Con quale metodo è possibile emulare le funzioni meccaniche uniche di materiali naturali come il legno, i gusci di tartaruga, la seta di ragno, per applicazioni di restauro ortopedico? Un’inedita risposta è contenuta nel recente lavoro diretto dall’University of Illinois Urbana-Champaign.
È la scienza dei materiali che – avvalendosi dell’apporto di discipline quali ingegneria, chimica e fisica – studia le peculiarità e il comportamento di tutte le tipologie di materiali che si trovano in natura, con l’obiettivo di ottimizzare la struttura di quelli sintetici esistenti e di progettarne di nuovi.
Fanno parte della miriade di materiali naturali il legno, la seta di ragno, i gusci di tartaruga, le piume degli uccelli, le conchiglie e i resti ossei di animali, solo per citare alcuni esempi.
Siamo, praticamente, circondati dai materiali naturali. «Sono i costituenti principali dei corpi vegetali e animali e hanno una varietà di funzioni, tra cui la più importante è quella meccanica». Addirittura, materiali come madreperla e seta di ragno possiedono caratteristiche tali da renderli idonei alle applicazioni ingegneristiche che richiedono resilienza meccanica [fonte: “Three-Dimensional-Printing of Bio-Inspired Composites” – Journal of Biomechanical Engineering].
In particolare, a proposito della funzione meccanica, nel caso del legno e delle ossa, questa è la diretta conseguenza del loro essere «composti fibrosi dalla struttura gerarchica», in grado di adattarsi in modo funzionale «a tutti i livelli gerarchici» [fonte: “Nature’s hierarchical materials” – Progress in Materials Science].
Ciò che accomuna la varietà dei materiali naturali sono le loro architetture irregolari su microscala, caratterizzate da «disordine e da non uniformità», che conferiscono loro funzionalità interessanti, di cui la modulazione dello stress meccanico è quella cruciale per l’elasticità e il mantenimento dell’equilibrio, dove per “stress meccanico” si intende «l’intensità della forza esercitata su una piccola area» [fonte: “Mechanics of Materials: Stress” – Boston University].
Takeaway
Le proprietà meccaniche dei materiali naturali
Gli esempi di utilizzo dei materiali naturali, selezionati in base alle loro prestazioni meccaniche, sono numerosi.
A cominciare dai gusci di tartaruga, le cui peculiarità meccaniche particolarmente robuste si devono alla loro struttura ben organizzata e stratificata, data da «una miscela di minerali come fosfato di calcio e solfato di calcio che, dispersi nella cheratina, formano una serie di piastrine nanocomposite, impilate in modo ordinato e compatto». Le notevoli performance meccaniche di trazione e di compressione dei gusci di tartaruga vengono studiate da molto tempo, in quanto considerate fonte di ispirazione per lo sviluppo di soluzioni biomimetiche da applicare a materiali multifunzionali avanzati, in particolare alle armature artificiali [fonte: “The hierarchical structure and mechanical performance of a natural nanocomposite material: The turtle shell” – Colloids and Surfaces A: Physicochemical and Engineering Aspect].
Anche i fili di seta di ragno vantano qualità meccaniche rilevanti, tra cui tenacità ed elasticità – dovute a strutture proteiche specifiche – che raggiungono valori massimi rispetto ad altri materiali in fibra, «tanto da renderle superiori rispetto al Kevlar e all’acciaio». Tali proprietà li rendono adatti alla messa a punto di materiali innovativi, destinati alla robotica, all’ambito medico (muscoli artificiali) e cosmetologico [fonte: “Recombinant Spider Silk: Promises and Bottlenecks” – Frontiers in Bioengineeroing and Biotechnology].
Sempre riguardo alla seta di ragno, ricordiamo anche il suo impiego come possibile futuro prodotto alternativo alla plastica, grazie alla creazione di un materiale a base biologica, ottenuto incollando fibre di cellulosa di legno e proteine della seta presenti nei fili delle ragnatele [fonte: “Biomimetic composites with enhanced toughening using silk-inspired triblock proteins and aligned nanocellulose reinforcements” – Science Advances].
Materiali naturali per l’ortopedia protesica: l’esempio del legno
Al legno, invece, si fa sempre più riferimento come a un materiale sostenibile e biocompatibile per l’ortopedia protesica e la riparazione ossea, in sostituzione degli impianti metallici normalmente adottati nella fissazione interna delle fratture, i quali, però, spesso richiedono interventi chirurgici multipli e sono a rischio di rigetto.
«Finora sono state esaminate solo alcune specie di legno, ma sono state proposte più tecniche di preparazione come, ad esempio, la bollitura in acqua o il preriscaldamento dei legni di frassino, betulla e ginepro», illustra un team della Riga Stradins University, in Lettonia, autore di uno studio del 2023 sul legno come possibile materiale rinnovabile per gli impianti ossei [“Wood as Possible Renewable Material for Bone Implants-Literature Review” – Journal of Functional Biomaterials].
Successivamente, la ricerca si è spostata sul legno carbonizzato e sulle impalcature di cellulosa derivata dal legno, da cui si ricavano scaffold in legno carbonizzato e cellulosa da coniugare con altri materiali (carburo di silicio, idrossiapatite e vetro bioattivo), per migliorarne la biocompatibilità e la durata meccanica, osserva il team. «In tutti gli studi condotti finora, gli impianti in legno hanno comunque fornito una buona biocompatibilità e osteoconduttività, dovuta alla struttura porosa del materiale».
Un altro esempio degno di nota per l’ortopedia protesica è dato da un interessante lavoro tutto italiano, a cura dell’Istituto di Scienza, Tecnologia e Sostenibilità per lo sviluppo dei Materiali Ceramici (CNR-ISSMC), a Faenza – descritto in “Ceramics with the signature of wood: a mechanical insight” (Materials Today Bio, numero di gennaio 2020) – che ha il merito di aver ideato un processo fisico-chimico inedito per fabbricare ceramiche dal legno di rattan.
Il materiale ottenuto è connotato da una nanostruttura che mantiene gli elementi ereditati dal rattan, ossia l’essenza legnosa e, dunque, una porosità che produce caratteristiche meccaniche tali da generare una resistenza e una rigidità elastica per l’applicazione in tutte quelle situazioni (come, appunto, la sostituzione ossea) «in cui il pezzo ceramico è sottoposto a un carico avente una direzione privilegiata».
Modulazione dello stress meccanico bio-ispirata, programmata e ottimizzata
Un gruppo di ricercatori dell’University of Illinois Urbana-Champaign, negli Stati Uniti, in un recente studio presentato in “Modulate stress distribution with bio-inspired irregular architected materials towards optimal tissue support”, apparso su Nature Communications il 21 maggio 2024, fa una riflessione critica in merito alle prestazioni meccaniche dei materiali naturali, osservando che, sebbene queste siano qualitativamente elevate, non è ancora chiara la relazione che esiste tra la modulazione dello stress meccanico e le particolarità delle strutture irregolari e disomogenee proprie dei materiali naturali, anche perché non è semplice indagarla. Il che significa che non è semplice capire quali strutture possiedano una capacità maggiore o più versatile di modulazione dello stress meccanico.
Da qui, l’obiettivo degli autori di mettere a fuoco la relazione tra le strutture dei materiali e le loro proprietà fisichee di farlo servendosi di un framework computazionale generativo, il cui compito, durante i lavori, è stato quello di guidare un processo virtuale di progettazione di materiali dalle microstrutture eterogenee e disordinate – proprio come quelle dei materiali naturali – controllandone, programmandone e ottimizzandone la modulazione dello stress meccanico, cioè la più strategica tra le funzioni meccaniche dei materiali esistenti in natura e quella che maggiormente si presta ad applicazioni avanzate.
Il framework computazionale generativo
Il framework messo a punto dal team si articola in quattro passaggi. Il primo prevede la creazione di un database comprendente le caratteristiche base dei materiali naturali, avvenuta – in questo caso – attraverso il campionamento di 200 combinazioni di quattro elementi costitutivi (resistenza, rigidità, elasticità, tensione), rappresentati virtualmente sia in 2D che in 3D.
Il secondo step vede, invece, lo sviluppo di un modello di apprendimento automatico – addestrato con pacchetto PyTorch – deputato all’analisi dei contenuti del database e, sulla base di questa, alla previsione della modulazione dello stess meccanico delle singole microstrutture.
L’ottimizzazione della topologia macroscopica è la fase del metodo computazionale generativo tesa a stabilire una formulazione e una parametrizzazione per la modulazione dello stress meccanico, di cui dovrà tenere conto il processo di progettazione.
Infine, vi è l’impiego di un simulatore del processo di progettazione, la cui funzione è generare virtualmente materiali dall’architettura irregolare, dalle microstrutture eterogenee, a imitazione dei materiali esistenti in natura, e dalla puntuale modulazione dello stress meccanico.
In particolare, il simulatore utilizzato in questo lavoro – precisa il gruppo di studio – presenta una distribuzione eterogenea degli elementi costitutivi e, rispetto al programma originale, «si fonda su combinazioni di frequenze di ingresso basate sull’intuizione. Questi due aspetti consentono layout microstrutturali ottimali e proprietà personalizzate dei materiali, cruciali per una minuziosa modulazione dello stress meccanico».
In ultimo, la produzione del materiale bio-ispirato – progettato con, all’interno, una distribuzione controllata della modulazione dello stress meccanico – è stata possibile per mezzo della stampa 3D, con stampante dal processo di polimerizzazione strato per strato.
Ortopedia protesica femorale: applicazione della modulazione bio-ispirata dello stress meccanico
Il prototipo in resina stampato in 3D del materiale bio-ispirato ottenuto è stato poi testato dai ricercatori dell’Ateneo USA nell’ambito di un’applicazione di ortopedia protesica, per la riparazione di un modello sintetico di femore umano fratturato.
«Durante i test per la valutazione biomeccanica dell’arto fratturato, questo tipo di materiale ottimizzato ha dimostrato una versatile modulazione dello stress meccanico, dovuto – quest’ultimo – a forze di diversa entità esercitate su una determinata area del femore», spiegano gli autori.
Modulazione che suggerisce – nei futuri modelli reali (e non sintetici) di femori fratturati – una rigenerazione dell’osso mediante la stimolazione del cosiddetto “stress di taglio”, ovvero di quella naturale tensione interna cui può essere soggetto l’osso nel momento in cui fa anche il minimo sforzo, ad esempio durante un movimento della gamba.
Le tradizionali placche metalliche e i chiodi intramidollari, comunemente applicati in ortopedia protesica femorale in caso di frattura, invece, impedendo questa naturale tensione interna, compromettono l’elasticitàossea.
Se la sostanza ossea di cui è composto un femore sano – illustra il team di studio – si caratterizza per un modulo di elasticità uniforme, su tutta la lunghezza dell’osso, le fratture determinano una concentrazione di forze sull’apice della frattura stessa, aumentando il rischio di un’ulteriore sua propagazione.
Ortopedia protesica con rigenerazione dei tessuti ossei
«I metodi tradizionali di riparazione del femore fratturato prevedono il fissaggio, con viti, di una placca rigida attorno alla frattura. A causa, però, della differenza di rigidità tra il femore e la placca, si verifica una protezione negativa da qualsiasi tipo di forza interna, riducendo così di molto l’elasticità del tessuto osseo. Il che si traduce in un’ulteriore mobilizzazione del paziente, col rischio di dolore cronico e del crearsi di una frattura nell’area intorno all’impianto, detta “frattura periprotesica”», evidenziano gli autori.
Una potenziale, futura, soluzione al problema della perdita di elasticità ossea in seguito a una frattura e al successivo fissaggio, nell’osso, di protesi metalliche, potrebbe essere data – come hanno suggerito i primi test biomeccanici su un modello sintetico di femore umano – dall’applicazione (proprio sul punto fratturato) di un supporto costituito da materiali bio-ispirati con modulazione ottimizzata dello stress meccanico.
Questo tipo di supporto trasmetterebbe all’osso fratturato una forza di compressione assai simile a quella naturale, imprimendo una minima tensione interna (stress di taglio) tra l’osso (in questo caso il femore) e il supporto stesso. «Di conseguenza, questo stress di taglio, inducendo micro-movimenti perpendicolari alla frattura preesistente, restituirebbe una sufficiente elasticità e stimolerebbe la rigenerazione ossea» rimarcano i ricercatori.
Glimpses of Futures
Il lavoro descritto ha portato alla definizione di una metodologia innovativa che, sfruttando tecnologie computazionali, tra cui una tecnica AI come il machine learning, ha portato al controllo, alla programmazione e all’ottimizzazione di quella che è la funzione meccanica più interessante dei materiali naturali, nell’ottica dell’ottenimento dell’elasticità e dell’equilibrio in materiali sintetici per applicazioni avanzate, come lo sono l’ortopedia protesica e la rigenerazione ossea, qualunque possa essere la sede della frattura.
Proviamo, ora, ad anticipare possibili scenari futuri, cercando di prevedere – aiutandoci con la matrice STEPS – gli impatti che l’evoluzione di tale metodologia potrebbe avere sotto il profilo sociale, tecnologico, economico, politico e della sostenibilità.
S – SOCIAL: in futuro, con l’evoluzione del framework computazionale generativo ideato dal team americano, parallelamente all’esito positivo di batterie di test di laboratorio su modelli animali di ossa fratturate, l’adozione del materiale bio-ispirato con modulazione ottimizzata dello stress meccanico produrrebbe un duplice beneficio in ortopedia protesica: i medici eviterebbero di intervenire chirurgicamente più volte – nell’area in cui sono stati fissati placche, chiodi e viti – in seguito al rischio di infezioni o di rigetti, risparmiando, così, risorse, forze e tempo; i pazienti, dal canto loro, godrebbero di recuperi più rapidi, senza lunghe immobilizzazioni e senza il pericolo di dolore cronico e di fratture periprotesiche, in quanto, al posto del metallo, nel proprio corpo avrebbero, innanzitutto, un materiale biocompatibile e – aspetto saliente – in grado di restituire una certa dose di elasticitàall’osso coinvolto dal trauma, favorendone la rigenerazione.
T – TECNOLOGICAL: il metodo presentato è solo l’inizio di quello che sarà un lavoro più ampio da parte dell’University of Illinois Urbana-Champaign, destinato, in futuro, a differenti tipologie di applicazioni di ortopedia protesica, ovunque sia necessaria una modulazione dello stress meccanico potenziata e puntuale. Gli autori, inoltre, sottolineano come la tecnica proposta sia valida per il controllo, la programmazione e l’ottimizzazione della modulazione dello stress meccanico in qualsiasi tipo di materiale. «La chiave – commentano – è l’architettura del materiale in questione, la sua microstruttura e le corrispondenti peculiarità meccaniche. Sono questi i fattori che rendono le applicazioni del framework computazionale generativo praticamente infinite». In futuro, la sua evoluzione comporterà lo sviluppo di una rete neurale dall’architettura più profonda, per l’analisi predittiva non solo della modulazione dello stress meccanico, ma anche di altre caratteristiche appartenenti ai materiali naturali.
E – ECONOMIC: le fratture ossee, in generale, e quelle ai danni del femore, in particolare, rappresentano un fenomeno piuttosto frequente tra la popolazione anziana, specie a causa del deterioramento del tessuto osseo determinato dall’osteoporosi. Secondo le statistiche dell’International Osteoporosis Foundation (IOF), nel mondo, ogni anno, si registrano fino a 37 milioni di fratture dovute a fragilità ossea da parte di persone di età superiore ai 55 anni, con impatti significativi sulla spesa sanitaria dovuti ai costi della degenza ospedaliera. Questi, per quanto riguarda, nello specifico, il nostro Paese, si aggirano – in base agli ultimi dati disponibili sul costo diretto delle fratture, che risalgono al 2019 – attorno ai 5,4 miliardi di euro. In questo scenario, la diffusione, in futuro, di un materiale bio-ispirato – come quello illustrato – a supporto dell’ortopedia protesica, capace (in quanto portatore di elasticità all’osso danneggiato) di ridurre il rischio di fratture nell’area intorno alla protesi metallica, il rischio di rigetto delle placche, delle viti e dei chiodi, di infezioni e di interventi chirurgici multipli, si tradurrebbe in tempi di degenza più brevi e, dunque, in un abbattimento dei relativi costi a carico del Sistema Sanitario Nazionale.
P – POLITICAL: in uno scenario futuro, l’utilizzo, in campo ortopedico, di un supporto protesico non convenzionale,diverso dalle protesi in metallo, ispirato alle microstrutture dei materiali naturali (al momento, il prototipo è in resina biocompatibile), come quello progettato dal gruppo di ricerca USA con l’ausilio di un metodo computazionale generativo, implicherebbe l’attenzione, da parte del legislatore, sugli aspetti relativi alla sicurezza, in quanto dispositivo medico, ad oggi, solo sperimentato in laboratorio. Ricordiamo che, a partire dal 26 maggio 2021, è in essere nell’UE il nuovo Regolamento 2017/745 sui dispositivi medici, comprese le protesi mammarie e dell’anca/femore, che pone un’enfasi particolare sui requisiti di sicurezza e prestazione dei dispositivi medici in commercio nell’Unione, con obblighi e responsabilità precisi da parte di produttori, catena di fornitori, nonché delle Istituzioni sanitarie. Documento – questo – che, in futuro, dovrà integrare l’impiego di impianti protesici dalle caratteristiche meccaniche bio-ispirate e riprodotte con metodo computazionale.
S – SUSTAINABILITY: l’ortopedia, in futuro, si muoverà verso l’adozione di impianti protesici dai materiali sempre più naturali e biocompatibili e, al medesimo tempo, elastici e resistenti, in nome di una sostenibilità ambientale che non ammette deroghe e di un modello di sostenibilità che abbraccia anche la salute umana, rispettando la naturale fisiologia del corpo umano nel momento in cui questo viene colpito da un trauma come la frattura e necessita di una protesi interna che non lo immobilizzi ma che, al contrario, supporti la rigenerazione ossea, come promette il nuovo materiale bio-ispirato descritto. L’unico neo, guardando al framework computazionale creato dagli autori per la sua progettazione, è dato dall’impronta di carbonio generata dal sistema di apprendimento automatico sul quale esso poggia, soprattutto durante la fase di addestramento.