La biorobotica si ispira alla natura, al mondo animale e vegetale e, attingendo alla robotica, alla bioingegneria e all’intelligenza artificiale, esplora forme di intelligenza diverse da quella umana, ma non per questo meno efficaci. Vediamone gli studi e i progetti e i loro ambiti di applicazione.

TAKEAWAY

  • La biorobotica progetta robot partendo dall’osservazione di animali e piante, cercando di replicarne soprattutto la capacità di adattamento in situazioni estreme.
  • L’Italia è un’eccellenza in questo ambito, a cominciare dal Centro di Micro-BioRobotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Pontedera, dove è stato messo a punto il robot Plantoide, ispirato alle radici delle piante.
  • Granchi, polpi, api, serpenti e anfibi: sono tanti gli animali diventati bio robot, sia in Italia che all’estero, in particolare negli Stati Uniti e in Svizzera.
  • Le applicazioni dei bio robot si ampliano sempre di più, arrivando a comprendere la medicina, il monitoraggio ambientale e perfino l’esplorazione spaziale. 

La biorobotica è la disciplina che si ispira alla natura – compreso mondo animale e vegetale – attingendo alla robotica, alla bioingegneria e all’intelligenza artificiale ed esplorando forme di intelligenza diverse da quella umana, ma non per questo meno efficaci.

In particolare, i movimenti degli animali – coinvolgendo il sistema nervoso, centrale e periferico, quello muscolo-scheletrico, oltre che l’ambiente circostante – e il loro comportamento adattivo possono migliorare i tempi di reazione dell’uomo davanti a nuove sfide e a nuovi contesti.

E, allo stesso modo, l’uomo può imparare tanto anche dalla capacità di adattamento delle piante, ad esempio da quelle che sono in grado di ricreare la vegetazione in seguito a episodi di incendio, come i pini, le cui resine si sciolgono con il fuoco, disperdendo nella terra i semi contenuti al loro interno.

La robotica bio-ispirata studia gli organismi viventi e le loro capacità di movimento, esplorazione e percezione dell’ambiente circostante. Per mezzo dei bio robot, si possono così individuare fughe di gas o sostanze potenzialmente tossiche, agendo in ambienti non strutturati, al di fuori delle fabbriche, esplorando zone pericolose per gli uomini, in cui potrebbero rischiare la vita” ha spiegato Barbara Mazzolai, biologa marina e direttrice del centro di Micro-Biorobotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia, con sede a Pontedera, in provincia di Pisa, durante il suo intervento in seno alla recente Conferenza Mondiale “Science for Peace and Health” organizzata dalla Fondazione Veronesi.

Le piante hanno un’intelligenza distribuita che permette loro di modificarsi in base a quello che incontrano sul loro percorso o a ricrescere spontaneamente. E i bio robot potrebbero intervenire a seguito di incidenti anche gravi, raggiungendo zone non accessibili ai soccorritori. Ora la sfida è passare dall’idea alla produzione industriale.

Biorobotica: gli studi e i progetti per applicazioni in ambito ambientale e medicale

L’Italia rappresenta un’eccellenza in quest’ambito. Proprio Barbara Mazzolai, insieme al suo team del Centro di Micro-Biorobotica, ha realizzato il Plantoide, il primo robot ispirato alle capacità sensoriali delle piante. Di cui fa notare:

Si tratta di un robot autonomo ispirato alle piante e alle loro radici, che esplora il suolo monitorandone la profondità, la temperatura, l’umidità e la propagazione, al suo interno, di agenti patogeni. L’obiettivo è quello di ottenere dei dati per l’agricoltura, ricavando, ad esempio, informazioni su come dare alla pianta acqua e sostanze nutritive solo quando le servono, per evitare eccessi di azoto e fosforo che risultano essere inquinanti

Ma il nostro Paese, oltre al Plantoide, può vantare diverse innovazioni tecnologiche nell’ambito della biorobotica, a cominciare dalla robotica bioibrida, descritta sulla rivista Science Robotics da Leonardo Ricotti, giovane professore di bioingegneria della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Al metallo, i robot bioibridi alternano cellule viventi, ad esempio quelle degli insetti, che possono mantenere le proprie funzionalità anche in condizioni avverse. Le applicazioni sono soprattutto mediche e in particolare per la cura dei tumori.

Nei laboratori dell’Istituto di Biorobotica della Sant’Anna è stato costruito anche il robot-granchio, presentato qualche mese fa sempre su Science Robotics. A ispirare i ricercatori sono stati i granchi che vedevano fuori dal loro laboratorio (l’istituto ha sede a Livorno).

Studiandoli hanno progettato Silver 2, un robot di 20 chili che può arrivare fino a 200 metri di profondità e che servirà a esplorare i fondali, raccogliendo sabbia o altre sostanze utili per studiarli, e soprattutto per ripulire i mari dalla plastica. Può essere comandato a distanza e, grazie alle sue zampe molleggiate, riesce a muoversi senza produrre rumori.

Silver 2 può trasportare al suo interno sensori e campionatori per fornire dati di diversa natura. Su operazioni di pulizia e monitoraggio delle acque si basano anche le attività di Octopus, polpo-robot anch’esso frutto dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Sant’Anna, un’eccellenza mondiale in questo campo.

Nella scelta del polpo, ritorna l’idea dell’embodied intelligence, ovvero la capacità di adattamento e di reazione agli stimoli esterni. Il polpo, così come il suo corrispettivo robot, riesce ad afferrare oggetti, camminare su qualunque tipo di superficie e andare in esplorazione. Octopus ha ispirato anche la creazione di strumenti medici, come un endoscopio che si irrigidisce solo quando serve (proprio come fa il polpo) e una sorta di braccio snodabile ispirato ai tentacoli che aiuta gli anziani sotto la doccia, spruzzando acqua e strofinando la schiena.

La materia è diffusa anche all’estero, come nel caso del serpente robotico ideato qualche anno fa in Pennsylvania dalla Carnegie Mellon University.

Lanciato contro un albero, il robot si avvolge automaticamente intorno ad esso con una presa sicura. Con questo progetto si punta a creare macchine in grado di districarsi in spazi stretti, come nel caso delle ricerche di persone disperse oppure in ambito industriale per individuare e risolvere problemi in tubi e turbine, difficilmente raggiungibili in altro modo.

Rimanendo negli USA, al Wiss Institute dell’Università di Harvard, si lavora al robot RoboBee che, ispirandosi alle api, può servire nell’impollinazione delle colture, nella sorveglianza e nel monitoraggio del clima e delle condizioni meteorologiche. Pesa meno di un decimo di grammo e riesce a volare e, in alcuni casi, a nuotare sott’acqua.

Spostandosi nuovamente in Europa, spicca il BioRob, ovvero il laboratorio di Biorobotica della Scuola di Ingegneria della EPFL, l’Università Politecnica di Losanna in Svizzera dove si confronta la coordinazione nel movimento degli animali con quella dei robot. Un progetto cardine dell’Istituto è AmphiBot, robot anfibio in grado di nuotare a velocità simili a quelle dell’uomo e che mira, nelle ultime versioni, a rilevare l’inquinamento dei laghi.

Gli scenari futuri della biorobotica

Le tecnologie lanciate dalla biorobotica sono in continua evoluzione e non intendono limitarsi a copiare organismi già presenti in natura, ma vogliono trarre principi comuni e regole da applicare in campi utili all’uomo, dalla medicina al monitoraggio ambientale come nei casi elencati.

Attualmente però c’è ancora distanza tra mondo naturale e sfera tecnologica e un riavvicinamento tra questi due poli non potrà che migliorare la qualità di vita dell’uomo, introducendo nuove procedure chirurgiche nei prossimi decenni risolvendo sempre più problemi. 

Robot di questo tipo – ha ricordato Barbara Mazzolai a Science for Peace – potranno servire, in futuro, per attività di bonifica o per assorbire metalli pesanti e la visione si può allargare a tanti altri campi applicativi, dalla medicina al monitoraggio ambientale. Parliamo di un intervallo di tempo di almeno dieci anni. La ricerca in merito richiede tanto lavoro, perché si tratta di tradurre principi biologici in soluzioni artificiali, partendo dallo studio di animali e piante

E i bio robot si affacceranno perfino all’esplorazione dell’universo: i Plantoidi, ad esempio, hanno catturato l’attenzione dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, che vuole utilizzarli per esplorare il suolo degli altri pianeti del sistema solare.

Scritto da:

Emanuele La Veglia

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin