Verso il metaverso: il successore di Internet, un universo virtuale che non c’è
Condividi l’articolo
Il metaverso è un fenomeno tanto affascinante quanto controverso, come spesso accade quando si carica di eccessive aspettative qualcosa che non è assolutamente pronto per evidenti limiti a livello tecnologico ed esperienziale. Tuttavia, le potenzialità del metaverso sono enormi e molti lo indicano addirittura quale possibile successore di Internet. Cosa rende così interessante questi mondi virtuali 3D?
Il metaverso ha rappresentato un fenomeno mediatico a dir poco dominante nel corso del 2021, quando si è diffusa a macchia d’olio una letteratura volenterosa di spiegarci cosa sia quello che in molti considerano il successore designato di Internet. Da appassionati per definizione di tecnologia e di futuro, non ci siamo fatti pregare e siamo partiti per un viaggio di scoperta che desideriamo condividere con voi.
Tra suggestioni di fantascienza e manifestazioni più che mai concrete, esploreremo questa nuova dimensione in ogni sua forma, cercando di individuare quali siano le tecnologie fondamentali per il suo sviluppo.
Tale elusiva premessa altri non era che un modo gentile per dirvi che non è al momento possibile definire con certezza il metaverso, per il semplice fatto che non esiste.
Tim Sweeney, CEO di Epic Games, è senza dubbio uno dei personaggi più influenti in fatto di tecnologie per il gaming e mondi virtuali in 3D. In più occasioni ha cercando di fare una fotografia dell’attuale situazione, dichiarando che: «È evidente che nessuno di noi sappia di preciso cosa sarà il metaverso. Ci sono varie suggestioni e possiamo coglierne sin d’ora varie parti, ma esistevano già prima che nascessero i social network. Per il resto stiamo assolutamente improvvisando, sperimentando supposizioni […] Credo che il metaverso potrà essere un social media 3D in tempo reale in cui non si scambiano messaggi in maniera asincrona, ma ci si ritrova in un mondo virtuale dove è possibile fare sostanzialmente qualsiasi cosa».
Dal punto di vista fenomenologico, è chiaro che esiste una visione in qualche modo condivisa, che riconosce al metaverso le qualità di un mondo virtuale in 3D analogo o del tutto differente rispetto al mondo reale, dove possiamo immergerci grazie ad un avatar digitale, avvalendosi ad esempio delle tecnologie immersive, come la realtà virtuale e la realtà aumentata.
Si tratta di una visione che ci riporta al 1992, quando lo scrittore Neal Stephenson, nelle pagine del romanzo Snow Crash, ha utilizzato per la prima volta il termine metaverso, per identificare un digital twin del mondo reale, dove le persone grazie alle tecnologie immersive possono interagire tra loro con un avatar personalizzato. Si tratta di un soggetto ormai trito e ritrito nella letteratura e nel cinema di fantascienza, quando ritroviamo la sceneggiatura di un mondo virtuale distopico, dove per le ragioni più disparate i protagonisti ricercano un’esperienza evasiva rispetto al mondo reale. Basti citare Matrix, pillola rossa o pillola blu, o il più recente Ready Player One, con la sua miliardaria caccia al tesoro nel citazionista metaverso di OASIS.
Il segreto del successo del metaverso risiede probabilmente nella sua componente di mistero, capace di sprigionare un’aspettativa enorme in merito alle sue potenzialità. Le suggestioni dell’immaginario sci-fi non fanno altro che alimentare questo sentimento.
Ora si tratta però di farlo, il metaverso, e l’impegno che si prospetta è tutt’altro che trascurabile, come giustamente rileva Tim Sweeney: «A differenza di quello che vediamo in certi film, il metaverso non può essere il risultato di una sola mega corporation. Servirà il lavoro creativo di milioni di persone, per creare piattaforme, contenuti, codice, design e tutto ciò che sarà necessario per generare valore attraverso le esperienze che gli utenti potranno vivere nel metaverso».
Il metaverso di oggi: un business miliardario fatto di giochi online, concerti virtuali, collezioni fashion e NFT blockchain
Non siamo riusciti a trovare una definizione di metaverso in grado di convincerci, ma non ci perdiamo certamente d’animo! Cambieremo il nostro approccio, cercando di percorrere un altro percorso di indagine, per capire quali sono le caratteristiche che appartengono a quei contesti che attualmente vediamo categorizzati quali metaversi in ambito commerciale.
Nel magico mondo della rete, il termine metaverso viene associato con estrema frequenza ad una grande varietà di situazioni, in cui siano presenti alcune delle seguenti caratteristiche, come rilevato da The Verge in varie circostanze:
mondi virtuali in 3D e avatar personalizzati
varietà di interazioni sociali “person-to-person” meno competitive rispetto al tradizionale gaming multiplayer
presenza di logiche “user generated content”, dove gli utenti possono creare quei contenuti originali che popolano i mondi virtuali, come gli accessori per personalizzare gli avatar, le costruzioni, l’interior design, nonché l’organizzazione di eventi
sistemi di monetizzazione per gli user generated content
aziende che producono contenuti ed eventi brandizzati per promuovere i loro prodotti presso le community dei mondi virtuali
esperienze immersive, create utilizzando tecnologie di realtà virtuale e realtà aumentata
Sulla base di tali prerequisiti, è possibile categorizzare differenti tipologie di metaversi. Di seguito, un elenco dei più diffusi.
Life simulator
Mondi virtuali in 3D del tutto alternativi rispetto al mondo reale, dove è possibile costruire la propria sede, la propria casa, vestire i propri avatare tutto ciò che è necessario per garantire le interazioni sociali di una community online.
Il caso più celebre è tuttora rappresentato da Second Life (2003) che ha vissuto i propri anni d’oro negli anni 2000, quando milioni di giocatori hanno popolato il suo mondo virtuale generando una fiorente economia relativa ai contenuti personalizzati. La popolarità di Second Life ha attirato moltissimi brand, che hanno implementato un’attività di marketing con il placement dei loro prodotti e l’organizzazione di eventi in-game.
Giochi multiplayer
A differenza della connotazione classica dei multiplayer competitivi, alcuni giochi puntano sulla formazione di una community all’interno della piattaforma, dove non trova spazio soltanto il gioco, ma anche varie forme di interazione sociale tra i partecipanti. L’esempio più rilevante è costituito da Fortnite, il popolare battle royale di Epic Games, la cui community rappresenta ormai un punto di riferimento per eventi in game sponsorizzati da vari brand.
Metaverso e piattaforme gaming
Differiscono dai comuni giochi in multiplayer in quanto consentono una libertà pressoché totale nel generare contenuti, dando modo agli utenti di condividere le loro creazioni.
Le piattaforme più celebri in tal senso sono Minecraft e Roblox, che ha di recente ottenuto una capitalizzazione prossima ai 50 miliardi di dollari. La sua community è caratterizzata da un pubblico compreso tra gli 8 e i 13 anni. Il target di giovanissimi rende Roblox assolutamente interessante per vari brand, che attivano campagne di marketing all’interno della sua piattaforma.
Un brand come Gucci ha annunciato di voler abbandonare il calendario tradizionale della moda a prescindere dalla pandemia, per puntare esclusivamente sui propri eventi, in cui si identifica maggiormente. L’azienda fiorentina si è dunque concentrata nella produzione di eventi virtuali, facendo inoltre ricorso agli NFT come nuovo canale di distribuzione dei propri prodotti in versione digitale.
Un esempio di NFT in ambito fashion è costituito dagli abiti digitali di The Fabricant, giovane azienda di fashion designer olandesi, autentici pionieri di un movimento che ha ben presto coinvolto anche i principali brand di prodotto, che utilizzano gli NFT per generare nuove opportunità di business in ambienti virtuali che prima non esistevano. Massima resa, minimo sforzo.
Metaverso e social VR
Rispetto ai tradizionali social media, i social VR utilizzano la realtà virtuale per garantire un’esperienza molto più immersiva. La loro diffusione è al momento alquanto limitata per via del carattere emergente di questa giovane tecnologia ma sono già disponibili realtà come VR Chat e Altspace VR, di recente acquisito e rilanciato da Microsoft, nonché Mozilla Hubs, il principale progetto open source per ambienti in multipresenza.
Il fatto di essere distribuiti via web limita attualmente questi ambienti 3D dal punto di vista grafico, ma offre una dimostrazione pratica di quello che è una dimensione di metaverso realmente immersiva.
I metaversi sono davvero dei metaversi? La riscoperta e l’evoluzione delle community digitali
Che si parli di un gioco in multiplayer o di un palco in 3D dove va in scena un concerto virtuale, si tratta di applicazioni che mirano a trattenere gli utenti online per il maggior tempo possibile, ai fini di vendere contenuti. Ma dove sarebbe esattamente l’innovazione? Per rispondere in maniera oggettiva a questa domanda, è opportuno contestualizzare in maniera appropriata l’attuale scenario evolutivo.
Se è vero che i mondi virtuali 3D che non si avvalgono di tecnologie immersive esistono da tempo, non bisogna trascurare che sono trascorsi molti anni dalla nascita della loro attività. Gli stessi anni in cui abbiamo assistito a una profonda trasformazione, resa ancor più evidente dalla pandemia Covid-19. Si è dunque creata una sorta di nuovo hype cycle, che ha comportato in certi casi una profonda revisione delle esperienze già esistenti.
Fortnite costituisce un caso esemplare. Nato come tech demo per Unreal Engine 4, è rimasto nel limbo per anni, fino a quanto i suoi sviluppatori, sull’onda del successo di PUBG, hanno deciso di trasformarlo in un battle royale. La capacità di creare una community grazie alle esperienze collaterali alle fasi di gioco ha fatto il resto.
L’evoluzione esperienziale di un prodotto nato per altri scopi ha fatto di Fortnite un fenomeno epocale, capace di generare un business miliardario in tempi estremamente brevi. Era ciò che la community voleva.
Attualmente vi è un forte interesse ma un’implementazione ancora piuttosto marginale delle tecnologie immersive, la cui natura è assolutamente perfetta per consentire agli utenti di immergersi nei mondi virtuali 3D. La maturazione e la diffusione della realtà virtuale e della realtà aumentata consentiranno di rendere ancora più coinvolgenti le esperienze in multipresenza online nei mondi distopici.
Il metaverso di Mark Zuckerberg: il social post web, tra innovazione ed etica
Mark Zuckerberg non ha mai fatto mistero di voler creare un metaverso per portare a bordo miliardi di persone, le stesse che attualmente sono iscritte a Facebook, Instagram e Whatsapp, in modo da garantire una continuità al suo business nella generazione esperienziale che succederà al web. I primi tentativi di metaverso sono apparsi con Facebook Horizon, un social VR attualmente in versione beta, e nella sua declinazione Horizon Workrooms,destinata ad ambienti collaborativi per il lavoro ibrido in realtà virtuale.
La strada da percorrere è ancora molto lunga e Zuckerberg non lo ha mai nascosto, promettendo di voler far diventare Facebook una vera e propria metaverse company e che per farlo servirà tempo e soprattutto ingenti risorse, oltre al fatto che il metaverso dovrà essere di tutti, in quanto sarebbe impensabile per una sola corporation sostenere un simile sforzo innovativo. Una posizione per certi versi ambigua, ma più che comprensibile nel proseguo della lettura.
Gli investimenti della corporation che fa capo a Mark Zuckerberg si manifestano nei Facebook Reality Labs e nel brand Oculus, acquisizione miliardaria nell’ambito della realtà virtuale consumer. Soltanto nel 2021 Facebook inc. ha impegnato nella ricerca sulla VR e sul metaverso circa dieci miliardi di dollari, ed ha recentemente dichiarato di voler ampliare il proprio perimetro di ricerca al vecchio continente, impegnandosi ad assumere ben 10mila ricercatori in Europa.
Si tratta di una mossa strategicamente molto ben congeniata, che in un colpo solo consente a Zuckerberg di avvalersi del know-how delle università europee, di conoscere direttamente un mercato profondamente differente rispetto a quello americano e di attirare nuove fonti a livello di investitori.
Se dal punto di vista industriale e imprenditoriale la scommessa di Zuckerberg appare ambiziosa e in grado di generare ricadute molto positive sul fronte occupazionale, in un’analisi estremamente lucida, pubblicata sulle pagine del Washington Post, Joan Donovan ha dichiarato:
«Più a lungo riesci a tenere in ballo una tecnologia che sembra nuova e di tendenza, più a lungo riesci ad evitare di seguire le regole. In attesa che il governo riesca a organizzarsi legiferando in maniera opportuna, puoi andare avanti anni e anni difendendoti dalle accuse, ottenendo nel frattempo ricavi enormi»
L’obiettivo sarebbe quello di creare un nuovo far west, dove l’assenza di regole fa valere la legge del più forte. Un gioco che i big tech conoscono del resto molto bene.
Joan Donovan è una ricercatrice impegnata sul fronte della disinformazione e della manipolazione attraverso i social media. Facebook è puntualmente nel mirino dei garanti per la privacy e degli enti antitrust delle varie nazioni, in particolare di quelle europee, come confermano le frequenti sanzioni, tuttavia poco rilevanti in confronto al volume di affari che una società come quella di Zuckerberg è in grado di generare. Tuttavia, a furia di tirarla, la corda rischia di spezzarsi, sia dal punto di vista reputazionale che per le conseguenze politiche che possono derivare da certi comportamenti.
Dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, di recente ben 17 tra i principali media americani hanno iniziato a pubblicare i Facebook Papers, un report di oltre 10.000 pagine raccolto in prevalenza da ex dipendenti per denunciare numerosi fatti relativi a comportamenti dannosi per la collettività, che l’azienda non avrebbe impedito per non subire un danno economico.
Secondo le accuse, pur essendo informata, Facebook avrebbe ignorato il fatto che in India fossero in atto delle campagne di odio religioso, che sono successivamente degenerate in violenze tali da provocare oltre 50 morti. Un episodio particolarmente grave riguarderebbe direttamente Zuckerberg, che avrebbe acconsentito ad una richiesta del governo vietnamita di censurare le comunicazioni tra alcuni gruppi di attivisti, per non rischiare di essere estromesso dal mercato del sudest asiatico.
Se in prima battuta tali episodi potrebbero apparire estranei rispetto al tema principale del presente servizio, dobbiamo sforzarci di capire che in un ipotetico metaverso, molto più coinvolgente rispetto ai social attuali, eventi come quelli appena citati potrebbero avere conseguenze ancora più devastanti.
Se da un lato è assolutamente doveroso sostenere l’innovazione e la ricerca di nuove tecnologie, più che legittima per un soggetto privato, è assolutamente necessario delineare un perimetro di azione etica e normativa per evitare che la matrice speculativa possa far cadere le persone in una vera e propria trappola, in cui a prevalere ben difficilmente sarebbe l’interesse collettivo.
Le tecnologie del metaverso: Digital Twin 3D, AR Cloud e Realtà Virtuale
A differenza dei mondi distopici, che caratterizzano un’evasione rispetto alla realtà, il metaverso basato sul mondo reale comporta la possibilità di creare simulazioni e interazioni con la realtà che ci circonda, con effetti dirompenti anche nel mondo enterprise, andando oltre la manifestazione ludica e sociale delle prime esperienze che abbiamo analizzato.
I componenti indispensabili per abilitare tale paradigma del metaverso risiedono fondamentalmente in tre tecnologie 3D, tuttora ben note ma al momento lontane da quel livello di maturità che si richiederebbe per creare mondi virtuali dotati dello stesso realismo di quello in cui siamo soliti vivere le nostre esperienze.
Digital Twin 3D
Si tratta di una tecnologia 3D in grado di creare il modello digitale di un’entità presente nel mondo reale, per interfacciarla mediante layer informativi, sensori, sistemi IoT. Un digital twin consente di acquisire informazioni in tempo reale dal modello fisico per interagire con esso attraverso sistemi digitali. Si tratta di una tecnologia che gode già di una buona diffusione nella scala del singolo oggetto/manufatto, come dimostrano i casi di applicazione nell’industria 4.0, ma ancora alquanto acerba su scala urbana e territoriale, soprattutto per gli attuali limiti a livello computazionale.
Quando Sweeney afferma che per creare i contenuti del metaverso servirà il lavoro di milioni di persone, si riferisce anche al fatto che replicare in 3D il mondo reale necessita di uno sforzo colossale in cui tecnica e creatività dovrebbero inoltre convergere in protocolli e posizioni condivise, capaci di garantire un formato aperto ed interoperabile per creare i layer del mondo virtuale.
Fino a quando ogni big tech svilupperà il proprio sistema proprietario, si pensi a Google Earth o a Microsoft Bing, non sarà semplice trovare un ambiente di riferimento. Allo stato attuale, progetti open source come OpenStreetMap non godono di un livello di implementazione tale da poter garantire una soluzione in questo senso.
Quando si parla di un digital twin del mondo reale è frequente imbattersi nel termine Mirrorworld, il mondo specchio che trova sempre più frequentemente nel cloud le risorse computazionali e le tecnologie necessarie per generare e visualizzare i miliardi di poligoni che i modelli 3D realistici inevitabilmente comportano una volta che gli environment raggiungono determinate dimensioni.
Per agevolare tale compito, gli attuali motori grafici consentono di scalare il livello di dettaglio (LoD) delle geometrie in funzione della distanza dal punto di osservazione ed il cloud consente di sfruttare tecniche di intelligenza artificiale per riconoscere il perimetro degli oggetti sui rilievi fotogrammetrici per accelerare la produzione dei modelli 3D [per approfondimenti sull’AI, consigliamo la lettura della nostra guida all’intelligenza artificiale che spiega cos’è, a cosa serve e quali sono gli esempi applicativi – ndr].
Un esempio di mirrorworld molto avanzato è costituito da Flight Simulator, che sfrutta un ampio ventaglio di tecnologie cloud di Microsoft Azure e Microsoft Bing per consentire ai piloti virtuali di volare su scenari incredibilmente realistici. L’esperienza ludica sviluppata dai francesi di Asobo Studios costituirà un progetto pilota per applicazioni in ambito enterprise.
AR Cloud
Altrimenti nota come spatial computing, si tratta di una tecnologia di realtà aumentata implementata in cloud, capace di aggiungere layer informativi al mondo reale. La particolarità della computazione spaziale risiede nel fatto che i contenuti generati digitalmente sono persistenti, in quanto i dati sono tracciati rispetto all’ambiente fisico ed archiviati in cloud, per risultare sempre accessibili da parte di tutti gli utenti coinvolti nel metaverso.
In altri termini, se creo un contenuto 3D come una teiera e grazie ad un’applicazione AR Cloud la posiziono su un tavolo reale, questa rimane lì anche quando concludo una sessione di lavoro. Nel momento in cui attivo una nuova sessione, ritroverò la mia teiera in realtà aumentata esattamente nel punto in cui l’ho lasciata, a meno che un altro utente che condivide lo stesso progetto non abbia nel frattempo provveduto a spostarla. Più facile a farsi che a dirsi.
Ad oggi esistono già alcune applicazioni AR Cloud nell’ambito delle piattaforme di collaborazione che consentono sia di svolgere riunioni in multipresenza, che di effettuare delle sessioni di revisione e di design condiviso tra più utenti. La principale caratteristica di tali ambienti è la loro natura ibrida, che consente di utilizzare simultaneamente strumenti tradizionali, di realtà aumentata e di realtà virtuale. Alcuni utenti possono lavorare in condizioni di prossimità fisica, altri connessi da altre posizioni, ma tutti condividono lo stesso ambiente virtuale. Lo strumento di collaborazione VR nativo più noto è al momento Spatial, ma attualmente sono in fase di sviluppo dei moduli immersivi per le piattaforme più utilizzate a livello globale, come Teams, Zoom e Webex.
I limiti delle tecnologie AR cloud risiedono soprattutto nel fatto che i dispositivi in realtà aumentata sono ancora piuttosto limitati dal punto di vista computazionale e al tempo stesso insistono notevoli latenze nel caso in cui si voglia accedere alle risorse computazionali in cloud. La diffusione di connessioni veloci e a banda larga come il 5G costituisce infatti la principale condizione abilitante per le applicazioni basate sullo spatial computing.
La realtà virtuale è una tecnologia che si sta diffondendo abbastanza rapidamente sia a livello enterprise che a livello consumer, anche se siamo distanti dal momento in cui potremo effettivamente considerarla una tecnologia diffusa a livello massivo.
Oculus rappresenta al momento l’ecosistema VR più diffuso a livello consumer, grazie al successo commerciale del visore Quest 2, ma non è ancora arrivata la cosiddetta killer app, quell’applicazione in grado di far esplodere la diffusione di una determinata tecnologia. Al momento la VR è diffusa un po’ in tutti i contesti anche se i numeri più significativi vengono fatti registrare in ambito gaming, come conferma il successo di Playstation VR.
In ambito enterprise la VR è molto diffusa nel contesto dell’industria 4.0, per effettuare simulazioni senza dover ricorrere alla disponibilità fisica degli impianti e dei manufatti, così come di provare situazioni rischiose senza mettere in pericolo gli operatori o causare un fermo di produzione sulle linee. Si tratta di aspetti che rendono la realtà virtuale particolarmente apprezzata per le applicazioni in ambito training.
Uno, nessuno, centomila metaversi: il futuro necessita di uno standard di riferimento
Mentre scriviamo queste righe, appare abbastanza facile immaginare un metaverso in una delle sue molteplici manifestazioni, ma risulta davvero difficile cercare di delineare dei presupposti realistici in cui riconoscerlo come un fenomeno simile ad Internet, figuriamoci a pensarlo quale il suo successore.
Ad oggi il metaverso è costituito da una serie di esperienze interessanti per generare nuove opportunità di business, ma da qui a rivoluzionare per sempre il modo di comunicare ce ne passa. Quale sarà dunque lo scenario che potremo attenderci almeno nel futuro prossimo?
Spiegare perché un unico metaverso di riferimento non esiste è molto più semplice che provare a spiegare cosa potrebbe essere. Ci sono molte ragioni per cui al momento non è fattibile, a partire dall’immaturità delle tecnologie abilitanti, che limita il campo di indagine alle ipotesi e alle suggestioni, con l’impressione che sarà così ancora per diverso tempo.
Quando leggiamo i report che ci informano che nel 2025 il business del metaverso sarà di x o di y miliardi di dollari, sappiamo benissimo che si riferiscono alla via attualmente intrapresa, costituita da tanti singoli metaversi brandizzati, quei mondi virtuali 3D autonomi dove le aziende troveranno terreno fertile per estendere i loro business grazie alle nuove esperienze digitali. Ad oggi, però, le condizioni per interconnettere la varietà di metaversi appare alquanto nebulosa.
Per creare il metaverso con la emme maiuscola, inteso quale unico multiverso in grado di comprendere la moltitudine dei singoli metaversi, occorrerebbe innanzitutto definire un consorzio comune, come è avvenuto nel 1994 con il W3C per gestire la regolamentazione dei servizi della rete Internet. Un ente super partes, capace di definire standard, protocolli di comunicazione e tutti gli aspetti utili a garantire la corretta interoperabilità dei servizi stessi, consentendo a chiunque di accedere al world wide web.
Che si tratti di pagine web 2D o di mondi virtuali 3D, è indispensabile l’azione di un organismo partecipato dai principali stakeholder pubblici e privati, universalmente riconosciuto, sufficientemente rappresentativo ed autorevole per poter imporre degli standard di riferimento. La strada in tal senso appare ancora molto lunga e di concreto non è stato stabilito ancora nulla. Si dice che il metaverso sarà di tutti, ma nel frattempo ognuno fa la corsa per sviluppare il proprio per cercare una posizione di vantaggio competitivo.
Va inoltre precisato come, rispetto alla formazione del W3C, i tempi siano profondamente mutati. Trent’anni fa era nell’interesse di tutti creare un ambiente che consentisse lo sviluppo dei nuovi business e nessuno poteva immaginare che Internet ci avrebbe portati dove siamo oggi, stravolgendo totalmente i modelli sociali ed economici a livello globale.
Lo slancio pionieristico degli albori del web ha progressivamente lasciato spazio a posizioni di dominio, dove i big tech vantano una posizione di forza che li vede assolutamente interessati a creare nuove piattaforme di business, senza tuttavia rischiare di perdere l’egemonia di cui godono. Sul fronte opposto, i governi partono ancora una volta in ritardo, in quanto la tecnologia corre sempre più veloce rispetto al disegno normativo.
Consapevoli dei rischi e delle opportunità che si presentano, occorrerà trovare sin da subito una condizione di equilibro fondamentale affinché il metaverso diventi per tutti una reale occasione di sviluppo, nonché la manifestazione reale degli scenari distopici fin qui descritti nell’immaginario sci-fi.
L’integrazione di tecnologie avanzate come IoT e AI sta rivoluzionando l’allevamento avicolo, consentendo il monitoraggio in tempo reale della salute dei polli. Grazie a sensori e modelli predittivi, è possibile identificare comportamenti anomali e prevenire la diffusione delle malattie, migliorando la gestione e la sostenibilità degli allevamenti.
Un inedito framework basato su tecniche di deep learning consente la colorazione, la segmentazione e la classificazione virtuale automatizzata delle immagini istologiche acquisite tramite microscopia fotoacustica senza etichetta.
La diagnosi precoce dello spettro autistico è cruciale nel migliorare la qualità di vita dei pazienti. L’impiego delle tecniche di machine learning sta accelerando e rendendo più accurati i processi diagnostici, mentre una ricerca più inclusiva è essenziale per sviluppare trattamenti personalizzati e mirati.