavorato almeno una volta su un progetto ha avuto certamente modo di conoscere. Questo accade per vari motivi ma la causa principale è dovuta alla difficoltà di definire e utilizzare un open standard.

Se una produzione prevede la creazione di una scena in Maya, una successiva integrazione in Houdini e una nuova modifica in Maya, non c’è una trasparenza lineare, in quanto gli standard chiusi dei due software comporta continue fasi di importazione ed esportazione dei file relativi alle scene 3D.

Realizzando dei tool specifici, in produzione possiamo ovviare almeno in parte al problema, ma di fatto rimane una inutile complicazione, per una serie di procedure che andrebbero rese molto più semplici già alla base, adottando degli standard comuni.

Ogni giorno l’industria VFX, e allo stesso modo quella dei videogiochi e l’intero ambito enterprise, produce moltissimo materiale che potrebbe concorrere alla definizione di uno standard aperto, gestito e coordinato da un soggetto responsabile, come avviene da sempre nel caso dei progetti open source.

Molto spesso invece di alcuni progetti open, anche interessanti, non è nota l’esistenza e gli sviluppatori finiscono per realizzare nuovamente ciò che, oltre ad essere già stato fatto in passato, sarebbe stato anche disponibile pubblicamente per il download e l’utilizzo. La community in tal senso non è molto unità, ci sono vari gruppi che tendono a non dialogare sempre tra loro.

Paolo Emilio Selva, Principal Engineer di Weta Fx
Paolo Emilio Selva, Principal Engineer di Weta Fx

Quali sono ad oggi le principali iniziative utili a promuovere e definire gli open standard nei vari ambiti applicativi dell’industria della computer grafica 3D?

Selva:  Tenderei a citarne due. Non intendo dire che siano più importanti di altre, ma le conosco essendo stato direttamente coinvolto. La prima è un’iniziativa di Autodesk, basata su due eventi: film advisory board e videogame advisory board, dove si incontrano i rappresentanti delle più importanti compagnie per discutere e condividere vari spunti e contenuti, nel contesto di alcune tavole rotonde. Si tratta di eventi molto stimolanti, che rimangono tuttavia vincolati alle tecnologie di un solo vendor. Che si tratti di Autodesk, Foundry, Clarisse o altri, quello che emerge dalla riunione degli esperti rimane finalizzato a risolvere il problema del vendor, non dell’intera industria, che è invece ciò di cui sarebbe maggiormente bisogno in questo momento.

Un’iniziativa che invece mira a promuovere direttamente la creazione e l’adozione degli open standard per la creazione di contenuti 3D è promossa dalla Academy Software Foundation, nota anche come ASWF, organizzata dalla stessa accademia che ogni anno assegna i premi Oscar per il cinema.

ASWF è un’iniziativa consorziale, per cui non c’è un vendor di riferimento. Tutte le big company che scelgono di aderire a ASWF contribuiscono alla creazione di open standard. In questi anni sono già stati definiti i formati OpenColorIO, OpenCue, OpenEXR, OpenVDB, oggi di utilizzo comune nelle applicazioni di computer grafica.

Questo discorso parte dall’industria entertainment, con l’attività delle company VFX e gaming, ma riguarda ormai pienamente anche l’ambito enterprise, come dimostra la crescente diffusione del digital twin nel contesto della manifattura digitale. Per non parlare degli standard del web 3D.

Come definiresti un open standard?

Selva:  La possibilità di parlare la stessa lingua in un contesto tecnologico. In molti casi le company stesse hanno interesse nella definizione di uno standard aperto, che non ha alcun senso mantenere interamente. Conviene distribuirlo in modo che tutti possano contribuire al suo sviluppo e sfruttare il lavoro della community. La creazione iniziale di un open standard ha dei costi che, seguendo questa logica, possono essere facilmente ammortizzati nel tempo, grazie al continuo ritorno di contenuti e attività da parte di studenti e professionisti in tutto il mondo.

Molti progetti open source accusano problemi di governance, come dimostrano alcune vulnerabilità nel software, ignorate per via di una scarsa attività di supervisione. Come può essere ovviato questo problema nel caso degli open standard per l’industria 3d?

Selva:  I forum e i consorzi che si occupano di open standard del software prevedono un guardiano del codice, che recepisce i contenuti della community e li organizza nelle versioni ufficiali del software aperto, a cui tutti possono liberamente accedere.

Deve sempre esserci un soggetto responsabile, che valuta le modifiche e le integra nel codice ufficiale. Organizzazioni come ASWF si occupano anche di questo aspetto. Ogni fondazione ha una propria struttura, dove generalmente ci sono alcune persone impiegate a tempo pieno sul progetto, che vengono regolarmente retribuite per il loro lavoro, a cui si aggiungono molti volontari.

Si parla spesso, in realtà ultimamente meno, del metaverso. Cosa ne pensi a riguardo e quali saranno a tuo avviso gli open standard che consentiranno di creare le sue applicazioni interattive?

Selva: Oggi ognuno ha una propria opinione sul metaverso, così come esistono molte definizioni a riguardo. Io credo che siano tutte corrette perché al momento non mi pare per nulla chiaro cosa si debba fare nel metaverso. È qualcosa in 3D sul web? È mettere un abito di Prada in Call of Duty? Secondo questa logica, tutto può essere metaverso. Direi piuttosto che stiamo guardando al metaverso in fase esplorativa, in attesa di definire le sue reali applicazioni.

USD potrebbe diventare il linguaggio di riferimento per i contenuti 3D del metaverso. Si spinge in quella direzione e il consorzio Khronos, di cui fanno parte le principali company dell’industria 3D, ha istituito un progetto dedicato: il Metaverse Standards Forum.

Senza adottare regole comuni e linguaggi standard per tutti i creatori di contenuti, credo che più che un metaverso si rischi di produrre un altro Second Life, che è qualcosa di totalmente diverso, oltre che privo di innovazione. È il momento di sperimentare, non c’è davvero nulla di definito oggi. Dobbiamo iniziare ad adottare degli standard di riferimento, altrimenti finiremo per produrre soltanto una serie di applicazioni interattive senza alcun elemento di novità.

Un esempio di vero metaverso è a mio avviso costituito dal digital twin, di cui iniziamo a vedere diverse applicazioni in ambito industriale, con sistemi che nascono già seguendo quel determinato tipo di logiche. Si tratta di sistemi innovativi che capitalizzano un patrimonio tecnologico che è il risultato di molti anni di implementazione, anche se al momento mi sembra prevalere la presenza di un singolo vendor. Tali applicazioni saranno in ogni caso il futuro, almeno nel caso della grande industria.

Per il resto assistiamo ad un notevole hype, che assomiglia più ad una novità su cui molti si buttano con un intento esclusivamente speculativo, privo di solide basi. Tali esperienze non avranno lunga durata.

Quali sono i principali vantaggi per le aziende che decidono di implementare un open standard nei loro processi di sviluppo?

Selva:  Un open standard è qualcosa che possiamo immaginare come uguale per tutti all’80%, con una restante parte di tecnologia proprietaria. Questo consente ad esempio di assumere uno sviluppatore formandolo soltanto su quel 20% che riguarda lo specifico aziendale.

In questo modo, si amplia la platea di candidati disponibili, in quanto tutti coloro che intendono avvicinarsi professionalmente al mondo dello sviluppo tenderanno a formarsi sugli standard vigenti già durante il loro percorso di studi, perfezionando le conoscenze nel corso delle prime esperienze lavorative.

Scegliendo di adottare tecnologie open, un’azienda non conta più soltanto sui propri sviluppatori, ma può avvalersi dei contenuti e dell’attività di una community enorme. Questo si traduce in costi e tempi decisamente inferiori per i progetti, con una maggior spinta verso l’innovazione determinata da molti fattori, tra cui una serie di maggiori competenze a disposizione.

Se ragioniamo in termini di innovazione, l’adozione degli open standard può inoltre costituire per le aziende un punto d’accesso, un elemento abilitante, per iniziare a sperimentare le applicazioni del metaverso.

Scritto da:

Francesco La Trofa

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin