L’intelligenza artificiale rappresenta un valido strumento nella lotta contro le disuguaglianze globali, che l’ONU ha voluto tra i 17 Sustainable Development Goals (SDGs), facendone un preciso traguardo da conseguire promuovendo l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da reddito, età, genere, disabilità, etnia, religione o altro.

TAKEAWAY

  • Nel mondo, lo sfruttamento lavorativo è conseguenza diretta delle disuguaglianze di reddito. Per combatterlo, sono stati sviluppati sistemi AI che lo rilevano, ad esempio, analizzando le risposte date dai lavoratori a rischio a questionari inviati loro vocalmente sui cellulari.
  • Accade che, nella selezione dei talenti, i candidati si scontrino con situazioni non inclusive, a partire, ad esempio, dal linguaggio utilizzato negli annunci online, per i quali esistono editor AI che supportano i recruiter nella stesura di testi senza riferimenti a dettagli anagrafici, all’etnia, ad abilità fisiche o a differenze uomo-donna.
  • I recruiting chatbot basati sull’intelligenza artificiale, invece, possono essere un valido aiuto nelle prime fasi del processo di reclutamento, per mezzo di una conversazione che punti dritto alle competenze e alle conoscenze del candidato, senza alcuna considerazione per il genere, il suo accento o eventuali disabilità.

Le tecniche che fanno capo all’ambito di studi dell’intelligenza artificiale possono divenire strumenti nella lotta contro le disuguaglianze globali? Vi sono alcuni progetti in corso che sembrano andare nella direzione di una risposta affermativa a questa domanda. Ma facciamo un passo indietro.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite fa notare che, sebbene, a livello mondiale, le condizioni di povertà estrema siano andate diminuendo nel corso degli ultimi decenni, le disuguaglianze – all’interno di uno stesso Paese e fra i Paesi – sono invece aumentate e non hanno più solo a che vedere con le differenze di reddito, ma possono dipendere anche da altri fattori, tra cui le disabilità psico-fisiche, l’area geografica di appartenenza, l’origine etnica, il genere e l’orientamento sessuale.

L’aspetto più preoccupante – sottolinea l’ONU – è che tali disuguaglianze, oltre a rappresentare un freno allo sviluppo sostenibile globale e a tramutarsi in divari sociali marcati, in molti casi impattano negativamente anche sulle possibilità di accesso alle tecnologie digitali e alla connettivitàcreando divari digitali importanti sotto il profilo dell’istruzione e delle opportunità professionali, che spesso sfociano nel fenomeno dello sfruttamento lavorativo.

Sempre l’ONU, nel 2015, ha inserito la riduzione delle disuguaglianze globali tra i 17 Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030, facendone un preciso traguardo da raggiungere, ossia l’Obiettivo 10 “Ridurre le disuguaglianze all’interno dei Paesi e fra i Paesi”.

Il lavoro che, da qui a otto anni, guiderà verso il conseguimento del Goal 10 prevede, tra i numerosi step, anche il:

«potenziare e promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da età, sesso, disabilità, razza, etnia, origine, religione, stato economico o altro e adottare politiche, in particolare fiscali, lavorative, salariali e di protezione sociale, per raggiungere progressivamente una maggior uguaglianza»

Intelligenza artificiale contro le disuguaglianze: identificare e segnalare i casi di sfruttamento lavorativo

Quello dello sfruttamento lavorativo rappresenta una conseguenza grave delle disuguaglianze, in particolare di quelle che hanno come oggetto le differenze di reddito e le correlate disparità dal punto di vista delle opportunità professionali.

Se, nella maggioranza dei Paesi occidentali, lo sfruttamento del lavoro è un reato, complessivamente, nel mondo, si conta ancora un numero assai elevato di vittime e, secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, per quasi 25 milioni di persone il fenomeno assume la forma della vera e propria schiavitù, del lavoro forzato, specie nelle regioni a Sud del mondo.

In tema di intelligenza artificiale contro le disuguaglianze, sono stati messi a punto alcuni sistemi (attualmente in fase di sperimentazione) in grado di indentificare – per quanto riguarda i lavoratori vulnerabili che scelgono di utilizzarli – situazioni di sfruttamento. È il caso, ad esempio, del sistema Apprise che, se installato sui telefoni cellulari di coloro che si trovano in situazioni lavorative a rischio, li mette nelle condizioni di segnalarle in modo sicuro e privato (senza il pericolo di essere scoperti dai datori) e di ricevere aiuto da Ispettorati del lavoro, Polizia oppre Organizzazioni non governative (ONG).

Nello specifico, il sistema AI si avvale di una serie di domande orali a risposta chiusa poste al lavoratore, che le ascolta mediante auricolari mentre si trova sul posto di lavoro. Le sue risposte vengono analizzate mediante un algoritmo di machine learning, addestrato sulla base di dati frutto dello studio di due anni da parte degli sviluppatori dell’United Nations University di Macao a contatto con lavoratori sfruttati in specifiche aree della Thailandia, in settori quali pesca, lavorazione dei prodotti ittici e manifattura. L’obiettivo – in collaborazione con il Ministero del Lavoro e la Marina Reale Tailandese – è stato fin da subito quello di eseguire uno screening dei lavoratori nei centri di ispezione governativi.

Si basa sempre su tecniche di machine learning un altro sistema sviluppato per rilevare gravi casi sfruttamento lavorativo in zone particolarmente a rischio. Deputato all’analisi in tempo reale dei dati forniti dai lavoratori in ambito manifatturiero nelle aree del Ghana e del Bangladesh e alla loro esatta localizzazione, tale sistema è allenato per mezzo di un’ampia mole di informazioni ottenute da organizzazioni no-profit impegnate, in quei Paesi, a monitorare le condizioni di lavoro dei più fragili. Nel dettaglio, il sistema segnala, mediante semplice interfaccia, il rischio di sfruttamento rilevato, correlato a una determinata azienda, che viene mappata sul territorio.

L’intelligenza artificiale a supporto del recruiting inclusivo

Nei processi di selezione dei talenti e di assunzione del personale, accade che, non intenzionalmente, vengano creati percorsi non inclusivi, che tendono a fare di variabili come l’etnia, il genere e l’età fattori discriminanti e motivi di disparità nelle opportunità professionali.

In tema di intelligenza artificiale contro le disuguaglianze, sono state messe a punto soluzioni che supportano i Reparti Risorse Umane e, più in generale, i datori di lavoro, nell’impostare ricerche di personale il più possibile accessibili a tutti coloro che ne possiedono i requisiti.

Il primo punto di partenza riguarda la stesura degli annunci pubblicati online, considerati il biglietto da visita dell’azienda e il cui linguaggio e utilizzo di determinati termini ed espressioni potrebbe rivelarsi, per l’aspirante candidato, motivo di esclusione non giustificata. Ad esempio, il riferimento a precise caratteristiche che riguardano l’aspetto esteriore o allo svolgimento di prestazioni di carattere fisico, in realtà non necessario o del tutto superfluo per la posizione richiesta, potrebbe implicitamente respingere chi abbia una disabilità fisica ma sia comunque in pieno possesso delle competenze richieste.

Per la stesura di annunci di lavoro che contribuiscano a ridurre le disuguaglianze in termini di opportunità professionali, esistono editor che utilizzano tecniche AI atte ad aiutare i recruiter a selezionare un linguaggio efficace e al contempo imparziale e inclusivo, in grado di rilevare, all’interno dei testi, passaggi inutili allo scopo, facenti riferimento a questioni anagrafiche, etniche, ad abilità fisiche o a differenze uomo-donna.

Sistemi AI di talent matching, invece, consentono di estrarre, dall’insieme dei profili raccolti, esclusivamente quelli più idonei al ruolo richiesto, escludendo dal processo di selezione automatica elementi ininfluenti quali razza, genere, caratteristiche fisiche ed età.

Assistenti digitali che sfruttano tecniche AI consentono agli uffici HR di conversare con i candidati nella loro lingua madre e, qualora questi presentino disabilità di parola o di udito (che comunque non precludano la sua idoneità alla posizione richiesta) di ricorrere ai messaggi di testo. Non si tratta semplicemente di modalità che velocizzano i processi, facendo risparmiare tempo ai reparti HR. Il fine ultimo è mettere a proprio agio tutti i candidati e tenere lontana l’ombra del pregiudizio umano non intenzionale (stavolta non della macchina) nei confronti di determinate categorie di persone, terreno fertile delle disuguaglianze socio-economiche.

In particolare, i recruiting chatbot basati sull’intelligenza artificiale – con i quali i candidati possono entrare in contatto sul portale di recruiting oppure direttamente sul sito dell’azienda che sta cercando personale – oltre a rispondere alle domande più frequenti, possono intervenire nella fase preliminare del processo di reclutamento, fondando la conversazione solo sulle domande base inerenti alle competenze e alle conoscenze della persona, senza alcuna considerazione per il genere, il suo accento o l’eventuale disabilità dimostrata in chat. Una conversazione senza pregiudizio, insomma, naturalmente impostata dagli sviluppatori, in linea col proposito di recruitment inclusivo, accessibile a tutti, a parità di competenze e di abilità richieste dal datore.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin