Immersione e presenza. Cosa sono? Perché sono fondamentali nello sviluppo delle esperienze in realtà virtuale e metaverso? Dalla teoria alla pratica, andiamo alla scoperta di un percorso di sviluppo che coinvolge, oltre agli aspetti puramente tecnologici, il contributo cognitivo delle neuroscienze e i principi fondamentali del UX design

TAKEAWAY

  • Le esperienze in realtà virtuale si basano sui concetti teorici di immersione e presenza, due aspetti complementari che consentono di coinvolgere l’utente in mondi virtuali realistici e credibili nel loro funzionamento
  • I metaversi sociali si basano sul concetto di multipresenza, che vede la presenza simultanea di più persone nello stesso spazio virtuale, rappresentate dal loro avatar 3D
  • La realtà virtuale è una tecnologia dal grande potenziale, con enormi margini di crescita, sia dal punto di vista computazionale che esperienziale. Il suo sviluppo costituisce una sfida che ci accompagnerà per molti anni e consentirà di migliorare a livello qualitativo la presenza in realtà virtuale

Per comprendere in maniera efficace una tecnologia come la realtà virtuale e il suo contributo nella costruzione dei mondi virtuali del metaverso, risulta fondamentale soffermarsi sui concetti di immersione e presenza, complementari alla percezione multisensoriale nei vari contesti in cui si manifestano.

La letteratura scientifica, relativa alle aree di ricerca della neuroscienza e della comunicazione, si arricchisce quotidianamente di importanti contributi, che tendono a unificare entrambi gli elementi nella presenza della realtà virtuale. Si tratta di una connotazione assolutamente condivisibile, che eredita ed approfondisce la portata degli studi di pionieri come Mel Slater, Jonathan Steuer e Thomas B. Sheridan, attivi sul tema già negli anni ’90, quelli in cui Paul Milgram e Furio Kishino definivano il continuum delle realtà, su cui si basa l’attuale paradigma delle tecnologie immersive.

Per facilitare la comprensione del fenomeno, scinderemo in prima istanza i concetti di immersione e presenza, in modo da giustificare la loro compresenza nell’esperienza immersiva. Molto spesso si tende a identificare nel realismo la principale qualità di un contenuto multimediale. L’obiettivo da raggiungere è tuttavia estremamente più complesso, sia dal punto di vista strettamente tecnologico, che per quanto concerne gli aspetti di design. Vediamo il perché.

Realtà virtuale e metaverso: gli effetti percettivi (immersione e presenza) delle tecnologie immersive

Volendo descrivere, nel contesto della realtà virtuale, il concetto di immersione, potremmo legarlo alla sensazione di ritrovarsi all’interno di un ambiente virtuale grazie alla sua qualità intrinseca. Il senso di trasporto generato nell’esperienza immersiva è tanto più efficace in funzione della capacità del cervello di immedesimarsi nella situazione in cui viene proiettato dalla percezione sensoriale.

Tale condizione risulta infatti condizionata dalla qualità tecnica impiegata e dal coinvolgimento multisensoriale che ne deriva. Sulla base di questa premessa, squisitamente teorica, l’immersione perfetta sarebbe ipotizzabile nel caso in cui la tecnologia fosse in grado di generare un’esperienza digitale assolutamente identica al vero, con la riproduzione di immagini, suoni e feedback tattili sintetici percepiti in maniera non distinguibile da quelli reali.

La presenza, almeno a priori, non risulta strettamente legata ad aspetti di natura tecnologica, in quanto corrisponde alla sensazione di trovarsi in un ambiente a prescindere dal fatto che sia reale o virtuale. La dimostrazione pratica di questo concetto possiamo ritrovarla ad esempio durante la lettura di un testo particolarmente efficace nel descriverci ogni dettaglio di uno spazio e di un evento, al punto da farci immedesimare perfettamente nella situazione.

Anche senza il supporto di alcun contenuto visuale, le semplici parole possono stimolare l’immaginazione al punto da ricreare il tutto nella nostra mente. La presenza assume quindi una valenza puramente soggettiva e prescinde dall’immersione, che si qualifica per aspetti di natura prevalentemente oggettiva, di carattere tecnologico.

Quando si contestualizza la presenza nella VR, questa esprime il livello di coinvolgimento nell’esperienza virtuale derivante dalla sensazione del cervello umano di trovarsi immerso in un ambiente sintetico. Il fatto che in VR e nei mondi virtuali del metaverso la dimensione digitale tenda a sostituirsi integralmente a quella reale spiega il legame che vede nell’immersione una componente necessaria per garantire un adeguato livello di presenza.

Quando si progetta un mondo virtuale, immersione e presenza risultano estremamente utili per controllare a livello qualitativo l’esperienza dell’utente, indirizzando per molti aspetti il processo creativo, soprattutto in questa fase storica, dove a livello di UI/UX mancano ancora degli standard di riferimento. Ciò che in altri contesti è ormai consolidato, si pensi agli input method a mouse e tastiera per il computer o le interfacce touchscreen per i dispositivi mobili, nel caso della realtà virtuale è ancora totalmente da definire.

Multipresenza: la presenza sociale in realtà virtuale e metaverso

Nella sua connotazione teorica, la presenza nella realtà virtuale si distingue in varie categorie, tra cui la presenza spaziale, la copresenza, la telepresenza, la presenza personale, la presenza ambientale e la presenza sociale. Ci soffermeremo su quest’ultima, in particolare per la sua correlazione con la multipresenza, elemento fondamentale dei mondi virtuali del metaverso.

Le applicazioni social VR consentono di condividere uno spazio virtuale con altri utenti, reali o virtuali che siano, identificati da un avatar 3D. Questa condizione è stata connotata per la prima volta quasi vent’anni fa, quando William R. Sherman, nel suo Understanding Virtual Reality: Interface, Application and Design (William Kauffman, 2003), definì la presenza di più persone nel medesimo ambiente virtuale come ambiente collaborativo della VR.

Le applicazioni in multipresenza rappresentano un potenziale enorme per il metaverso, soprattutto nella sua prospettiva più ambiziosa, una dimensione post web in cui le persone avranno a disposizione tutti gli strumenti necessari per interagire all’interno di autentici spazi virtuali, in maniera estremamente più coinvolgente rispetto a quanto avviene ora nelle web app.

I concetti descritti sono già rodati in ambiti come il gaming, dove da moltissimi anni il multiplayer rappresenta una componente dominante del business, ma in una condizione non immersiva come quella della realtà virtuale, tecnologia capace di aumentare in maniera esponenziale il livello di coinvolgimento nell’esperienza condivisa nei mondi virtuali.

Nel quadro evolutivo del metaverso, ci attende un lungo percorso di maturazione tecnologica ed esperienziale, in cui rientra sin d’ora a pieno titolo anche la realtà aumentata. La presenza risulta particolarmente enfatizzata nella condizione interamente digitale della realtà virtuale, ma gli stessi concetti possono essere estesi alla condizione ibrida di fusione tra mondo reale e mondo virtuale, che coincide con la prima definizione del metaverso.

Oltre il realismo: l’evoluzione tecnologica di realtà virtuale e metaverso

La presenza nella realtà virtuale è senza dubbio una questione di realismo, ma non è soltanto questo. È soprattutto una questione di credibilità dell’esperienza. Questo vale soprattutto nella condizione totalmente distopica, in cui il mondo virtuale sostituisce del tutto la percezione del mondo fisico.

Un mondo virtuale gode di regole proprie, che devono rivelarsi del tutto coerenti, anche in un contesto fantasy, visivamente distante al realismo a cui siamo abituati. È sufficiente un solo dettaglio fuori posto per far crollare la credibilità dell’insieme.

Immaginiamo di indossare un visore VR e catapultarci in un’esperienza a tema Star Wars. Basterebbe inserire nella scena un solo personaggio del tutto avulso al contesto, preso ad esempio dagli Avengers, per far crollare il livello di presenza. Non sarebbe credibile. Oltre agli aspetti contenutistici, avremmo una simile sensazione di smarrimento qualora ci trovassimo al cospetto di un oggetto fuori scala, di una illuminazione concettualmente errata, a scelte cromatiche basate su palette non coordinate o ad una scadente ottimizzazione della scena in 3d real time.

Dal punto di vista puramente tecnologico, ricollegandoci al concetto di immersione, la VR rappresenta un benchmark estremamente severo. Una visione binoculare fluida richiede un frame rate di almeno 60 fps (frame per second), 90 fps nella condizione ottimale. Si tratta di valori sensibilmente più elevati rispetto all’esperienza video flat tradizionale, che vede lo standard di riferimento in 30 fps. Un esperienza “scattosa” comprometterebbe inevitabilmente il senso di presenza, oltre a disincentivare il suo proseguimento.

In ambito tradizionale, la computer grafica ha ormai raggiunto l’obiettivo del fotorealismo e si avvia a farlo anche in tempo reale, come dimostrano le più recenti demo di Unreal Engine 5 o Unity, i più diffusi motori 3D real time, utilizzati ormai per le applicazioni più svariate, superando i confini del mondo gaming, in cui sono nate queste tecnologie.

Enemies, progetto di sviluppo interno di Unity realizzato interamente in computer grafica, consente di apprezzare il livello di realismo ottenibile attualmente in 3D real time non immersivo.

Per raggiungere certi risultati in realtà virtuale sarà necessario attendere ancora diversi anni. L’hardware attuale, vincolato dalla sua portabilità, presenta limiti computazionali e di latenza che richiederanno diverse generazioni prima di essere colmati in funzione del fotorealismo. Secondo varie stime previsionali dell’industria, entro dieci anni dovrebbero arrivare i primi risultati confortanti a livello puramente grafico, mentre per sviluppare interfacce multisensoriali realistiche, comprensive di sistemi di feedback tattile più ergonomiche di Robocop, i tempi saranno certamente più lunghi.

Non dobbiamo infatti dimenticare che un’esperienza immersiva che possa ritenersi completa è assolutamente multisensoriale. Le componenti visiva e sonora, per quanto limitate in vari aspetti, appaiono già sufficientemente credibili. Lo stesso non si può dire per i restanti tre sensi.

I sistemi tattili presentano al momento alcuni tentativi esordiali sul mercato, ben distanti da una possibile implementazione massiva, per costi, ingombri e limiti ergonomici. Ulteriori soluzioni, anche in virtù di garantire gusto e olfatto, saranno costituite dalle connessioni neurali, ma le soluzioni attualmente disponibili sono estremamente primitive e consentono ad esempio di controllare lo spostamento di un cubo in 3D con il pensiero.

L’ergonomia degli attuali sistemi VR costituisce uno dei principali limiti per questa tecnologia emergente. I visori sono ancora mediamente pesanti, i controller poco intuitivi, i sistemi di tracciamento ancora piuttosto acerbi. Se gli early adopters e gli enthusiast sono disposti ad allenare le qualità necessarie per sopportarli, lo stesso non si può pretendere per il pubblico mainstream, per cui occorre pensare sistemi più user-friendly.

La maturazione tecnologica della realtà virtuale, oltre ad un design efficace delle applicazioni, consentirà inoltre di evitare la motion sickness, una sensazione di profondo malessere provocata dal disallineamento tra vista e movimento che al momento limita l’impiego della VR in diversi ambiti di utilizzo.

Il lungo e affascinante percorso che ci guiderà nella costruzione di un metaverso fatto di mondi virtuali sempre più credibili e realistici sarà percepito dagli utenti attraverso un progressivo incremento qualitativo di immersione e presenza.

Half-Life: Alyx, prodotto da Valve nel 2019, costituisce una delle poche produzioni ad alto budget sviluppate in VR. Costituisce tuttora una delle esperienze più appaganti in realtà virtuale.

Scritto da:

Francesco La Trofa

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin