L’attuale terapia contro l’HIV non è in grado di porre fine all'epidemia nelle aree più colpite, Africa in testa. La sua fornitura, per motivi di costo, incontra molti ostacoli, soprattutto nei paesi a basso reddito. Questo, unito alla sua complessità, alla necessità di un monitoraggio continuo dei pazienti e agli effetti collaterali talora pesanti, spingono con urgenza verso la messa a punto di un vaccino a livello mondiale.

Si torna a parlare di vaccino HIV, in un momento in cui l’UNAIDS – programma delle Nazioni Unite contro l’AIDS – stima che sono 38 milioni, nel mondo, le persone attualmente colpite dall’infezione da Human Immunodeficiency Virus.

Se non trattati, i pazienti infetti sviluppano la sindrome da immunodeficienza acquisita, meglio conosciuta come AIDS (Acquired Immune Deficiency Sindrome), caratterizzata dal progressivo e irreversibile indebolimento del sistema immunitario, causa di continue, e sempre più gravi, infezioni.

Il “trattamento antiretrovirale combinato“, in grado di abbassare la carica virale del virus, riducendone il rischio di trasmissione, è ad oggi la terapia principe nel trattamento dell’HIV. Ma ha un lato oscuro, legato a problematiche socio-economiche: la copertura farmacologica non è garantita a livello mondiale e l’Africa rimane, in prevalenza, scoperta.

L’attuale terapia contro l’HIV non è garantita nei paesi a basso reddito: la situazione in Africa

Il trattamento antiretrovirale combinato, in tutti questi anni, ha ridotto drasticamente la mortalità, ma la sua fornitura incontra molti ostacoli, in particolare nei paesi a basso reddito, tra cui l’Africa, dove l’HIV è la principale causa di morte.

Il rapporto 2019 di Medici Senza Frontiere (MSF) ha messo sotto la lente quindici paesi in Africa e Asia, analizzandone le politiche sanitarie e i finanziamenti stanziati per combattere l’HIV avanzato, che, solo nel 2018, ha ucciso 770.000 persone in tutto il mondo, di cui 100.000 bambini.

Ne è emerso che, nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) abbia stabilito, fin dal 2017, delle precise linee guida sull’HIV avanzato, “l’impegno dei governi dei paesi presi in esame ad adeguare le proprie politiche nazionali, è stato molto lento”, spiega Ruggero Giulianivicepresidente di MSF e infettivologo. E rimarca:

“L’obiettivo di contenere i decessi per AIDS al di sotto di 500.000 persone non sarà raggiunto senza un’azione decisa, tesa ad aumentare il numero di adesioni alla terapia e a impedire le interruzioni del trattamento, entrambe all’origine dell’elevata mortalità in questi paesi”

È un mix di fattori a fare del trattamento antiretrovirale combinato un improbabile strumento – da solo – per porre fine all’epidemia da HIV in Africa e Asia: i costi elevati, la complessità della terapia, la necessità di un monitoraggio continuo dei pazienti, gli effetti collaterali talora pesanti. Fattori, questi, che spingono con urgenza verso la messa a punto di un vaccino efficace, sia per la prevenzione che per la cura, e reso disponibile (finalmente) a livello mondiale.

Vaccino HIV, lo studio congiunto delle Università di Oxford e Kumamoto

Tomáš Hanke, immunologo e ricercatore dell’Università di Oxford e, congiuntamente, dell’Università di Kumamoto, in Giappone, insieme al suo team sta lavorando allo sviluppo di un vaccino contro l’HIV, focalizzandosi, in particolare, sull’integrazione “anticorpi e risposte dei linfociti T, cellule fondamentali nel meccanismo di risposta immunitaria specifica.

Il primo vaccino HIV clinicamente testato, sviluppato da Hanke e dai suoi collaboratori, si chiamava HIVA e derivava da un ceppo africano dell’HIV. Venne testato in oltre una dozzina di studi clinici, ma l’iter fu bloccato a causa di un’improvvisa mutazione del virus.

Successivamente, il gruppo di ricerca ha affinato il proprio approccio, concentrando i linfociti T – indotti dal vaccino – su quelle specifiche “regioni”, su quelle componenti dell’HIV essenziali alla sua sopravvivenza.

Il prototipo sviluppato è stato chiamato HIVconsv e ha dato risultati incoraggianti in piccoli studi clinici iniziali, ispirando lo studio e la progettazione di vaccini di seconda generazione, denominati HIVconsvX.

I significativi miglioramenti di HIVconsvX si devono, in particolare, all’utilizzo della bioinformatica, responsabile di avere definito con più precisione le regioni dell’HIV che ne consentono la sopravvivenza e di avere aumentato la corrispondenza del vaccino alle varianti del virus. Nel 2019, i vaccini HIVconsvX sono entrati in fase di valutazione clinica, con ulteriori sperimentazioni in cantiere.

mano di ricercatore con guanto sterile in primo piano, mentre regge una provetta contente sangue
Vaccino HIV: la nuova ricerca poggia sull’integrazione tra anticorpi e risposte dei linfociti T, cellule fondamentali nel meccanismo di risposta immunitaria specifica.

La strategia 2020: attaccare solo le parti vulnerabili delle proteine dell’HIV

La linea seguita dal professor Hanke si basa sulla produzione di linfociti T “killer”, in grado di raggiungere le cellule infettate dal virus e di ucciderle.

Per essere efficace, però, l’attacco al virus deve essere mirato, puntando in modo incisivo alle parti vulnerabili dell’HIV fin dalla prima esposizione al virus. Ma l’HIV è un virus estremamente mutante e questo lo rende particolarmente abile nello schivare gli “assalti”.

Esistono studi a sostegno della correlazione tra fattori genetici da un alto e punti esatti presi di mira dai linfociti T killer dall’altro. E il risultato è che alcune risposte del virus ai linfociti T proteggono meglio di altre.

In passato, i tentativi di capire a fondo quali parti del virus avessero capacità “protettive”, in grado, cioè, di schivare gli attacchi, si fondavano sulle risposte delle proteine del virus a lunghezza intera, inteso come unità, dunque su tutte le proteine.

E questo è stato fuorviante per i ricercatori, in quanto è stato scoperto che, all’interno di ciascuna proteina dell’HIV, convivono parti stabili e parti mutanti, le cui capacità protettive sono differenti. La strategia alla base della ricerca sul nuovo vaccino si fonda solo sulle parti vulnerabili delle proteine del virus.

Vaccino HIV: le questioni ancora aperte

La strategia dei team congiunti dell’Università di Oxford e di Kumamoto è supportata da buoni risultati sperimentali. Eppure molte sfide rimangono aperte. Affinché diano risultati positivi, le risposte ai linfociti T devono: 

  • aggiungere rapidamente i “punti” esatti di crescita del virus all’interno dell’organismo
  • uccidere le cellule infette
  • produrre sostanze chimiche anti-HIV
  • essere in numero sufficiente
  • riconoscere più parti vulnerabili del virus

Se uno solo di tali obiettivi viene disatteso, il vaccino potrebbe fallire. Infine, i neonati, i bambini e gli adolescenti – alcuni dei quali hanno contratto l’HIV per via perinatale, cioè attraverso la trasmissione da madre a figlio, o attraverso il latte materno – rimangono soggetti in qualche modo “unici” a causa dei loro sistema immunitario in via di sviluppo.

Ad oggi, ci sono state diverse centinaia di sperimentazioni di vaccini contro l’HIV su soggetti adulti, ma pochissimi vaccini candidati all’HIV testati su neonati, bambini e adolescenti.

Hanke e i suoi colleghi, in passato, hanno testato il vaccino HIVA sui neonati africani, come primo passo verso la prevenzione della trasmissione da madre a figlio attraverso l’allattamento al seno, e stanno pianificando di rivisitare questi gruppi di età.

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