In alcuni casi, il divario digitale permane anche dopo l’accesso a dispositivi tech e alla connettività, come dimostra una recente ricerca che ha visto protagonista la comunità di rifugiati bhutanesi nell’Ohio.
A introdurre il concetto di “divario digitale” è stata l’Organizzazione delle Nazioni Unite quando, nel 2015, includendo la riduzione delle disuguaglianze globali tra i 17 Sustainable Development Goals dell’Agenda 2030 (Obiettivo 10 “Ridurre le disuguaglianze all’interno dei Paesi e fra i Paesi”), ha portato l’attenzione su come le disuguaglianze tra i popoli e tra le stesse comunità – legate non solo al reddito, ma anche all’area geografica di provenienza, all’origine etnica, al genere, nonché alle disabilità psico-fisiche – oltre a rappresentare un impedimento allo sviluppo sostenibile e a tramutarsi in divari sociali marcati, in molti casi abbiano un impatto negativo anche sulle possibilità di accesso alle tecnologie digitali e alla connettività, con conseguenti disparità sotto il profilo dell’istruzione e delle opportunità professionali.
In tema di sviluppo sostenibile e tecnologia accessibile a tutti, si sono espressi anche i rappresentanti delle Istituzioni di tutto il mondo, intervenuti all’edizione 2022 del World Economic Forum, tenutasi a Davos. In quell’occasione – lo ricordiamo – si parlò, in particolare, della «necessità di pari diritti tecnologici», senza i quali – rimarcò Samir Saran, presidente dell’Observer Research Foundation (ORF), con sede in India – «si rimane ai margini di quella che è definita la quarta rivoluzione industriale». Ma non solo.
Nell’interessante studio descritto in “Exploring the Digital Divide among the Bhutanese Refugee Community during COVID-19: Engaged Research in Action” – guidato dal Dipartimento di Antropologia dell’Ohio State University e dal National Institute of Environmental Health Sciences di Bethesda, nel Maryland – gli autori correlano «il divario tra coloro che hanno accesso, competenze e supporto a prezzi accessibili per impegnarsi efficacemente online e coloro che, invece, non hanno tali possibilità, anche alle disuguaglianze in materia di assistenza sanitaria e di accesso alle informazioni sulla pandemia». E pongono in evidenza il fatto che, per molte comunità di immigrati e rifugiati, l’accesso alle informazioni e alla tecnologia è influenzato dalla loro stessa storia sociale e dai pregiudizi subiti riguardo alle loro capacità ed esperienze.
Al punto che «sebbene – ad esempio – redditi più elevati possano facilitare l’accesso alla banda larga, il divario digitale non può essere colmato soltanto attraverso programmi che presumono che la disparità di reddito sia la sua unica causa» spiegano.
Ed è proprio questo nodo – spiega il team dell’Ateneo USA – che rende arduo modellare soluzioni per colmare il divario digitale.
Divario digitale: il caso della comunità di rifugiati bhutanesi nell’Ohio (USA)
Lo studio citato è frutto di un progetto di ricerca condotto lavorando con la comunità di oltre 30mila rifugiati di origine nepalese provenienti dal Buthan – piccolo Stato asiatico confinante con India e Cina – che, a partire dal 2006, si sono insediati nell’Ohio (Stati Uniti).
L’indagine, in particolare, si è focalizzata sulla definizione della struttura dinamica del divario digitale e del suo impatto sulla comunità bhutanese (di cui circa un terzo vive in povertà), con particolare attenzione allo sconvolgimento causato dall’emergenza pandemica.
Più nel dettaglio, i ricercatori hanno sondato il modo in cui il divario digitale influisce sull’accesso all’assistenza sanitaria connessa e alle informazioni relative al Covid, compreso l’accesso al sostegno familiare, ai dispositivi di protezione individuale e alle cure mediche.
Il metodo utilizzato ha visto la raccolta dei dati per mezzo di un sondaggio destinato a 493 intervistati, realizzato sia in modalità online che di persona.
«Lavorare direttamente con i membri della comunità che non disponevano di accesso ai servizi a banda larga, né di tecnologie che avrebbero supportato la connessione a Internet, è stato fondamentale per cogliere la realtà quotidiana del divario digitale» notano gli autori.
E il sondaggio online – proseguono – «sebbene aperto solo alle persone con accesso a Internet e, dunque, problematico per chi intenda studiare il divario digitale, ci ha permesso di conoscere le sfide degli utenti alle prese con l’accesso interrotto per problematiche di varia natura. Siamo anche stati in grado di seguire le strategie impiegate dai rifugiati bhutanesi per gestire la banda larga, inclusa la dipendenza dai segnali Internet originati al di fuori delle loro case».
Focus su grado di istruzione e competenze digitali
In tema di divario digitale, sono istruzione e digital skill a rivelarsi fattori chiave nel determinarne la riduzione. Dei membri della comunità bhutanese intervistati – precisa il team di studio – quelli con un’istruzione universitaria o impegnati come professionisti hanno riferito di “percepirsi” qualificati, molto qualificati o estremamente qualificati quando è stato chiesto loro di classificare le proprie capacità di lavorare impiegando la tecnologia.
«Gli intervistati privi di istruzione formale o che avevano completato solo la scuola primaria avevano meno probabilità di dichiarare di possedere le competenze necessarie per utilizzare Internet e, più in generale, le tecnologie digitali. Per costoro e le loro famiglie, l’accesso alla connettività – seppure con una banda larga disponibile – non era comunque garantito».
Solo quattro bhutanesi senza istruzione formale si sono definiti “molto qualificati” o “estremamente qualificati” nell’online (meno dell’1% degli intervistati), mentre solo 39 intervistati con diploma di scuola superiore si sono classificati come “molto” o “estremamente qualificati” (poco più dell’8% degli intervistati).
Questi dati spostano immediatamente l’attenzione su una prima considerazione, ovvero che il problema del divario digitale – in questo caso specifico – risente di limiti che vanno oltre la presenza di fornitori di banda larga all’interno della comunità bhutanese e l’accesso fisico alle tecnologie.
Lo spazio che separa dalla connettività la maggioranza delle persone intervistate ha origine da una storia di disuguaglianze dal punto di vista dell’istruzione. Storia che, a sua volta, deriva dalla «discriminazione sistematica subita in Bhutan dai membri della comunità – ossia bhutanesi di origine nepalese, privati della cittadinanza, resi senzatetto ed espulsi con la forza dal Bhutan alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90 – e, dalle loro esperienze di rifugiati in Nepal e in India e dalla complessa negoziazione del loro insediamento negli Stati Uniti» ricordano gli autori della ricerca. Tali fattori – ai quali si aggiungono le difficoltà linguistiche – continuano ad avere un impatto sul presente dei buthanesi nell’Ohio
Il divario digitale non è solo sinonimo di non-accesso alla connettività
La ricerca in tema di divario digitale ha rilevato che circa il 95% dei bhutanesi intervistati ha accesso a Internet e, dunque, è nelle condizioni di navigare in rete. La domanda, a questo punto, è che uso ne fanno di tale connettività.
Ciò che è emerso è che la maggior parte non si avvale di Internet per reperire informazioni utili, né per connettersi alla rete di volontari dell’Ohio (BCCO) che assistono le famiglie bisognose – ad esempio – di screening e di test per il Covid, di mascherine, materiale didattico, cibo, medicine, sostegno alla stabilizzazione economica e vaccini.
La maggioranza accede a Internet per interagire con familiari e amici (quasi l’83%) e un altro 68% per visitare siti di social media. Solo il 20% ricerca notizie online e si connette a siti informativi che non siano facebook, twitter e simili.
Dati – questi – indicativi di una mancanza di cultura del digitale, intesa non sotto il profilo del sapere tecnico (di cui si è già detto), quanto dal punto di vista delle risorse che Internet offre, del suo essere strumento che supporta l’accesso a tutta una serie di informazioni, tra cui anche quelle relative alla salute e all’assistenza sanitaria online.
In questo quadro – come accennato – la lingua rappresenta una sfida particolarmente problematica per i membri della comunità, specie quando nel discorso siano presenti metafore, modi di dire e sfumature oppure quando si tratta di testi tecnici o medico-scientifici. Sebbene molti bhutanesi sappiano comunicare in inglese, meno del 25% si definisce un “eccellente oratore”.
«La mancanza di programmazione in nepalese è una delle maggiori criticità all’interno della comunità in generale, ma soprattutto per quel 27% degli intervistati che ha una conoscenza limitata dell’inglese e difficoltà a parlare e a leggere. Inoltre, molti bhutanesi, pur essendo di madrelingua nepalese, non sono completamente alfabetizzati e, quindi, incontrano grosse difficoltà nel comprendere la propria lingua quando questa appare su Internet» aggiunge il team.
L’impatto del divario digitale sul ricorso all’assistenza sanitaria online
Se l’emergenza pandemica ha determinato un significativo aumento, a livello globale, dell’utilizzo dei servizi di telemedicina, questi, per le comunità di rifugiati negli Stati Uniti (e soprattutto per quelle di lingua non inglese e con un’alfabetizzazione digitale e sanitaria limitata), rappresentano un problema.
«Quasi il 73% dei bhutanesi intervistati ha affermato di non avere mai utilizzato i servizi di telemedicina per accedere all’assistenza sanitaria» sottolinea il gruppo di studio. Il che li getta in una situazione di svantaggio quando si tratta di cure e di accesso alle informazioni sulla salute, comprese le informazioni sul Covid.
In particolare, gli autori rimarcano il rischio, per i bambini bhutanesi, di rimanere indietro con la tabella dei vaccini obbligatori. Inoltre, dopo le prime gravi ondate di pandemia, il focus è tornato sulla gestione delle patologie croniche, passate in secondo piano nel corso del 2020 e del 2021.
Tra queste, spiccano il diabete e le malattie cardiovascolari, ad alta incidenza nella comunità bhutanese presente nell’Ohio (circa il 72% presenta una o entrambe le patologie), esponendole – se mal gestite – a una maggior rischio di complicazioni metaboliche, di infarto e di ictus.
Riflessioni conclusive
La ricerca guidata dal Dipartimento di Antropologia dell’Ohio State University contribuisce a porre l’accento – per quanto concerne l’inquadramento del divario digitale di determinate minoranze etniche – sulle disuguaglianze createsi nel corso della storia e sullo stato di emarginazione e sulle differenze socio-culturali che ne conseguono.
In presenza di tali dinamiche, neppure la disponibilità delle tecnologie digitali più evolute e dell’accesso a Internet a costi contenuti sono in grado di scardinare una disparità digitale acquisita nel tempo e intrisa di una totale assenza di cultura della comunicazione.
Quello della disuguaglianza sanitaria che ne deriva è soltanto uno degli effetti, forse il più eclatante dal momento che la telemedicina ha, nel corso degli ultimi tre anni, ampiamente dato prova dei suoi effetti positivi sulla gestione di specifiche patologie.
«Dobbiamo impegnarci con i membri della comunità bhutanese per assicurarci di utilizzare sempre un linguaggio corretto e comprensibile a tutti, inquadrando le sfide in modo tale possano essere da loro affrontate nel concreto nella pratica quotidiana» concludono gli autori.
Infine, se si intende raggiungere l’obiettivo di un futuro più equo e giusto, si dovranno coinvolgere le comunità oggetto di studio, affinché si impegnino attivamente con i ricercatori «come partner della ricerca e dell’analisi dei dati raccolti».