L’anno nuovo ha poco più di due settimane di vita, ma uno sguardo all’imponente attività di studio realizzata, nel 2021, da quello che è uno dei poli di ricerca di maggiore spessore, è d’obbligo per mettere a fuoco “dove” - e con quali risultati - siamo arrivati.
TAKEAWAY
- Tra le 10 ricerche del Massachusetts Institute of Technology dal maggiore potenziale di impatto nel corso del 2021, sicuramente quelle che ruotano attorno all’argomento del giorno a livello mondiale: il Covid-19.
- Il filone di studi sull’emergenza pandemica vede, in particolare, un focus sulla vaccinazione per inalazione, lo sviluppo di un’app che stima il rischio di trasmissione del virus, l’analisi del fenomeno della “controvisualizzazione” dei dati scientifici online e la messa a punto di una mascherina che diagnostica l’infezione in chi la indossa.
- Attenzione, da parte dei ricercatori del MIT, anche alla ricerca sul cancro, alle tecnologie immersive, alle reti neurali liquide, ai tessuti digitali, al teorema dei buchi neri di Hawking e alla svolta nell’energia da fusione.
Tra le Università più prestigiose, nonché sede di ricerche tra i più autorevoli a livello mondiale, il MIT – Massachusetts Institute of Technology (MIT), nel corso del 2021, ha condotto una serie di studi dalla portata rilevante, di cui 10, in particolare, rappresentano quelli sui quali si è maggiormente focalizzata l’attenzione della comunità scientifica globale.
Si tratta, in molti casi, di filoni di studio che proseguiranno anche nel 2022. Eccone di seguito una rapida carrellata, con un breve approfondimento, per ognuno, circa l’ambito specifico, i risultati ottenuti ed eventuali scenari evolutivi.
Le ricerche del Massachusetts Institute of Technology: rendere l’immunoterapia strategica contro più tipologie di cancro
L’area Ricerche del Massachusetts Institute of Technology, lo scorso ottobre è giunta alla scoperta di una nuova metodologia che, coniugando chemioterapia e immunoterapia, stimola il sistema immunitario del paziente a un’azione forte contro più tipologie di tumori.
Come stimolare l’azione del sistema immunitario
Tale ricerca prende corpo da un dato di fatto, che vede l’immunoterapia efficace soltanto contro alcuni tipi di patologie oncologiche. L’obiettivo del gruppo di lavoro, dunque, è stato proprio quello di allargare il campo di azione di questo strumento dal forte impatto.
Lo studio, al momento, si basa sui risultati raggiunti in laboratorio sui topi e poggia su un procedimento per il quale le cellule danneggiate (nel loro DNA) dalla chemioterapia ma ancora vive, se stimolate per mezzo di farmaci che attivano i linfociti T (cuore del sistema immunitario), inviano una sorta di “segnale di pericolo” che induce il sistema a reagire.
Nei topi con melanoma e con tumori al seno, la ricerca del MIT ha dimostrato che il nuovo metodo è in grado di distruggere il 40% delle masse tumorali. Ma non solo. Tale trattamento si è rivelato positivo anche contro le recidive: infatti, nel momento in cui, mesi dopo, venivano iniettate cellule tumorali negli stessi topi, queste venivano riconosciute, aggredite ed eliminate dai loro linfociti T.
Prima, però, di passare alla sperimentazione sugli esseri umani, il team fa notare che è basilare focalizzarsi sulle precise tipologie e sulle precise quantità di farmaci attivatori dei linfociti T adatti a diversi tipi di tumori. Inoltre, sono da approfondire anche le dinamiche relative alla stimolazione, da parte del DNA delle cellule tumorali danneggiate dalla chemioterapia, dei linfociti T.
L’AI per la generazione di ologrammi 3D in tempo reale
I visori per la realtà virtuale, se utilizzati a lungo, possono essere responsabili dell’insorgere di sintomi quali affaticamento della vista e nausea. Problemi che – fa notare un gruppo di informatici del MIT – possono essere superati ricorrendo a un’altra tecnologia per la visualizzazione 3D, anche se, in realtà, piuttosto datata (addirittura a prima degli anni ’40). Si tratta degli ologrammi che, per mezzo di un sistema basato su tecniche che fanno capo all’ambito di studi dell’intelligenza artificiale, possono essere generati praticamente in tempo reale.
Realtà virtuale dagli scenari più realistici e sviluppo della stampa 3D volumetrica
Tale sistema AI è frutto di una delle ricerche del Massachusetts Institute of Technology condotte nel 2021, con ambiti di applicazione che, oltre alla VR, comprendono anche la stampa 3D e l’imaging medico.
Più nel dettaglio, il team di studio si è avvalso della tecnica del deep learning, sviluppando, nello specifico, una rete neurale convoluzionale atta a simulare il modo in cui il cervello umano elabora le informazioni visive e allenata sulla base di un set di dati video contenente 4.000 coppie di immagini generate al computer.
Il sistema messo a punto – affermano i suoi autori – si rivela uno strumento in aiuto ai fruitori della realrà virtuale, in quanto li farebbe immergere in uno scenario tridimensionale più realistico, privo di enfasi visive, contribuendo in questo modo a risolvere il problema dell’affaticamento della vista e proteggendo da altri sintomi a lungo termine derivanti dall’utilizzo dei comuni device VR.
Ma l’olografia 3D – in quanto più rapida e precisa della tradizionale stampa 3D strato per strato – in futuro potrebbe supportare anche lo sviluppo della stampa 3D volumetrica. Ed è a questo traguardo che punta, in particolare, il team del MIT.
La vaccinazione per inalazione tra le ricerche del Massachusetts Institute of Technology
Sposando la tesi per cui la somministrazione di vaccini direttamente ai polmoni consente di rafforzare la reazione del sistema immunitario alle infezioni respiratorie, così come al cancro ai polmoni, il Massachusetts Institute of Technology, nel corso del 2021, si è dedicato allo sviluppo di un vaccino che andasse oltre il tradizionale mezzo dell’iniezione intramuscolare.
Focus sulle patologie polmonari virali e oncologiche
In particolare, tra le ricerche del Massachusetts Institute of Technology, quella che ha visto allo studio un vaccino peptidico (cioè che si lega a una proteina vettore) – in quanto ritenuto più sicuro e di più facile produzione su larga scala – sebbene presenti qualche difficoltà nel superamento della mucosa che riveste l’apparato respiratorio. Criticità superata, in sede di sperimentazione in laboratorio, legando il vaccino alle proteine dell’albumina e, più nello specifico, un vaccinocontro il virus del vaiolo somministrato per via intratracheale, (simulando, così, l’inalazione).
Gli esiti dei primi test sui topi hanno dimostrato che questo tipo di somministrazione ha portato a un aumento di 25 volte dei linfociti T (deputati all’aggressione dei virus nell’organismo) rispetto all’iniezione intramuscolare, oltre a una più lunga protezione, nel tempo, dal vaiolo.
Ma non è tutto. I ricercatori del MIT hanno sperimentato anche un vaccino per inalazione contro il cancro, avvalendosi come vettore – in questo caso – della stessa proteina presente sulle cellule del tumore da combattere che, nei test, le cellule T nei polmoni dei topi sono state in grado di eliminare.
Le prospettive future guardano, nel dettaglio, allo sviluppo di vaccini a inalazione contro i tumori che colpiscono altri organi, nonché contro il virus del Covid-19 e dell’HIV.
Quantificazione del rischio di trasmissione del Covid negli spazi interni
Tra le ricerche Massachusetts Institute of Technology, anche quella che ha definito un nuovo metodo per calcolare il rischio di esposizione al coronavirus negli spazi interni, tenendo conto di precisi parametri.
Un’app per definire le linee guida contro i contagi e valutare le strategie di intervento
Lo strumento messo a punto è un’app che funge da “guida”, quantificando il rischio di contrarre l’infezione in base al tempo che il soggetto trascorre in un determinato ambiente, nel qual si trovano un dato numero di persone tra loro distanziate e che indossano la mascherina di protezione, aerato in un dato modo e nel quale si svolge una data attività. Può trattarsi, ad esempio, di un esercizio commerciale, di un’aula scolastica o di un ristorante. Contesti differenti per la densità di persone che li occupano, nonché per come vengono vissuti.
L’app, in poco tempo, ha fatto registrare circa mezzo milione di utenti, i cui riscontri continui hanno permesso ai ricercatori che vi hanno lavorato di affinare e rendere più performante il modello di base, arrivando anche a influenzare alcune decisioni sulla riapertura delle attività negli Stati Uniti.
Al momento – spiegano i ricercatori del MIT che vi hanno lavorato – l’app, oltre alle linee guida, fornisce anche indicazioni volte a valutare modalità e strategie di intervento contro il Covid, tra cui, ad esempio, i sistemi di ventilazione, l’uso delle mascherine e i sistemi di filtrazione dell’aria.
Ma si tratta di uno strumento in divenire, che continuerà ad essere oggetto di miglioramenti seguendo le curve della pandemia. E, pur basandosi su stime approssimative, è di supporto per chi lo utilizza nel dare un giudizio, una prima valutazione sulla situazione di rischio in cui si trova.
Le ricerche del Massachusetts Institute of Technology sulle reti neurali liquide
Adattarsi continuamente ai nuovi dati è la caratteristica della rete neurale artificiale messa a punto dal team di ricercatori del MIT nel corso del 2021, capace di apprendere mentre lavora oltre che durante la fase di allenamento.
Adattarsi ai flussi di dati in continua evoluzione
Alla base delle ricerche del Massachusetts Institute of Technology in tema di reti neurali, vi sono algoritmi definiti “flessibili” che, a loro volta, danno origine a quelle che il gruppo di studio ha denominato “reti neurali liquide” perché «capaci di modificare le equazioni sottostanti per adattarsi continuamente a nuovi input di dati».
Riuscire ad analizzare in tempo reale questi “dati in continua evoluzione” e a impiegarli nell’analisi predittiva, per anticipare comportamenti futuri, potrà accelerare l’utilizzo delle reti neurali liquide in determinati ambiti di applicazione, tra cui, ad esempio, la diagnostica per immagini e la guida autonoma.
Ad oggi, la rete neurale liquida sviluppata dal Centro di Ricerca USA ha dato risultati positivi durante i test ai quali è stata sottoposta, addirittura superando di alcuni punti le prestazioni di altri algoritmi, specialmente nell’ambito di applicazioni che hanno a che vedere con i modelli di traffico.
In futuro, il team di ricerca intende continuare a migliorare il sistema messo a punto e, in particolare, ad addestrarlo per l’analisi predittiva nel settore industriale. C’è ancora molto lavoro da fare – sottolineano – per studiare come estendere queste tipologie di reti neurali artificiali a più applicazioni possibili che, alle già citate diagnostica per immagini e guida autonoma, comprendano anche l’utilizzo sul controllo dei robot, sulla futura elaborazione del linguaggio naturale e dei dati video.
Fibra tessile digitale con rete neurale incorporata
Rientra tra le ricerche del Massachusetts Institute of Technology del 2021, in collaborazione con il Textiles Department dell’Accademia di belle arti Rhode Island School of Design (RISD), la fibra tessile con funzionalità digitali che rileva, analizza e memorizza una serie di dati e di attività dopo essere stata cucita all’interno di un semplice indumento.
Le ricerche del Massachusetts Institute of Technology: tessuto intelligente grazie all’AI
La fibra tessile è stata ottenuta inserendo centinaia di chip digitali in microscala di silicio all’interno di una preforma, poi utilizzata per creare una fibra polimerica sottile e flessibile, tanto da poter passare attraverso un ago, essere cucita all’interno di tessuti ed essere lavata più volte senza spezzarsi.
Possiede, all’interno della memoria, una rete neurale che consta di 1.650 connessioni, capace di raccogliere dati sulla temperatura corporea superficiale e di analizzare – con una precisione del 96% – come questi dati corrispondano a diverse attività fisiche compiute da chi indossa il tessuto.
L’aggiunta di tecniche di intelligenza artificiale ne aumenta le applicazioni, tra cui il fatto di riuscire a raccogliere, in un dato arco temporale, un’ampia mole di informazioni relative al corpo umano e al suo stato di salute.
Per il momento, la fibra tessile digitale creata dal MIT è controllata da un dispositivo esterno, ma è nelle intenzioni del team di ricerca progettare un nuovo chip che, in qualità di microcontrollore, verrà collegato all’interno della fibra digitale.
Tra gli scenari futuri, oltre alle applicazioni nel medicale, con la possibilità di rilevare e monitorare temperatura corporea, pressione arteriosa e frequenza cardiaca di coloro che la indossano, anche la diagnosi precoce di alcune patologie, tra cui quelle cardiovascolari e il diabete.
Il fenomeno della “controvisualizzazione” dei dati scientifici online
L’emergenza pandemica ha segnato, sui social media, il trionfo della visualizzazione di dati e di grafici di natura scientifica, tra cui quelli relativi ai tassi di infezione, ospedalizzazioni, decessi e vaccinazioni. Il tutto, però, con un effetto non sempre volto a incoraggiare comportamenti contro la trasmissione del virus.
Quando la condivisione di più dati sul Covid non si traduce in una maggiore comprensione circa l’urgenza delle misure di protezione
Le ricerche da parte degli studiosi del Massachusetts Institute of Technology mostrano, infatti, un quadro più complesso, evidenziando come gli scettici del virus abbiano organizzato le visualizzazioni dei dati scientifici online per argomentare contro la salute pubblica.
I ricercatori del MIT – dopo aver analizzato, mediante tecniche computazionali, centinaia di migliaia di post in tema di Covid sui social media più popolari – parlano del fenomeno della “controvisualizzazione” dei dati scientifici, generato dall’interpretazione di dati e di grafici provenienti da fonti ufficiali attraverso la lente di credenze e opinioni proprie.
No mask e no-vax – spiegano – non evitano i dati sulla pandemia. Ma discutono su come sono stati raccolti e perché, «sostenendo che le visualizzazioni dei numeri di infezione potrebbero essere fuorvianti, a causa dell’ampia gamma di incertezza nei tassi di infezione rispetto alle misurazioni del numero di decessi. In risposta, tali gruppi fanno proprie controvisualizzazioni, spesso istruendosi a vicenda sulle tecniche».
Quello che è emerso da questo studio è che la visualizzazione dei dati scientifici online non è oggettiva. E, proprio per tale ragione, dobbiamo essere attenti a come vengono interpretati al di fuori del mondo scientifico.
Con l’obiettivo di rendere i risultati della ricerca accessibili al pubblico, il team ha di recente sviluppato una «narrativa interattiva» grazie alla quale, chi è interessato alla ricerca, è messo nelle condizioni di poter esplorare le visualizzazioni e le conversazioni online autonomamente, senza guida.
Ricerche del Massachusetts Institute of Technology 2021: la mascherina che diagnostica l’infezione da Covid
Gli ingegneri del MIT, in collaborazione con l’Università di Harvard, hanno progettato un prototipo di maschera facciale in grado di rilevare, in circa 90 minuti, l’infezione da Covid nel respiro di chi la indossa.
Tecnologia basata su biosensori indossabili liofilizzati
La tecnologia sulla quale si fonda il funzionamento di tale maschera poggia su un sistema di sensori liofilizzati denominato Sherlock incorporato nella carta – a sua volta basato sugli enzimi CRISPR – capace di rilevare gli acidi nucleici virali come quelli del Covid. Quando sono attivati dall’acqua (ad esempio, quando vengono a contatto con le goccioline del respiro), questi sensori interagiscono con la molecola bersaglio in essa contenuta e cambiano colore oppure emettono un segnale fluorescente o luminescente.
La portata di questa ricerca del MIT è quella di avere aperto a una nuova sensoristica indossabile in ambito medicale, integrabile anche all’interno di altri indumenti come, ad esempio, i camici ospedalieri, offrendo agli operatori sanitari un nuovo strumento per rilevare la loro esposizione al Covid così come ad altri agenti patogeni.
Nel caso dei camici, però, si è resa necessaria la scelta di un materiale diverso dalla carta, optando, alla fine, per la combinazione di poliestere e altre fibre sintetiche, all’interno della quale i biosensori liofilizzati vengono posti in piccole sezioni di tessuto e ben compartimentati, onde evitare che possano evaporare.
Il brevetto di tale tecnologia è stato depositato e ora i ricercatori attendono di lavorare in partrnership con aziende del settore per approfondire lo sviluppo dei biosensori indossabili liofilizzati, al fine di adattarli anche all’esposizione a sostanze tossiche in ambienti sanitari e non.
Conferma del teorema dei buchi neri di Hawking
Nel corso del 2021, i fisici del Massachusetts Institute of Technology (e non solo loro) hanno confermato un teorema ideato da Stephen Hawking nel 1971, secondo il quale «l’area dell’orizzonte degli eventi di un buco nero – il confine oltre il quale nulla può mai sfuggire – non si ridurrà mai».
Le ricerche del Massachusetts Institute of Technology: le prove basate sulle onde gravitazionali
In particolare, lo studio del MIT presenta prove basate sulle onde gravitazionali, andando a rivedere il primo segnale di onda (il GW150914) rilevato nel 2015 da LIGO – il Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory – «che consisteva nel prodotto di due buchi neri che hanno generato un nuovo buco nero, insieme a un’enorme quantità di energia che si è propagata nello spazio-tempo come onde gravitazionali».
Nello specifico, ciò che il team ha fatto è stato analizzare nuovamente il segnale di GW150914 prima e dopo la collisione cosmica, rilevando che l’area totale dell’orizzonte degli eventi non è diminuita dopo la fusione.Risultato – questo – che riportano con una sicurezza del 95%. Anzi, spiegano:
«I dati mostrano che l’area dell’orizzonte è aumentata dopo la fusione e che la legge sull’area è confermata con probabilità molto elevate»
Il team ha, ora, in programma di testare i futuri segnali delle onde gravitazionali, con l’obiettivo di osservare se queste possano dare ulteriore conferma al teorema di Hawking, nonché altre teorie sulla meccanica dei buchi neri, utilizzando sia i dati del Laser LIGO, sia i dati del Laser Virgo, frutto – quest’ultimo – del lavoro congiunto tra il Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) francese e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) italiano.
Le ricerche del Massachusetts Institute of Technology nel 2021: sempre più vicini all’energia da fusione
Infine, tra le ricerche del Massachusetts Institute of Technology nel 2021 anche l’esperimento – realizzato lo scorso settembre, dopo tre anni di preparazione – che vede portare un elettromagnete superconduttore ad alta temperatura a un’intensità di campo di 20 Tesla (= unità di misura dell’induzione magnetica), con l’obiettivo di gettare le basi della ricerca per la costruzione della prima centrale elettrica a fusione.
Verso centrali elettriche prive di emissioni di carbonio
«La fusione è l’ultima fonte di energia pulita – osserva Maria Zuber, vicepresidente dell’area Ricerche del MIT – Il carburante utilizzato per creare l’energia di fusione proviene dall’acqua, di cui la Terra è ricca. Dobbiamo solo capire come utilizzare tale “carburante”»
La portata di questo nuovo progetto sta proprio nell’utilizzo di superconduttori ad alta temperatura. Il che si traduce nella generazione, in uno spazio più piccolo, di un campo magnetico significativamente più potente.
Il goal iniziale di costruire un magnete da 20 Tesla è stato raggiunto. Ora il percorso di ricerca prevede – entro il 2025 – la costruzione di SPARC, ossia la versione su scala ridotta della centrale elettrica prevista fin dall’inizio dei lavori e finalizzata a dimostrare la fattibilità dell’applicazione dell’energia da fusione all’interno di una centrale e i suoi vantaggi.
Quello che si aspetta il team di ricerca del Massachusetts Institute of Technology è che la versione ridotta della centrale abbia le medesime prestazioni del magnete.
In futuro, l’intenzione è quella di aumentare, via via, la scala della centrale, in modo da arrivare a mettere a punto una centrale elettrica dalle dimensioni reali.