Le interfacce neurali sono il tramite tra cervello e dispositivi elettronici, solitamente via cavo, e aiutano i pazienti tetraplegici a riscoprire capacità motorie. Uno studio, portato avanti dal gruppo di ricerca BrainGate, rende il tutto più immediato, puntando sulle tecnologie senza fili.
TAKEAWAY
- Un’interfaccia neurale consente ai pazienti paralizzati di controllare il PC a partire dal semplice pensiero.
- Nella realizzazione gli scienziati del team interdisciplinare BrainGate hanno collegato il cervello umano a un computer in modalità wireless.
- Si tratta di un passo importante che può condurre verso un parziale recupero delle funzioni motorie di persone con paralisi o protesi.
Le tecnologie assistive mediante interfaccia neurale consentono alle persone affette da paralisi di “comunicare col pensiero” attraverso l’ausilio di uno schermo.
Con l’espressione “interfaccia neurale” – in inglese “Brain-computer interface” (BCI, letteralmente “interfaccia cervello-computer”) – si intende la connessione diretta tra il cervello umano e un dispositivo esterno. Un collegamento che finora ha richiesto l’utilizzo di un sistema articolato di cavi, spesso poco pratici.
Di recente, a rivoluzionare le carte in tavola è stato uno studio clinico pubblicato il 31 marzo 2021 su Transactions on Biomedical Engineering, rivista dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers, Associazione internazionale che si occupa di promuovere le nuove tecnologie.
La novità in tema di tecnologie assistive mediante interfaccia neurale è l’introduzione di congegni wireless, ovvero, come indica lo stesso termine inglese, “senza fili”.
Lo studio, intitolato “Home Use of a Percutaneous Wireless Intracortical Brain-Computer Interface by Individuals With Tetraplegia”, è stato realizzato nell’ambito del programma BrainGate della Brown University, con sede a Providence negli USA. Vediamo come hanno operato e chi beneficerà delle loro conclusioni.
La sinergia tra Università e ospedali
Del team, oltre a docenti esperti in materia, hanno fatto parte neurologi, neuroscienziati, clinici, ingegneri, informatici, neurochirurghi e matematici. Oltre alla Brown University, l’interesse per le tecnologie assistive mediante interfaccia neurale ha coinvolto realtà del settore medicale come il centro governativo di Neurorestoration and Neurotechnology e il Massachusettes General Hospital di Boston e altri Atenei tra cui la Stanford University in California e la Case Western dell’Ohio.
Un lavoro che vuole supportare chi è affetto da tetraplegia o quadriplegia, ovvero la paralisi completa di busto, braccia e gambe dovuta a una lesione cerebrale avvenuta in età infantile, a successivi traumi o a patologie neurodegenerative come la SLA.
Si tratta di casi in cui il paziente perde completamente il controllo dei propri arti e necessita così di nuove strategie di deambulazione, l’informatica diventa dunque il mezzo con cui poter inviare impulsi al corpo e di conseguenza compiere dei piccoli movimenti da soli, senza che siano gli altri a farlo.
Il sistema permette, nello specifico, di intervenire sulla abilità motoria del paziente in maniera molto più semplice rispetto a quanto fatto in passato nell’ambito delle tecnologie assistive mediante interfaccia neurale.
Come si accennava, la direzione è quella di andare oltre i supporti fisici, facendo a meno sia dei fili che dei dispositivi di raccordo, detti tethering, che di norma sono impiegati nello scambio di informazioni attraverso la rete internet.
Il meccanismo dell’interfaccia cervello-computer si basa su un piccolo chip, di circa 40 grammi, che si posiziona sulla testa di un utente agganciandosi ad una serie di elettrodi. Il computer riceve i dati raccolti all’interno della corteccia cerebrale e li trasforma in istruzioni che serviranno a muovere ad esempio un braccio robotico. Le tecnologie assistive mediante interfaccia neurale fanno sì che solamente pensando a uno dei quattro arti diventi possibile muoverlo.
Tecnologie assistive mediante interfaccia neurale: la sperimentazione clinica a domicilio
Nella fase di test gli studiosi si sono rivolti a due uomini tra i 35 e i 65 anni, entrambi paralizzati da lesioni al midollo spinale. La prova del funzionamento è avvenuta all’interno delle loro case e non all’interno dei laboratori come accaduto sinora.
“Nel marzo del 2020 la soluzione domestica che abbiamo adottato non sembrava essere possibile, almeno inizialmente – ha ricordato il dott. Leigh Hochberg del Massachusetts General Hospital – finché non abbiamo deciso di impartire una formazione in materia di tecnologie assistive mediante interfaccia neurale agli operatori sanitari, i soli autorizzati, nel pieno della pandemia, a poter entrare nelle abitazioni private”.
I partecipanti all’esperimento ne hanno usufruito in modo continuativo, per un arco di 24 ore, fornendo dati sia sull’attività giornaliera che durante il sonno. La batteria costruita permette di raggiungere una durata maggiore, come riscontrato dagli scienziati, che arriva quasi a due giorni. A spiegare la portata del progetto è John Simeral, autore principale dello studio e assistente di ingegneria alla Brown University:
“Abbiamo dimostrato come il nostro sistema sia equivalente a quelli via cavo che hanno rappresentato per molto tempo l’unica strada percorribile. I segnali che provengono dal cervello sono registrati in maniera analoga, una considerazione che ci ha permesso di rifarci alla stessa gamma di algoritmi utilizzati in precedenza”
Negli Stati Uniti è stato compiuto un ulteriore passo verso la fusione tra mente umana e intelligenza artificiale, con uno sguardo in avanti. Cosa ci riserverà il futuro?
Tecnologie assistive mediante interfaccia neurale: lo scenario futuro
Un progresso non da poco per il comparto sanitario. “L’innovazione consiste nel fatto – aggiunge Simeral – che possiamo rendere gli individui meno dipendenti dai suddetti macchinari, tendendo verso prospettive interessanti”. Un’affermazione che anticipa il prossimo upgrade ovvero un apparato intra-corticale del tutto impiantabile che ripristini del tutto la capacità di movimento per chi è affetto da tali patologie.
Il clima collaborativo che emerge da BrainGate è un qualcosa di pionieristico che spalanca nuove porte a chi, per ictus o altre ragioni, ha difficoltà di spostamento e adesso, grazie a queste tecnologie, può supplirvi con la forza derivante dall’immaginazione.
Un percorso iniziato nel 2012 con la messa a punto di protesi robotiche e perfezionato sempre di più verso nuove frontiere, in linea con lo sviluppo degli smartphone e delle relative app. Potrà esserci proprio un’applicazione relativa alle tecnologie assistive mediante interfaccia neurale.
L’ambizione che traspare dal gruppo di ricerca è quella di mirare sempre più in alto. “Vogliamo seguire l’evoluzione di tutto ciò e intanto – ha dichiarato Leigh Hochberg, docente presso la Brown University e leader di BrainGate – possiamo dire di essere finalmente in grado di ampliare i periodi di osservazione di tale problematica”.
Quando avverrà la diffusione su larga scala si potranno dare nuove e consistenti speranze a coloro che sono affetti da gravi malattie di origine neurologica. Molti, nell’ultimo decennio, hanno preso dimestichezza con gli strumenti digitali e ora il wireless dà loro l’opportunità di familiarizzare sempre di più con la propria motricità.