Indagine oceanografica nei pressi di uno dei flussi di marea più potenti al mondo (dove le correnti arrivano a superare gli 8 nodi), per fare chiarezza su una problematica che l’industria dell’energia mareomotrice dovrà affrontare nei prossimi anni.

L’energia mareomotrice (o “energia delle maree”) è l’energia generata dai moti di innalzamento e abbassamento delle acque durante le correnti di marea.

È considerata la fonte di energia rinnovabile più regolare e prevedibile, in quanto le maree non dipendono dalle condizioni meteorologiche, da giornate assolate, onde o raffiche di vento, bensì dalle forze gravitazionali che Luna e Sole esercitano sulla Terra e sui suoi oceani. Dunque, è possibile fare previsioni con largo anticipo (e per un lungo periodo di tempo) circa la sua produzione [fonte: Ocean Energy Europe].

Abbondante, pulita, prevedibile, l’energia delle maree rappresenta, attualmente, un’alternativa vantaggiosa ai combustibili fossili, anche perché, rispetto ad altre fonti di energia rinnovabili, ha un minore impatto sull’ambiente: i convertitori di energia (ossia le turbine mareomotrici o Tidal Current Energy Converters – TCECs) si trovano, infatti, sott’acqua e, talora, «vengono integrati nelle infrastrutture offshore esistenti, dando vita a collegamenti meno impegnativi con le reti di energia locali o nazionali» [fonte: “Tidal current energy harvesting technologies: A review of current status and life cycle assessment” – Renewable and Sustainable Energy Reviews, giugno 2023].

Ma diamo, ora, uno sguardo alle metodologie e ai sistemi che consentono la generazione di energia dai flussi di marea e al potenziale globale di quest’ultima.


Le correnti di marea sono note per essere una fonte di energia rinnovabile prevedibile, affidabile e sicura. Ma i flussi d’acqua in prossimità di siti altamente dinamici e dalla forte variabilità in termini di velocità e turbolenza, rappresentano un rischio per gli impianti destinati alla generazione di energia mareomotrice, poiché ne rallentano l’operatività.
La risposta di un gruppo di scienziati inglesi all’imprevedibilità e alla variabilità di quei flussi oceanici estremamente dinamici – tipici di ambienti quali isole, bacini e canali – sta nella misurazione della velocità media della loro profondità, ricorrendo a riprese aeree con droni e a misuratori di corrente idroacustica.
In uno scenario futuro in cui le metodologie di raccolta dei dati oceanografici evolveranno, i ricercatori renderanno disponibili sempre maggiori informazioni sulle correnti oceaniche complesse, permettendo così di intervenire sulle turbine mareomotrici per modificarne, ad esempio, la quantità e il posizionamento, affinché l’interazione tra le macchine e l’habitat marino possa essere in equilibrio.

Energia delle maree: metodologie e sistemi di generazione

L’energia prodotta dalle correnti di marea è nota da oltre un millennio. Si pensi che, in Europa, nell’antichità, la si utilizzava per fare girare le ruote idrauliche dei mulini e macinare, così, il grano.

I primi studi di fattibilità in tema di centrali idroelettriche mareomotrici su larga scala sono, però, stati realizzati in USA e Canada, tra il 1924 e il 1977. Anche se, poi, la prima centrale di questo tipo verrà messa a punto nel 2007 a Strangford Lough, nell’Irlanda del Nord, e «il primo sistema di sbarramento di marea verrà costruito a La Rance, in Francia, nel 1966. Funziona tuttora, con 240 megawatt di capacità di generazione di elettricità. Il più grande del mondo fino al 2011, quando, in Corea del Sud, è stato aperto un impianto con una capacità di 254 MW» [fonte: National Geographic].

Esistono diverse modalità per catturare l’energia delle maree. La prima è quella che sfrutta le turbine mareomotrici – galleggianti o sul fondo del mare – posizionate esattamente nei punti in cui le correnti di marea sono più intense. Sia nell’aspetto che nel funzionamento, ricordano le turbine delle pale eoliche, sebbene quelle marine presentino dimensioni assai ridotte. Motivo per cui sono necessarie più turbine mareomotrici per produrre la stessa quantità di energia di una pala eolica.

Un’altra modalità per generare energia grazie alle maree è quella che vede l’utilizzo di grandi dighe chiamate “sbarramenti” (installate attraverso fiumibaie ed estuari soggetti a forti flussi di marea), di cui il già citato modello francese di La Rance è l’esempio più eloquente. «Le turbine all’interno dello sbarramento consentono al bacino di riempirsi durante le maree in arrivo e di svuotarsi durante le maree in uscita, generando elettricità in entrambe le direzioni».

Infine, le “lagune di marea” sono simili agli sbarramenti ma, a differenza di questi, vengono costruite lungo le coste. Utilizzano, in pratica, muri artificiali «per contenere parzialmente un grande volume di acqua di marea in arrivo, con turbine incorporate per catturarne l’energia». Tuttavia, non essendoci ancora modelli funzionanti (ve ne sono alcuni in fase di sviluppo nel Regno Unito, Cina e Corea del Nord), la produzione di energia tramite le lagune soggette alle maree non è – al momento – concretamente dimostrabile [fonte: Pacific Northwest National Laboratory – PNLL].

Il potenziale dell’energia mareomotrice

Il report “Ocean Energy – Stats & Trends 2023”, a cura di Ocean Energy Europe, reso pubblico ad aprile 2024, fa notare come la «leadership tecnologica europea» nel campo dell’energia mareomotrice rimanga, per ora, indiscussa, «con una capacità installata cumulativa tre volte superiore a quella di tutti gli altri paesi messi insieme».

In particolare – si legge nel documento – nel Vecchio Continente (dove la produzione complessiva di energia delle maree raggiunge i 93 GWh), a partire dal 2010, sono stati installati impianti per la generazione di energia mareomotrice dalla capacità pari a 30,5 MW di energia elettrica. Nel corso del 2023, inoltre, sono stati resi operativi ben quattro nuovi sistemi di produzione, per un totale di 280 kW di energia elettrica in più ricavata.

In questo scenario, Regno Unito e Francia detengono la posizione di leader di mercato. Più nel dettaglio, per quanto concerne il primo, è il clima delle isole scozzesi a «rendere possibile la più grande produzione di energia delle maree del Regno».

Negli ultimi anni – rimarcano gli analisti di Ocean Energy Europe – i finanziamenti dell’UE hanno sbloccato 14 MW di nuovi parchi mareomotori. A tale riguardo, «il sostegno delle sovvenzioni dell’Unione rimarrà determinante per promuovere la concorrenza attraverso sempre nuove implementazioni. E i. bandi dedicati alle aziende devono continuare a garantire lo sviluppo di nuove tecnologie. L’attuale pipeline è destinata a crescere e potrebbe raggiungere i 700 MW entro il 2028».

Guardando fuori dall’UE, sono gli Stati Uniti a guidare l’aumento della capacità installata cumulativa, con un totale di 10,9 MW di impianti attivi dal 2010 e 95 kW di installazioni nel 2023. Nello specifico:

«Il governo degli Stati Uniti ha aumentato il budget annuale per l’energia oceanica per il terzo anno consecutivo, portando il finanziamento totale, negli ultimi cinque anni, a 520 milioni di dollari»

Mentre, il governo cinese ha ufficializzato «lo spiegamento su larga scala dell’energia oceanica nel suo piano quinquennale», con la previsione di grandi passi verso l’industrializzazione del settore nei prossimi cinque anni.

Energia delle maree: quali sono le criticità

Se è pur vero che le maree rientrano tra le risorse marine rinnovabili più prevedibili, i flussi di marea particolarmente turbolenti e complessi sono in grado di rendere problematiche le operazioni di cattura dell’energia, inficiandone le prestazioni delle turbine mareomotrici.

A porre in rilievo tale spinosità, un lavoro a cura della School of Biological and Marine Sciences e della School of Engineering, Computing and Mathematics dell’Università di Plymouth, in Inghilterra (“Sheared turbulent flows and wake dynamics of an idled floating tidal turbine”), reso pubblico su Nature Communications.

Gli autori, in particolare, osservando come il numero di impianti di energia mareomotrice e, più in generale, di energia rinnovabile offshore, sia destinato a crescere in modo significativo lungo la costa del Regno Unito nei prossimi decenni, ne sottolineano le sfide in termini di salvaguardia dell’integrità – a lungo termine – delle tecnologie e delle macchine utilizzate. In pratica, essi sostengono siano necessari «progressi nelle misurazioni sul campo dei flussi di marea, al fine di rilevare le interazioni tra questi e le turbine». L’obiettivo è renderle sempre più efficienti e fare in modo che la loro operatività non subisca rallentamenti, né interruzioni, a causa di correnti imprevedibili.

Il team di studio si muove a partire da alcune considerazioni. Innanzitutto, dalle stime che vogliono la produzione di energia derivante dai flussi di marea, basata su turbine sottomarine ad asse orizzontale, «soddisfare fino all’11% dell’attuale domanda annua di elettricità del Regno Unito, pari a 34 TWh/anno». Tuttavia, evidenzia il gruppo di ricerca:

«I siti dei flussi di marea sono ambienti altamente energetici, dove l’elevato carico derivante da flussi assai rapidi (con velocità di corrente >2ms−1) e turbolenti (con intensità di turbolenza >10%) mette a dura prova l’estrazione affidabile di energia»

Ad essere prevedibili – ricordano gli autori – sono le velocità medie del flusso delle maree. Al contrario, i passaggi di flusso più limitati (che sono quelli che forniscono la risorsa di energia delle maree più “densa”) – cioè canalibacini e promontori – «generano ambienti di flusso altamente dinamici e, in quanto tali, non così regolari e misurabili».

Ecco che, laddove le correnti di marea accelerano (nei canali, nei bacini e in prossimità di promontori, appunto), si ha una forte variabilità delle velocità medie e della turbolenza correlata: «ad esempio, le correnti veloci nei pressi di promontori e isole sono in grado di generare vortici e scie delimitate da un forte taglio di orizzontale di acqua, detto anche “gradiente trasversale nella velocità del flusso” o “strato di taglio“». E tutto questo ha un impatto negativo sul lavoro delle turbine mareomotrici.

Impiego di droni e misuratori di corrente idroacustica per mappare i flussi d’acqua più potenti

La soluzione all’imprevedibilità di questi flussi oceanici oltremodo dinamici nei pressi di isole, canali e bacini, responsabili – a loro volta – di rendere critica l’estrazione di energia dalle maree, sta – secondo i ricercatori inglesi – nella misurazione della velocità media della loro profondità, da effettuare coniugando riprese dall’alto mediante droni e installazioni di Acoustic Doppler Current Profiler (ADCP) a bordo degli scafi delle turbine galleggianti, dove per Acoustic Doppler Current Profiler si intende un misuratore di corrente idroacusticache stima la velocità della corrente dell’acqua in un dato intervallo di tempo.

Gli ADCP – che sfruttano l’effetto delle onde sonore disperse dalle particelle all’interno della colonna d’acqua – contengono oscillatori piezoelettrici per trasmettere e ricevere segnali sonori.

Questo genere di misurazione il team l’ha sperimentata mappando sul campo i complessi flussi di marea incontrati dalla turbina mareomotrice O2 (considerata “la più potente al mondo”), situata nel cuore delle Isole Orcadi, in Scozia.

«A differenza delle tradizionali turbine a corrente di marea – spiega – l’O2 galleggia sulla superficie del mare, ancorata al fondale tramite cavi di ormeggio. La piattaforma, collegata alla rete nazionale attraverso l’European Marine Energy Centre (EMEC), è lunga oltre 70 metri e si stima che, in futuro, possa arrivare ad alimentare 2.000 abitazioni all’anno nel Regno Unito».

Mappa del sito di studio, nel cuore delle Isole Orcadi, nell’arcipelago della Scozia, Regno Unito (credit: “Sheared turbulent flows and wake dynamics of an idled floating tidal turbine” - University of Plymouth, Regno Unito - https://www.nature.com/articles/s41467-024-52578-x).
A) e B) Mappe panoramiche con la posizione delle Isole Orcadi, al largo della Scozia continentale, evidenziata da riquadri rossi; C) Mappa con la posizione della turbina mareomotrice galleggiante O2 (pallino rosa) e indicazioni delle basse correnti di marea. L’asse (xy) corrisponde al sistema di coordinate locali utilizzate; D) Ripresa aerea della turbina mareomotrice (lunghezza totale scafo/corpo = 74 m), eseguita dal drone durante i flussi di picco della marea; E) Velocità media della profondità dei flussi di marea rilevata dagli Acoustic Doppler Current Profiler montati sullo scafo della turbina; F) Intervalli (espressi in metri) del lavoro della turbina mareomotrice durante il periodo di campionamento (credit: “Sheared turbulent flows and wake dynamics of an idled floating tidal turbine” – University of Plymouth, Regno Unito – https://www.nature.com/articles/s41467-024-52578-x).

L’esempio della turbina mareomotrice O2

Lo studio diretto dall’Università di Plymouth si è focalizzato, in particolare, sulle misurazioni dei flussi di acqua e delle dinamiche delle scie attorno al set di turbine galleggianti dell’impianto scozzese O2.

Va detto – illustrano gli autori – che il set si trova all’interno di tagli orizzontali d’acqua relativamente forti,«influenzati dalla vicinanza della scia dell’isola di Eday e dalle linee di taglio ad essa associata». È da questo scenario che deriva la complessità delle correnti di marea che l’impianto subisce.

I dati video raccolti dal drone e i dati idroacustici rilevati dagli ADCP dimostrano come l’impatto trasversale delle linee di taglio all’interno delle quali si trova il set di turbine generi un profilo di taglio verticale caratterizzato da una velocità di corrente ridotta nella colonna d’acqua superiore e da una velocità più consistente durante i flussi di bassa marea.

Dati – questi – che forniscono un’ulteriore prova del fatto che i profili di taglio verticale nei flussi oceanici complessi e reali [“reali” perché rilevati sul campo e non tramite simulazioni al computer] «possono deviare dalle distribuzioni convenzionali della legge di potenza» quando si incrociano con tagli d’acqua orizzontali generati da vortici e scie tipici di siti con passaggi limitati, in cui le correnti di marea trovano ostacoli.

«In secondo luogo, le nostre misurazioni del flusso oceanico superficiale per mezzo di tecniche video a bordo dei droni danno prova della prevalenza di flussi turbolenti nella regione vicino alla linea di taglio orizzontale, con conseguente riduzione dell’entità della velocità di marea» specifica il gruppo di lavoro.

In sintesi, lo studio inglese ha documentato – quantificandoli – importanti cambiamenti di velocità dei flussi di marea, dovuti all’incrocio con correnti trasversali forti e impossibili da prevedere, aprendo a ipotesi di impatti negativi sul lavoro delle turbine mareomotrici e sulle loro prestazioni nel generare energia pulita e alternativa.

Glimpses of Futures

Se davvero, da qui al 2030, intendiamo ottenere vantaggi significativi dall’energia pulita, inesauribile e rinnovabile delle maree, l’osservazione, l’analisi e la comprensione di tutte le variabili degli ambienti marini – come quelle descritte (sul campo e non mediante simulazioni) – rappresentano strumenti di prima linea.

Con l’obiettivo di anticipare possibili scenari futuri, proviamo, ora, ad analizzare – avvalendoci della matrice STEPS – gli impatti che l’evoluzione degli studi come quello illustrato potrebbe avere sotto il profilo sociale, tecnologico, economico, politico e della sostenibilità.

S – SOCIAL: quello che l’indagine oceanografica condotta dall’Ateneo inglese ha quantificato è la riduzione della velocità di corrente durante i flussi di alta marea in quegli impianti in cui le turbine sono esposte a forti tagli orizzontali d’acqua. E la riduzione dei flussi di marea si traduce, a sua volta, in una flessione della produzione di energia mareomotrice. In uno scenario futuro, in cui le tecnologie e le metodologie di raccolta di dati di questo tipo evolveranno, il mondo della ricerca potrebbe rendere disponibili sempre maggiori informazioni sulle correnti oceaniche complesse, permettendo, così, di intervenire sui sistemi di generazione di energia dai flussi di marea per modificare, ad esempio, la quantità, la tipologia e il posizionamento delle turbine, affinché l’interazione tra le macchine e l’habitat marino possa essere in equilibrio e garantire il funzionamento continuo – senza cali produttivi, rallentamenti e interruzioni – di tutti i dispositivi.

T – TECHNOLOGICAL: dal punto di vista tecnologico, il binomio “riprese video aeree per mezzo di droni” e “misuratori di corrente idroacustica” per la stima della velocità della corrente dell’acqua, apre a numerose correlazioni con altri ambiti. Per quanto riguarda l’osservazione e la misurazione del flusso oceanico superficiale tramite telecamere a bordo dei droni – ad esempio – queste, in futuro, potrebbero incorporare tecniche di analisi video che sfruttano l’intelligenza artificiale, per una valutazione automatizzata (dall’alto) dei parchi di turbine mareomotrici, con una visione ancora più ampia e puntuale circa la presenza di flussi turbolenti nell’area considerata.

E – ECONOMIC: come accennato, nell’Unione europea, nell’ultimo anno, i finanziamenti hanno sbloccato 14 MW di nuovi parchi mareomotori, grazie a progetti come “Sustainable European Advanced Subsea Tidal Array” (SEASTAR) ed “European Tidal Energy Pilot Farm Focused on Industrial Design, Environmental Mitigation and Sustainability” (EURO-TIDES), entrambi in essere da dicembre 2023 a febbraio 2029, sempre nelle Isole Orcadi (Scozia). Nel dettaglio, il primo fornirà un impianto da 4 MW composto da 16 turbine a flusso di marea, il secondo uno da 9,6 MW composto da quattro turbine orbitali. In un quadro di questo tipo, dove il sostegno finanziario dell’UE fa da acceleratore allo sviluppo del settore, il futuro progredire degli studi sull’interazione tra le turbine mareomotrici e le correnti oceaniche complesse, contribuirebbe alla riduzione di eventuali episodi di stallo, calo produttivo, rallentamento e interruzione delle macchine di produzione di energia delle maree, col conseguente contenimento di sprechi e perdite dovute a cattive prestazioni.

P – POLITICAL: le tecnologie energetiche oceaniche, comprese quelle afferenti all’energia delle maree, fanno parte della cosiddetta Blue Economy dell’UE, che allinea le attività marine agli obiettivi del Green Deal europeo e che ha visto l’Unione investire più di 4 miliardi di euro, negli ultimi dieci anni, in progetti di ricerca sull’energia oceanica. Ma c’è di più. Attraverso lo Strategic Energy Technology Plan, l’UE ha fissato, per il prossimo decennio, obiettivi di riduzione dei costi in materia di tecnologie oceaniche, proprio per implementarne lo sviluppo, l’adozione e la competitività. E i risultati dell’indagine oceanografica descritta, documentando la riduzione di velocità di corrente durante i flussi di alta marea in quegli impianti in cui le turbine mareomotrici sono esposte a forti correnti turbolente, inaugura un corso di studi volto ad analizzare la perdita di performance da parte delle macchine deputate alla produzione di energia delle maree – causata dallo stesso habitat marino – e a mettere a punto soluzioni che mitighino tale defaillance.

S – SUSTAINABILITY: in tema di sostenibilità, l’energia mereomotrice pone diversi dubbi. Ritenuta la fonte di energia rinnovabile dal minore impatto ambientale (le turbine mareomotrici si trovano sott’acqua), desta comunque preoccupazione l’effetto delle macchine sulla fauna e la flora marine. Ecco che la futura evoluzione degli studi – come quello realizzato dai ricercatori dell’Università di Plymouth – sulle ripercussioni che le correnti oceaniche complesse hanno sugli impianti di energia delle maree permetterà di ampliare le conoscenze in tema di interazione tra le turbine e l’habitat marino, giungendo – si auspica – a un sempre maggiore equilibrio.

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