Un gruppo di studio australiano ha ideato un approccio “indiretto” alla stampa 3D di impalcature (scaffold) tridimensionali deputate al sostegno delle architetture cellulari, ottenendo strutture di materiale biologico del diametro di soli 200 micron e - nonostante questo - particolarmente complesse al loro interno.

TAKEAWAY

  • Nell’ambito dell’ingegneria tissutale, le tecniche di stampa 3D vanno nella direzione di metodi che si servono di cellule prelevate dal paziente e in grado di formare strutture biologiche tridimensionali per dare vita – laddove siano danneggiati da patologie o da traumi – a organi, tessuti, ossa e muscoli dalle geometrie sempre più precise.
  • Un traguardo recente è quello della biostampa tridimensionale, che prevede la stampa 3D di due di tipologie di materiali: gli scaffold (impalcature di materiale biologico) e tessuti, organi e ossa.
  • Riguardo alla stampa 3D degli scaffold, un’Università australiana ha recentemente messo a punto un approccio inedito per aggirare il problema della realizzazione di microstrutture minuscole e complesse, in cui fare moltiplicare le cellule per la rigenerazione dei tessuti.

Il ruolo delle tecniche di stampa 3D nell’ingegneria tissutale sta evolvendo. A partire dagli ultimi cinque anni, studi e ricerche procedono nella direzione di metodi che si servono di cellule direttamente prelevate dal paziente e in grado di formare – a partire da queste – strutture biologiche tridimensionali per dare vita a organi, tessuti, ossa e muscoli dalle geometrie sempre più precise e fedeli a quelle naturali.

Un traguardo recente è quello della biostampa tridimensionale – o 3D bioprinting – che, in particolare, prevede la stampa 3D di due di tipi di materiali:

  • gli scaffold, ossia “impalcature” tridimensionali fatte di materiale biologico, da inserire nel corpo a sostegno di una determinata struttura cellulare, definendo la forma finale dell’organo o del tessuto che si intende rigenerare
  • le parti viventi di tale struttura, ovvero organi, tessuti, ossa o parte di questi

In Italia, un esempio di biostampa tridimensionale del secondo tipo di materiale, partendo da cellule staminali del paziente e avvalendosi anche del contribuito delle nanotecnologie, è dato dal laboratorio Prometeo NanoLab, in seno all’Università di Verona, dove due stampanti 3D replicano non solo la forma, ma anche la consistenza di organi e tessuti umani, sulla base di una TAC o di una risonanza magnetica.

Per un esempio del primo tipo di materiale – scaffold – ottenuto per mezzo del 3d bioprinting, ci spostiamo, invece, presso il Royal Melbourne Institute of Technology (RMIT), in Australia, dove un team di ricercatori, in collaborazione con i medici del St Vincent’s Hospital Melbourne, ha recentemente messo a punto un approccio del tutto particolare (e originale), di cui si è di recente dato notizia su Advanced Materials Technologies.

Stampa 3D nell’ingegneria tissutale: nuovo metodo per la creazione di scaffold dalle dimensioni nano

Oggi, per gli ingegneri biomedici – spiega il team di studio – uno degli obiettivi chiave è la progettazione di scaffold fatti di materiali biologici da impiantare nel corpo del paziente per supportare la ricrescita cellulare in caso di lesioni o di patologie che hanno compromesso tessuti, ossa, organi oppure parte di questi.

Nel conseguimento di tale obiettivo c’è, però, un aspetto critico, una sfida, che consiste nel riuscire a mettere a punto strutture sempre più piccole e, al contempo, complesse, in modo che queste possano fungere da impalcatura, da sostegno, a diverse tipologie di strutture cellulari.

Nel tentativo di aggirare questo ostacolo, gli scienziati australiani, anziché realizzare direttamente gli scaffold mediante stampa 3D, hanno optato per un altro metodo: stampare con tecniche 3D degli stampi, riempirli di materiali biocompatibili e – terzo passaggio – scioglierli, ottenendo così l’elaborato, ovvero lo scaffold.

Con questo approccio indiretto, la stampa 3D nell’ingegneria tissutale fa un ulteriore passo avanti, ottenendo “impalcature” (scaffold) delle dimensioni micro e – nonostante questo – particolarmente strutturate a loro interno. Osserva Stephanie Doyle, tra gli autori dello studio:

“Le forme che è possibile creare con una stampante 3D standard sono limitate dalle dimensioni dell’ugello, la cui apertura deve essere abbastanza grande da consentire il passaggio del materiale, influenzando, in questo modo, la stampa di dimensioni nano. Diversa cosa, invece, per gli spazi che esistono all’interno del materiale stampato, che possono, invece, risultare molto più piccoli e molto più complessi. Quello che abbiamo fatto, dunque, è stato capovolgere la logica, andando a disegnare la struttura dello scaffold nello spazio vuoto all’interno dello stampo stampato in 3D. E questo ci ha consentito di ottenere microstrutture minuscole e complesse in cui le cellule si moltiplicheranno, rigenerando i tessuti”

Tale metodo, che i ricercatori hanno soprannominato “Negative Embodied Sacrificial Template 3D” (NEST3D), utilizza una semplice colla vinilica come base per lo stampo stampato in 3D. Una volta che il materiale biocompatibile iniettato nello stampo si è solidificato, l’intera struttura viene posta in acqua per sciogliere la colla, lasciando intatto solo lo scaffold.

stampa 3D nell’ingegneria tissutale
In alto, da sinistra, il passaggio dallo stampo di colla vinilica (realizzato con tecniche di stampa 3 e riempito di materiale biocompatibile solidificato) alla sua liquefazione e all’emergere dello scaffold in cui fare moltiplicare le cellule per la rigenerazione dei tessuti (Credit: RMIT University, Melbourne).

Gli scenari aperti dal nuovo metodo di stampa 3D nell’ingegneria tissutale

Prosegue Stephanie Doyle:

Uno dei vantaggi della tecnica che abbiamo ideato è la versatilità nella scelta dei materiali utilizzati, che ci ha consentito di produrre dozzine di scaffold utilizzando, di volta in volta, polimeri biodegradabili, idrogel, siliconi e ceramica, senza la necessità di attrezzature specifiche

Inoltre, il metodo NEST3D – ha aggiunto – permette di produrre strutture 3D del diametro di soli 200 micron (un micron è pari a un milionesimo di metro e a un millesimo di millimetro), paragonabile a 4 capelli umani. Dettaglio, questo, non da poco, in quanto potrebbe rappresentare un acceleratore importate nell’ambito della ricerca sull’ingegneria tissutale.

Attualmente esistono poche opzioni per il trattamento terapeutico di perdite significative di massa ossea o di tessuto in seguito a patologie o a lesioni dovute a traumi. E ancora troppo spesso si ricorre ad amputazioni o a protesi metalliche.

Sebbene siano stati condotti, in tutto il mondo, diversi studi clinici nell’ambito della medicina rigenerativa, affinché la stampa 3D nell’ingegneria tissutale diventi una prassi per il medico e il chirurgo, devono ancora essere affrontate molte sfide, fa notare Doyle.

In ortopedia, ad esempio, uno dei nodi principali è lo sviluppo di uno scaffold che funzioni sia attraverso l’osso che la cartilagine.

Stiamo già al lavoro per la creazione, in un unico scaffold, di microstrutture specializzate nella crescita delle ossa e della cartilagine” fa sapere il gruppo di studi. Sarebbe l’ideale nell’ortopedia chirurgica: un’impalcatura integrata in grado di supportare entrambi i tipi di cellule, per replicare in modo ancora più fedele la fisiologia del corpo umano.

I prossimi step dei ricercatori di Melbourne vedono al centro lo studio di nuovi progetti tesi a ottimizzare la rigenerazione cellulare mediante gli scaffold, oltre allo studio dell’impatto che le diverse combinazioni di materiali biocompatibili di cui sono composti hanno sulla ricrescita cellulare.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin