Le tecnologie della realtà e il loro ruolo nel famigerato metaverso rendono più che mai attuale il dibattito filosofico sul vivere in una simulazione, introdotto ormai quasi 20 anni fa da Nick Bostrom. Oggi David J. Chalmers lo riprende, con un libro destinato a lasciare il segno: Reality+ sostiene che la realtà virtuale sia genuina e, per certi versi, indissolubile rispetto a quella fisica.
TAKEAWAY
- I boomer e i digital native intendono il digitale secondo priorità differenti. Secondo il filosofo australiano David J. Chalmers, autore di Reality+, la realtà virtuale e la realtà aumentata non sarebbero realtà di secondo piano, ma di secondo livello, che nascono all’interno della realtà fisica.
- Le realtà del metaverso esistono grazie al significato che viene loro assegnato dalla mente umana, che le rende più o meno “importanti”. Lo stesso vale per le tecnologie delle realtà. La loro attuale incapacità di produrre risultati realistici spiegherebbe il gap percettivo tra il virtuale e il reale.
- La simulazione della realtà del metaverso apre nuovi orizzonti di ricerca. Da un lato la sfida tecnologica, per rendere sempre più realistica la simulazione stessa, dall’altro nuovi interrogativi, come la possibilità che siano simulate realtà adiacenti e ignote, che la nostra mente non percepisce, dove potrebbe trovare luogo addirittura la vita della coscienza dopo la morte tradizionalmente intesa.
Tutto ebbe inizio nel 2003, quando Nick Bostrom, filosofo e docente di Oxford, pubblicò il paper Are you living in a computer simulation? Uno studio focalizzato sul “simulation argument”, un trilemma che, in estrema sintesi, prevede la possibilità che l’uomo stia vivendo all’interno di una simulazione creata da una civiltà molto più evoluta della sua. Per quanto non sia, almeno per il momento, possibile confermare scientificamente la validità del trilemma di Bostrom, l’intenso dibattito filosofico che ha caratterizzato le realtà nei successivi vent’anni ha tuttavia evidenziato come sia altrettanto improbabile dimostrare con certezza il contrario.
La riflessione sul fatto che una simulazione possa essere reale assume una particolare valenza ora che le tecnologie della realtà, in particolar modo la realtà virtuale e la realtà aumentata, si configurano tra i principali abilitatori del metaverso, inteso quale fusione persistente di spazi reali e virtuali.
Oltre a Bostrom, la cui popolarità su ampia scala è in gran parte dovuta alla divulgazione di Elon Musk, che ne ha in più occasioni citato gli scritti, altri pensatori hanno contribuito in maniera essenziale al dibattito su quelle che attualmente potremmo definire le realtà del metaverso. Tra questi vi è il matematico e filosofo australiano David J. Chalmers, direttore del Center for Mind, Brain and Consciousness della New York University e fresco autore di Reality+: i Mondi Virtuali e i Problemi della Filosofia (W.W. Horton & Company, 2022).
Nella sua ampia digressione sul rapporto tra le realtà e la mente umana, Chalmers rompe categoricamente gli indugi sul fatto che le realtà virtuali siano realtà a tutti gli effetti, in quanto capaci di generare esperienze significative per l’uomo, come nel caso del mondo fisico. Per tale ragione, l’evoluzione ibrida delle realtà del metaverso ci porterà a una distinzione sempre più fittizia e astratta tra reale e virtuale.
Quanto c’è di reale nella realtà virtuale?
David J. Chalmers, classe 1966, deve la sua popolarità a The Conscious Mind, pubblicato nel 1996, quando era di stanza a Oxford. Per quanto le sue teorie presentino punti estremamente controversi, Chalmers è ritenuto tra le figure più autorevoli nei moderni studi sulla coscienza. Recentemente è stato ospite di un interessante episodio del podcast Vox Conversations, curato da Sean Illing: una piacevolissima occasione per parlare di realtà e simulazione dal punto di vista filosofico, chiara nell’esposizione di concetti di per sé anche piuttosto complessi, senza rinunciare a quel pizzico di ironia indispensabile per introdurre al grande pubblico certi argomenti.
Interrogato sul fatto che i mondi virtuali, come quelli del gaming o del metaverso stesso, vengano spesso considerati realtà inferiori rispetto al mondo reale, Chalmers ha rilevato un aspetto di carattere sostanzialmente culturale: «Questo è vero soprattutto nel caso della mia generazione, quelli sulla cinquantina, che considera i mondi digitali di secondo piano, in quanto meno realistici di quello fisico. Gli attuali teenager, che sono di fatto nativi digitali, questo tipo di distinzione non hanno ragione di porsela, in quanto per loro il digitale è sempre stato parte integrante della realtà, sin da quando l’hanno conosciuta per la prima volta».
Secondo Chalmers la questione della realtà sarebbe, pertanto, da porre su un piano differente: «Non sono sicuro che la realtà virtuale sia una realtà di secondo piano, perché nasce all’interno della realtà vera e di fatto la estende. Parlerei piuttosto di una realtà di secondo livello, distinguendo la componente reale originale da quella derivativa. Non è una distinzione tra ciò che è reale e ciò che non è reale […] Parliamo di realtà fisica, di realtà virtuale, ma sono entrambe reali […] Vi sono molte teorie sul concetto di realtà, i filosofi amano giocare con le parole, ma ritengo che la realtà sia semplicemente ciò che esiste».
In altri termini, la realtà è ciò di cui la mente umana è cosciente e a cui è in grado di associare un significato preciso. Reale non sarebbe dunque sinonimo di fisico. Esemplificando il concetto, secondo Chalmers, Joe Biden è vero, Santa Claus è finto, ma entrambi esistono e sono reali nella nostra mente.
L’interconnessione tra le realtà del metaverso e il significato della vita del metaverso
Uno degli aspetti più evidenti di Reality+ è l’affermazione che la realtà virtuale sia una realtà genuina. Secondo Chalmers infatti: «A livello filosofico ci aiuta a pensare alla relazione che si instaura tra la mente e la realtà. Cosa conosciamo davvero del mondo che c’è al di fuori della nostra mente?”. In merito al fatto di vivere o meno all’interno di una simulazione, Chalmers ne conferma la possibilità, ritenendola in ogni caso una questione non centrale: «Se ci dicessero con certezza che la realtà in cui viviamo è una simulazione potremmo avere un momento di stupore, rimanere drammaticamente sorpresi ed esterrefatti, ma superata questa fase, la nostra vita continuerebbe esattamente come prima».
Secondo Chalmers, il nocciolo della questione sarebbe l’importanza che viene data al digitale nelle sue varie applicazioni: «Siamo ossessionati da quest’idea del metaverso, in cui siamo destinati a vivere sempre più tempo. […] Sarebbe dunque importante riflettere su quale tipo di vita possiamo avere adesso nel metaverso. Alcuni pensano che sia possibile soltanto un’esperienza di fuga dalla realtà, non pari alla vita reale. […] Tuttavia, penso che la maggior parte delle cose che consideriamo vere assumano tale significato attraverso l’interazione tra la mente e ciò che vi è al suo esterno. I soldi sarebbero mucchi di carta o righe di codice, ma sviluppiamo nei loro confronti un’attitudine che attribuisce loro un significato decisamente differente […] È l’importanza che diamo alle cose a renderle davvero importanti e reali».
Il concetto di attitudine nei confronti del reale vale anche per le tecnologie emergenti. Per Chalmers infatti: «È quello che sta succedendo ora con la tecnologia blockchain o i token non fungibili (NFT) o con qualsiasi altra cosa digitale che consideravi del tutto inutile, fino a quando non si è deciso di attribuirle una certa importanza».
Il fatto di vivere o meno in una simulazione può essere, inoltre, osservato secondo un altro punto di vista, ossia il realismo che caratterizza le realtà del metaverso, un aspetto strettamente dipendente dal livello di evoluzione delle tecnologie che servono per creare dei mondi virtuali equivalenti al vero: «Esistono – spiega Chalmers – differenti livelli di simulazione. Abbiamo la simulazione perfetta, in cui la realtà virtuale non è distinguibile dal mondo fisico, e la simulazione imperfetta, con i suoi glitch e i suoi difetti, quella che ti accorgi subito che non è realistica». Per ridurre il gap qualitativo e percettivo tra il reale e il virtuale, è dunque essenziale investire nella ricerca e nell’applicazione delle tecnologie in grado di creare le realtà del metaverso.
L’evoluzione tecnologica delle realtà del metaverso
Nel corso della conversazione tra Illing e Chalmers sul podcast di Vox, a un certo punto si arriva alla domanda di rito, nemmeno quotata: quanto tempo servirà perché la realtà virtuale risulti indistinguibile rispetto alla realtà fisica? «Non siamo sicuramente vicini a questo momento – afferma Chalmers – nel giro di pochi anni la VR raggiungerà un buon livello, ma per parlare davvero di realismo potrebbero servire almeno vent’anni».
Tuttavia, la cosa inevitabilmente si complica: «Se parliamo di una realtà virtuale percepita allo stesso modo in cui attualmente percepiamo il mondo fisico, non è sufficiente simulare alla perfezione la visione e il sonoro, occorre soddisfare tutti i sensi. L’immersione del corpo deve essere completa, nel movimento, nelle sensazioni che proviamo nel mangiare, nel bere, nel fare sesso. […] Questa è una sfida molto più grande di quella che immaginiamo adesso per la realtà virtuale e la realtà aumentata, serviranno probabilmente delle interfacce brain-computer. Per cui potrebbe servire anche un secolo affinché vi sia una totale integrazione».
Le stime di Chalmers in merito al realismo della realtà virtuale coincidono con quelle del professor Donald Greenberg (Cornell University), autentico pioniere della computer grafica che, durante una presentazione pre-pandemica alla View Conference di Torino, se ne uscì con un brillante «VR is still a baby», prospettando un’evoluzione almeno ventennale prima di poter parlare di una qualità audio-visiva realistica, interfacciabile in maniera credibile nelle esperienze degli utenti.
Per quanto riguarda la componente multisensoriale, le realtà del metaverso sono per certi versi ancora una grande incognita e i sistemi HCI (human-computer interface) cui fa riferimento Chalmers sono attualmente al centro della ricerca sulle connessioni neurali incentrate sulle nanotecnologie. Si tratta di un grande sogno, che nella sua evoluzione più avanzata, finora riscontrabile soltanto nell’immaginario sci-fi cyberpunk, potrebbe addirittura consentirci di digitalizzare la coscienza umana.
La vita dopo la morte: un’altra realtà del metaverso?
Il dialogo tra Illing e Chalmers prosegue proprio in questa direzione, arrivando a toccare il punto estremo: la capacità della coscienza di sopravvivere alla morte fisica dell’uomo, magari in forma digitale, in dimensioni del metaverso che oggi ci sono ignote e che la creazione di nuove realtà potrebbe abilitare in tempi anche decisamente remoti da quelli in cui stiamo scrivendo.
In prima battuta, sulla base di una condizione atea, Chalmers si dimostra estremamente scettico: «Credo che quando morirò, cesserò semplicemente di esistere, per cui la mia coscienza uscirà dall’esistenza. […] Dal punto di vista biologico non credo in un’anima non fisica, separabile dal cervello fisico e dal corpo umano quando cessa di vivere».
Riflettendo sul tema, Chalmers diventa possibilista, ammettendo che potrebbero esservi degli spiragli: «Pensando all’ipotesi della simulazione, potremmo effettivamente assumere un’altra posizione riguardo la vita dopo la morte, qualora nella simulazione della realtà ci fosse ad esempio del codice collegato ad altre dimensioni, che non siamo in grado di percepire. […] Questa prospettiva potrebbe aprire a una considerazione naturale della vita dopo la morte, capace di aprire la mente al riguardo anche a chi non è religioso in senso tradizionale».
Ancora una volta, per la stessa ragione per cui non possiamo dimostrare il fatto di vivere in una simulazione, non possiamo affermare con certezza nemmeno il contrario. Dal punto di vista filosofico, secondo Chalmers, la realtà coinciderebbe con l’esistenza stessa e con il significato che la mente vi associa, ma il fatto di non percepire qualcosa non vuol dire che ciò non esista in altre realtà del metaverso, a noi semplicemente ignote.