Una ragazzina di dieci anni, nel Galles, sarà la prima persona ad avere un orecchio ottenuto con tecniche di stampa 3D, un’impresa divenuta realtà utilizzando cellule staminali umane e sostanze di origine vegetale.
TAKEAWAY
- La scienza può trasformare la qualità della vita, è il messaggio che arriva dal Galles dove è stato ricostruito un orecchio attraverso tecniche di stampa in 3D.
- Una sfida possibile grazie all’immissione di cartilagine, che ricopre le ossa, riducendo la frizione causata dagli spostamenti.
- Sull’argomento si moltiplicano i progressi su scala internazionale, dimostrando come la stampa 3D può essere risolutiva per terapie e cure.
Stampa 3D e medicina rigenerativa sono due grandi versanti che, nel panorama odierno, stanno avendo sempre più connessioni tra loro. Da un lato abbiamo le tecnologie di stampa 3D, applicate in diversi settori, compreso quello biomedico, dove il loro utilizzo (detto anche biostampa 3D o 3D bioprinting) è finalizzato alla generazione – attraverso cellule direttamente prelevate dal paziente – di strutture biologiche tridimensionali per dare vita a organi, tessuti, ossa e muscoli dalle geometrie sempre più precise e fedeli a quelle naturali.
Dall’altro lato, la medicina rigenerativa è quell’ambito di ricerca dedito allo sviluppo di terapie che mirano alla riparazione e alla ricostruzione – attraverso le cellule staminali presenti nei tessuti stessi e in grado di autorinnovarsi – di tessuti e di organi compromessi da difetti congeniti, malattie, traumi o invecchiamento.
In questa cornice si colloca un avvenimento che sta avendo un’estesa risonanza in ambito scientifico. Di cosa si tratta? Alla Swansea University, nel Galles, è stato messo a punto un orecchio stampato in 3D e composto unicamente da cartilagine, il tessuto elastico che riveste le articolazioni, fungendo da ammortizzatore e facilitando le abilità motorie.
Stampa 3D e medicina rigenerativa: i passi in avanti compiuti dal Regno Unito
Il connubio tra stampa 3D e medicina rigenerativa ha dato un frutto concreto, a cui ne seguiranno a breve di nuovi. A beneficiarne è stata una bambina originaria della contea del Pembrokeshire, nel Galles, nata con una deformità congenita, motivo per cui il suo orecchio sinistro non si è formato correttamente nel corso della gestazione nel grembo materno.
il problema è noto come microtia e fa riferimento a una serie di malformazioni congenite dell’orecchio esterno, caratterizzato da una riduzione delle dimensioni del padiglione auricolare che, nelle sue manifestazioni più invasive, provoca una riduzione della percezione uditiva.
La sfortunata vicenda, capitata alla piccola Radiyah, è stata l’occasione, per l’Ateneo del Regno Unito, di valutare l’esito di una sperimentazione, avviata in collaborazione con la Scar Free Foundation, per la quale sono stati stanziati circa due milioni e mezzo di sterline.
Una responsabilità considerevole da parte degli esperti, che hanno deciso di optare per una cartilagine ottenuta in laboratorio per mezzo di tecniche di biostampa 3D e composta esclusivamente da cellule staminali umane e da sostanze di origine vegetale.
La struttura stampata è stata utilizzata come impalcatura tissutale, sulla quale sono state coltivate cellule staminali della paziente per formare la base del nuovo orecchio.
L’apporto di stampa 3D e medicina rigenerativa
Ad oggi la soluzione più diffusa, nel caso citato, è rappresentata da protesi cosiddette “polimeriche”, degli strumenti abbastanza versatili che vengono realizzati guardando alla natura dell’uomo.
Tuttavia, siamo davanti ad un’opzione che può creare delle conseguenze negative, poiché l’impianto lascia spesso cicatrici parecchio estese a livello cutaneo.
Rivolgersi a un’equipe in grado di unire le potenzialità offerte da stampa 3D e medicina rigenerativa potrebbe allora offrire una strada maggiormente praticabile rispetto agli iter esplorati sinora, avvalendosi, tra le altre cose, di scanner a raggi infrarossi, un ritrovato industriale che si presta a numerosi scopi. Il professor Iain S. Whitaker, docente di Plastic Surgery alla Swansea University, ha spiegato:
“Il programma che stiamo ultimando si rivelerà fondamentale per il futuro, evitando dolori inutili e bypassando la necessità di dover attingere da regioni del corpo diverse, nel tentativo di ovviare alle lesioni”
Il processo, che va costantemente limato, può avvenire in un periodo relativamente rapido, procurandosi il necessario nell’arco di un mese al massimo, senza recare alcun tipo di danno. La rivoluzione sta nel costruire un organo tridimensionale a partire da cellule staminali, alle quali si va a lavorare all’interno di una sorta di incubatrice e, successivamente, si mescola il tutto con nutrienti liquidi.
Sulla medesima scia si pone un altro studio, reso noto a maggio del 2021 dall’Università di Alberta, in Canada, dove un team specializzato ha sviluppato un metodo di biostampa 3D della cartilagine nasale per i malati di cancro con deturpazione facciale postoperatoria.
La carica propulsiva della ricerca gallese
Che cosa rende particolari i risultati conseguiti dalla Swansea University in tema di stampa 3D e medicina rigenerativa,? La differenza sta nel fatto che, stavolta, non si è optato per una copia della cartilagine, né, come alternativa, quest’ultima è stata presa da più punti, lasciando delle ferite profonde.
Allo stato attuale del procedimento si è giunti dopo tempi lunghissimi, una trafila iniziata nel 2016 che ha dovuto superare tante fasi, tra cui la valutazione del comitato etico locale, uno step imprescindibile e indubbiamente propedeutico per effettuare degli esperimenti sul campo.
Le ripercussioni sono importanti e positive, poiché possono essere un rimedio affidabile a disturbi quali il diabete o l’ipertensione, più comuni in adulti e anziani, permettendo la sostituzione addirittura dei vasi sanguigni.
A fare da capofila, in tale direzione, è l’avanzato Welsh Centre for Printing and Coating (WCPC) che può contare, tra i suoi membri, su competenze maturate non solo nell’elaborazione digitale, ma anche nelle reti neurali, modelli computazionali ispirati ai neuroni cerebrali, dei quali emulano gli input per consentire alle macchine di vedere, sentire e parlare come noi. Un centro di eccellenza dal quale discenderanno presto vari progetti accademici, volti a intrecciare fra loro stampa 3D e medicina rigenerativa.