Nati come semplici alter ego virtuali, oggi gli avatar rappresentano molto più di un elemento grafico. L’espressione della nostra identità online coinvolge aspetti cross disciplinari, orientati a una percezione multisensoriale completa e capaci di trasmettere anche il comportamento di una persona nella sua esperienza digitale.

Gli avatar 3D sono entità digitali dotate di una straordinaria varietà tecnologica, utile a simulare nei mondi virtuali la complessità alla base della presenza umana. L’interesse mediatico nei confronti del metaverso e lo scenario eterogeneo che prospetta in termini di esperienze ha reso ancora più nevralgico il fatto di esprimere se stessi nei mondi virtuali.

A differenza della tradizionale esperienza del Web 2.0, non è più sufficiente un nickname. Il metaverso richiede anche la nostra immagine, in un contesto estremamente dinamico e interattivo. Design e tecnologia sono pronti per rispondere con successo a questa sfida?

Avatar 3D: cos’è e perché sarà sempre più importante nell’evoluzione del metaverso

Un avatar 3D è una rappresentazione virtuale di un’identità fisica, in un ambiente digitale. Che si tratti di una persona reale o di un’intelligenza artificiale, come nel caso dei NPC (Not Playable Character) e degli assistenti virtuali, l’avatar rende essenzialmente possibili due operazioni cruciali: il riconoscimento e l’interazione tra gli utenti che popolano i mondi virtuali che da qualche tempo vengono assoggettati quali metaversi.

Il termine avatar è divenuto noto al grande pubblico grazie all’omonimo film di James Cameron (2009), anche se era precedentemente utilizzato in ambiti come i videogame, dove i giocatori impersonano un alter ego digitale, controllandolo nell’ambiente virtuale in cui si svolge l’esperienza ludica.

Dal punto di vista etimologico, avatar è un termine in lingua sanscrita, che potremmo tradurre come “colui che discende”, il cui significato si esprime nel concetto di incarnazione. Nella sua accezione originale l’avatar era, infatti, la manifestazione terrena, attraverso sembianze umane, di un vero e proprio Dio.

Nella definizione attualmente più nota, l’avatar si riferisce alla figura attraverso cui è possibile impersonare un’identità digitale e sta acquisendo una notevole popolarità grazie all’esponenziale aumento delle esperienze nei mondi virtuali.

Gli avatar, infatti, fanno parte di un immaginario applicativo decisamente ampio, che coinvolge, oltre ai videogiochi, anche la presenza in mondi virtuali non ludici, come nel caso dei social network e delle piattaforme di collaborazione digitali.

Per riprodurre la presenza di una persona in una dimensione virtuale, l’avatar 3D deve simulare una sintesi digitale di aspetti legati alla figura, alle espressioni, alla voce e a tutti i tratti fondamentali del comportamento, in coerenza con le caratteristiche ambientali del metaverso stesso.

Al tempo stesso, l’avatar si carica della responsabilità di costituire, per molti aspetti, uno strumento di identità digitale, introducendo una seria riflessione sui rischi legati alla sostituzione d persona e ai furti di identità, con la possibile estensione della superficie d’attacco offerta alle frodi informatiche.

Le identità nel metaverso: molti modi di essere se stessi

Quando si sceglie di entrare in un metaverso, è necessario scegliere chi essere in quel metaverso. In un mondo virtuale valgono regole diverse rispetto al mondo reale. In altri termini, in un metaverso non siamo per forza costretti ad essere quelli che siamo nel mondo in cui viviamo tutti i giorni nella nostra controparte fisica.Tale concetto, spesso inconsapevolmente, è già ampiamente noto: pensiamo alla nostra presenza sui social network.

Su Facebook, almeno sul profilo personale, si tende ad avere un comportamento più generalista, condividendo eventualmente anche aspetti relativi alla nostra sfera privata, alle passioni comuni e al tempo libero. Su Linkedin, la tendenza si rivolge verso un approccio più professionale, trattandosi di un canale che viene utilizzato soprattutto per creare relazioni utili a livello lavorativo.

La user experience online, anche inconsciamente, varia il nostro comportamento rispetto all’esperienza quotidiana nel mondo fisico. Ce ne eravamo già accorti nei primi forum di discussione, tuttora degli straordinari strumenti per le community, anche se a livello mainstream sono stati spesso rimpiazzati dalla maggior immediatezza dei social network.

Quante volte abbiamo vissuto o assistito a discussioni con altri utenti, con toni che nel mondo reale difficilmente sarebbero state intraprese? Le relazioni online costituiscono un nodo estremamente delicato da sciogliere.

Nel metaverso il nostro ruolo viene interfacciato attraverso l’avatar 3D che scegliamo di utilizzare e ciò assume una valenza cruciale. In molti frangenti, nel metaverso la prima impressione che si ha di una persona non differisce troppo da quella che si ha nel mondo reale.

Se in un metaverso social incontrassi un avatar 3D raffigurante un uomo adulto di colore, con i rasta e la maglia giamaicana, la mia prima impressione potrebbe corrispondere a quella di trovarmi al cospetto di una persona dal modo di fare particolarmente allegro e spensierato, anche se la controparte reale potrebbe essere una persona totalmente differente, sia nelle caratteristiche fisiche che nel suo comportamento.

La sincerità della figura, salvo rare eccezioni, non costituisce un obbligo, tanto più in contesti fantasy virtuali, dove tuttavia si svolgono interazioni reali, pur mediate da interfacce digitali. L’esigenza di una pluralità espressiva è ben nota agli sviluppatori.

Microsoft, per la sua estensione Mesh for Teams, attesa entro il termine del 2022, prevederà, per ciascun utente, la possibilità di creare ben tre avatar 3D differenti, utilizzabili in varie situazioni nella sua celebre piattaforma di collaborazione.

Nel metaverso non c’è soltanto un’identità da rappresentare a livello visivo. Un avatar 3D veicola anche, se non soprattutto, il comportamento di una persona nel mondo virtuale. Questo aspetto, spesso intangibile, è con ogni probabilità l’elemento più importante quando si analizza la presenza di un utente in uno o più metaversi.

I metaversi sanno essere molto simili ai tradizionali giochi di ruolo, dove gli utenti si costruiscono il proprio personaggio virtuale, nell’immagine e nel comportamento, impersonandolo nell’esperienza ludica.

Alcuni metaversi richiederanno un elevato livello di sincerità, altri lasceranno libero sfogo alla nostra creatività nel provare aspetti della nostra immagine e della nostra personalità che per certi versi non avremmo nemmeno immaginato di possedere.

Stabilire le regole dei metaversi rappresenterà una grande sfida, perché ci porrà di fronte a scenari inediti, i cui effetti possono essere soltanto in parte dedotti dalle tradizionali esperienze online.

Nelle sue varie espressioni, il metaverso si configura come un inedito simulatore comportamentale. Tale aspetto amplierà gli scenari di indagine sugli avatar e sulle identità online sul tavolo degli esperti e dei ricercatori delle scienze umane.

Screenshot dell’applicazione Microsoft Mesh for Teams, che consentirà, a breve, di interagire mediante la propria figura originale o attraverso un avatar 3D, personalizzabile mediante apposito editor (Credit: Microsoft - Fonte: https://news.microsoft.com/innovation-stories/mesh-for-microsoft-teams/).
Applicazioni come Microsoft Mesh for Teams consentiranno, a breve, di interagire mediante la propria figura originale o attraverso un avatar 3D, personalizzabile mediante apposito editor (Credit: Microsoft – Fonte: https://news.microsoft.com/innovation-stories/mesh-for-microsoft-teams/).

Le tipologie di avatar 3D tra concept art, limitazioni tecniche e percezione diffusa

Gli avatar possono assumere varie figurazioni, che vanno dalla modalità pixel 3D tipica di Roblox o Minecraft, alla modalità cartoon attualmente implementata dalla maggior parte dei metaversi. Pochi, anzi pochissimi, i casi di avatar fotorealistici finora utilizzati nei mondi virtuali interattivi.

Per quale motivo assistiamo puntualmente a un avatar non realistico, quando potremmo replicare la nostra identità di maniera fotorealistica? Per rispondere in maniera esaustiva a questa domanda è opportuno considerare la figurazione di un personaggio secondo due punti di vista.

Vincoli tecnologici e concept art dei mondi virtuali

La ragione principale per cui nei metaversi social non abbiamo a che fare con avatar realistici è che i mondi virtuali, se fossero creati in maniera fedele alla realtà, sarebbero troppo esosi in termini di risorse computazionali per applicazioni che devono renderizzare animazioni in tempo reale in ambienti web, in molti casi anche sui dispositivi mobile.

La creazione di mondi e di personaggi 3D per applicazioni web real time rappresenta una continua sfida in termini di ottimizzazione. Per rendere l’idea, la geometria 3D di un personaggio renderizzato in tempo reale in modalità cartoon su VR Chat totalizza circa 10mila poligoni, mentre un attore 3D fotorealistico ad alto dettaglio utilizzato in un film pre-renderizzato può contarne con facilità diversi milioni.

È la ragione per cui, nei contesti interattivi in tempo reale, i personaggi a elevato livello di realismo li ritroviamo soltanto nei videogiochi, applicazioni stand alone desktop, non web, che godono di un livello di libertà assai inferiore rispetto al mondo virtuale di un metaverso social.

Per il resto, è sufficiente dare un’occhiata a quanto avviene nei metaversi come Meta Horizon, Altspace VR e simili, per osservare come gli avatar siano molto semplici e rappresentati addirittura senza gambe, per alleggerire ulteriormente il loro carico poligonale.

In qualsiasi contesto, la concept art di un mondo virtuale mantiene un carattere di coerenza, per cui i personaggi sono disegnati seguendo lo stesso stile figurativo scelto per gli ambienti, e viceversa. Questo vale sia nei mondi virtuali 2D che in quelli 3D, a prescindere dalla tipologia di interazione prevista per una determinata applicazione.

Screenshot dell’applicazione Horizon Worlds, il metaverso social di Meta, in cui gli avatar 3D rappresentano soltanto il busto della figura antropica, con una resa non fotorealistica (Cedit: Meta Quest - Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=02kCEurWkqUready).
Gli avatar 3D di Horizon Worlds, il metaverso social di Meta, rappresentano soltanto il busto della figura antropica, con una resa non fotorealistica (Cedit: Meta Quest – Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=02kCEurWkqUready).

Avatar 3D, percezione e performance nell’interazione

Fermo restando quanto precisato al punto di cui sopra, ad oggi, utilizzando character system 3D come Metahuman, Ziva o Realallusion (Character Creator e iClone) è possibile creare e animare facilmente personaggi molto realistici. Si tratta infatti di framework capaci di guidare end-to-end alla creazione di un digital human realistico senza possedere conoscenze specifiche in fatto di 3D character creation.

La computer grafica, per quanto possa essere di alto livello, tuttavia non basta a produrre una percezione a tutti gli effetti realistica di un personaggio virtuale. È necessario che questi si comporti in maniera realistica, a partire dalla sua capacità di instaurare un dialogo credibile con gli interlocutori che ritrova negli spazi virtuali.

Le aspettative nei confronti di un personaggio realistico sono istintivamente molto elevate. Se non è in grado di comportarsi in maniera altrettanto credibile, si genera una sorta di delusione percettiva, a causa di una sensazione di “not in sync”. Tale condizione genera inevitabilmente un crollo della qualità immersiva dell’esperienza virtuale.

È uno dei motivi per cui i più celebri assistenti virtuali, come Alexa o Siri, nel tempo sono rimasti addirittura depersonalizzati e rappresentati esclusivamente dalla loro voce. La maggior parte dei framework per creare assistenti virtuali 3D intelligenti, come nel caso di Amazon Sumerian, si limitano invece ad una figurazione di tipo cartoon.

Questo rischio percettivo, legato a fattori sia soggettivi che oggettivi, nel caso dell’impiego di avatar non fotorealistici risulta sensibilmente inferiore, in quanto non sussiste il collegamento innato con la condizione di realismo nell’esperienza. A un personaggio rappresentato da un avatar cartoon si tende a perdonare molto di più sia per quanto riguarda i difetti dell’animazione che per le possibili carenze legate alla sua intelligenza artificiale.

L’impiego di avatar a elevato livello di realismo rimane, per il momento, circoscritto ad applicazioni molto specifiche, come gli attori e gli assistenti virtuali, che agiscono nel contesto di applicazioni e ambienti altamente controllati. Ne parleremo nel dettaglio nel corso dei successivi paragrafi.

L’avatar universale, un obiettivo (im)possibile

A prescindere dagli aspetti legati, nello specifico, all’identità digitale, sarebbe indubbiamente comodo godere di una tecnologia che consente l’impiego di uno o più avatar, in più metaversi, grazie a un’unica applicazione. Immaginiamo, a tale scopo, un portafoglio, un wallet di avatar integrabili ovunque. Ad oggi, questa condizione equivale a un miraggio, tuttavia, i buoni propositi non mancano.

Al grido di “One avatar, many worlds to explore”, il brand Ready Player Me si propone di sviluppare una tecnologia standard per implementare in maniera automatica un avatar in più mondi virtuali, opportunamente predisposti per accogliere l’integrazione.

Dopo oltre sette anni di sviluppo, Ready Player Me è riuscita a implementare un sistema di creazione e gestione degli avatar compatibile con le tecnologie dei più diffusi ambienti grafici sul web, oltre a godere del pieno supporto dei principali tool di authoring 3D utilizzati per la creazione di esperienze virtuali, come Unity e Unreal Engine.

Al momento Ready Player Me vanta già alcune integrazioni sia nei social VR come VR Chat o Mozilla Hubs, che in esperienze branded come quelle di recente messe a punto da BMW per X1, in un mondo artistico surreale, e da Adidas Originals per il suo Ozworld.

Chiunque, anche senza disporre di conoscenze in ambito 3D, può facilmente creare il proprio avatar a partire da una semplice foto 2D del proprio volto, personalizzando vari aspetti del personaggio, che attualmente gode di un buon livello di dettaglio, pur non avendo una resa fotorealistica.

Una volta completato il processo creativo, il risultato è un personaggio 3D perfettamente animabile, che può essere esportato su un file (formato compatibile glTF 2.0) e caricato in tutte le applicazioni compatibili.

Ad oggi è difficile stabilire se iniziative come quella promossa da Ready Player Me sapranno imporsi, diventando veri e propri standard interoperabili. Per molti creatori di metaversi, avere a disposizione simili tecnologie, capaci di risolvere nativamente il problema degli avatar nelle loro applicazioni, costituisce ovviamente una vera e propria manna dal cielo.

Al momento risulta, invece, improbabile prevedere che colossi come Meta o Microsoft aprano a tecnologie di avatar prodotte da terzi.

Screenshot dell’applicazione VR Chat, in cui l’avatar è creato grazie alla tecnologia 3D proprietaria di Ready Player Me, a partire dall’immagine 2D della persona reale (Credit: Ready Player Me - Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=6c1m8va0_Fg).
Avatar di VR Chat creato grazie alla tecnologia 3D proprietaria di Ready Player Me, a partire dall’immagine 2D della persona reale (Credit: Ready Player Me – Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=6c1m8va0_Fg).

AI Avatar: le interfacce conversazionali a nostra immagine e somiglianza

Gli avatar 3D possono essere utilizzati in qualsiasi contesto richieda la raffigurazione digitale di una persona, ad esempio quando si vuole implementare un assistente virtuale dotato di capacità cognitive o, nella sua controparte non interattiva, in grado di utilizzare tecniche evolute di comprensione del linguaggio basate sull’intelligenza artificiale.

Un caso estremamente utile per rendersi conto di queste potenzialità è costituito da Synthesia, una suite AI based che consente di automatizzare la creazione di video con funzionalità text to speech interpretati da avatar fotorealistici.

Uno strumento di questo genere risulta utile in molti frangenti, che spaziano dalla formazione generica alle istruzioni di prodotto, oltre a risolvere molte esigenze legate alla comunicazione interna in azienda.

Synthesia mette a disposizione una serie di template, rappresentati dalla digitalizzazione di attori professionisti e consente al tempo stesso di creare avatar personalizzati fotorealistici, mediante un servizio esclusivo, svolto direttamente dallo staff. Gli attori virtuali sono capaci di comunicare in oltre 60 lingue, con voci maschili e femminili. Apprezzabili i risultati a livello di sincronizzazione labiale nell’animazione (lip sync).

Uno dei casi d’uso più celebri prodotti dall’azienda londinese è stata la creazione del digital human di David Beckham per la campagna benefica Malaria Must Die, diretta da Ridley Scott, in cui l’avatar della star britannica recita automaticamente in nove differenti lingue.

Il trailer illustra il processo fondamentale per la creazione degli AI Avatar di Synthesia

L’economia digitale degli avatar: il mercato della personalizzazione

Abbiamo visto come un avatar 3D sia destinato a caratterizzare sempre più la nostra immagine nel metaverso. Se gli avatar di default, click and go, possono essere utili per soddisfare le esigenze dei più pigri o provare al volo un’applicazione, lo standard partecipativo medio richiederà una crescente attenzione ai dettagli, con la possibilità di personalizzarne ogni aspetto.

Non si tratta certamente di concetti inediti. Nel gaming, il mercato delle virtual skin dei personaggi costituisce una delle principali fonti di approvvigionamento per l’industria videoludica. Lo stesso Second Life già negli anni duemila aveva generato un business decisamente importante per la personalizzazione del proprio avatar in quello che ha costituito con ogni probabilità il più celebre metaverso ante litteram.

Oggi, l’asticella in termini di aspettative si è tuttavia alzata, così come le possibilità di generare business. Grazie a nuove dinamiche economiche, come la creazione di asset univoci grazie alla tecnologia NFT, il legittimo proprietario può avere il possesso esclusivo del bene, indipendentemente dal metaverso che ospita l’avatar.

L’esigenza di vestire il proprio avatar nel metaverso consentirà il proliferare della creazione di nuovi contenuti ad hoc. Molti, a partire dai brand tradizionali, ripercorreranno le orme dei fashion designer digital native, come The Fabricant o DressX, che già in tempi non sospetti disegnavano abiti e accessori specifici per le identità virtuali.

L’ecosistema creativo del digital fashion per gli avatar 3D avrà varie manifestazioni, che consentiranno anche un florido mercato per gli user generated content, attraverso la creazione di digital skin e digital fashion item nei metaversi proprietari.

Avatar 3D, privacy e sicurezza

Il tema degli avatar quale rappresentazione dell’identità digitale di una persona ci riconduce a un aspetto già attuale, che prescinde dal fatto di partecipare con un alter ego tridimensionale a un’esperienza online. Temi quali privacy e sicurezza dei dati si legano infatti a moltissime implicazioni di carattere normativo che coinvolgono la maggior parte delle esperienze digitali. Il metaverso non costituisce in tal senso un’eccezione.

Per quanto riguarda i rischi specifici, il furto di identità è una delle minacce più diffuse e semplici da implementare per i truffatori per tentare frodi o attuare pratiche di social engineering. Riprodurre un avatar riconducibile ad un’altra persona costituisce un processo piuttosto elementare e rende possibile impersonare in maniera ingannevole un’identità altrui per trarre vantaggi di natura più o meno lecita.

Il concetto di riconoscimento dell’identità digitale nelle procedure di autenticazione online, che nel contesto tradizionale ha visto nascere sistemi come lo SPID e la carta d’identità elettronica (CIE), dovrebbe essere pertanto esteso anche agli avatar, quale ulteriore livello di protezione nei confronti di un possibile furto di identità o di una impersonazione illecita.

Ma come è possibile proteggere l’immagine, quando tra miliardi di avatar nella rete ve ne saranno moltissimi visivamente simili, se non identici tra loro? Puntare semplicemente sui pixel potrebbe rivelarsi una battaglia persa in partenza. Una possibile soluzione, implementabile su larga scala, risiede nel rendere univoco l’asset digitale, mediante sistemi come gli NFT (Not Fungible Token), basati sulla tecnologia blockchain, già diffusi in molte applicazioni.

La combinazione tra il certificato digitale dell’avatar e quello del suo utente può dare luogo a un sistema di protezione multifattoriale, che rende ulteriormente robusta l’associazione tra l’identità della persona fisica e la sua rappresentazione figurativa nel metaverso.

Scritto da:

Francesco La Trofa

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin