Un gruppo di studiosi americani ha formulato un metodo per allenare i robot alle superfici impervie, creando un parallelismo con il comportamento dell’uomo. Il risultato è un software innovativo che li abitua alle difficoltà e aumenta, al contempo, le possibilità di successo nelle missioni di emergenza.
TAKEAWAY
- Per gli aspetti riguardanti la motricità dei robot, la fonte di ispirazione sono gli organismi viventi, di cui discipline come la soft robotica riprendono l’attitudine ad allungarsi e ad afferrare oggetti.
- La sinergia tra l’Università della California e la Carnegie Mellon ha portato allo sviluppo di un algoritmo che prepara i robot a muoversi su superfici mai calcate prima.
- Dotati di quattro arti, gli automi imparano, nel corso di continue interazioni, come muoversi sul bagnato o tra le macerie, con esiti sorprendenti in situazioni critiche e nella ricognizione del territorio.
Robotica e adattamento all’ambiente, una frontiera non del tutto esplorata che può riservare risvolti interessanti per la ricerca. Nello specifico, per gli aspetti riguardanti la motricità, la fonte di ispirazione sono gli organismi viventi, di cui discipline come la soft robotica riprendono l’attitudine ad allungarsi e ad afferrare oggetti.
Animali e piante vengono ad essere il punto di partenza in cui la biologia incontra, arricchendole enormemente le tecniche che fanno capo all’ambito di studi dell’intelligenza artificiale. L’esplorazione del contesto circostante avviene attraverso appositi sensori detti esterocettivi, dato che appunto si rivolgono all’esterno, ma possono esserci degli arresti improvvisi davanti a qualcosa che non era preventivato, rischiando, così, cadute e, di conseguenza, guasti.
Come evitare un quadro del genere? Se lo sono chiesti alla Carnegie Mellon University che da anni è impegnata sul fronte appena descritto, prendendo a riferimento i rettili, tra cui i serpenti, per imitarne la predisposizione ad avvolgersi, ad esempio, attorno a un palo o ad un albero. Di recente, sono stati davvero tanti gli upgrade finalizzati ad ottenere più stabilità, avvalendosi delle principali teorie di fisica.
In tale cornice si inserisce il paper “RMA: Rapid Motor Adaptation for Legged Robots” al quale hanno collaborato Deepak Pathak, Assistant Professor in Computer Science alla Carnegie Mellon, il suo allievo Zipeng Fu, Ashish Kumar, dottorando in Ingegneria Elettrica e Informatica all’Università della California, Berkeley e il suo mentore, il Prof. Jitendra Malik, membro della National Academy of Sciences, specializzato nell’elaborazione di immagini digitali.
Consolidare il rapporto tra robotica e adattamento all’ambiente
Per una maggiore consapevolezza della tematica, risaliamo – suggeriscono i ricercatori – a quando abbiamo iniziato a camminare, magari sul pavimento di casa, per ritrovarci, pochi mesi dopo, su una spiaggia.
Eppure, in una manciata di secondi, siamo riusciti ad adeguarci senza grossi intoppi, facendo leva su una capacità innata. Ovviamente, lo stesso non vale in tema di robotica e adattamento all’ambiente, ma può verificarsi con le opportune implementazioni.
Per chiarire ulteriormente il concetto, si è pronunciato il prof Malik che, a margine della pubblicazione, ha dichiarato:
“Il corpo umano reagisce agli stimoli, compiendo, quasi istantaneamente, delle misurazioni, con le quali modula i suoi passi e, in aggiunta a ciò, una risposta analoga si riscontra nei non vedenti. Allora, per trasferire questa impostazione su un piano tecnologico, va assolutamente allargato il ragionamento”
Bisogna tenere presente che nessun parametro pregresso prepara completamente agli imprevisti, come precisato dal dott. Ashish Kumar che ha commentato: “È inattuabile una stima accurata di ogni singola informazione utile. D’altronde, tornando al caso precedente, noi non dobbiamo imparare a conoscere la composizione chimica della sabbia, bensì come funziona l’affondamento dei nostri piedi”.
Si tratta di riflessioni che sono servite, agli autori del documento, a delineare i contorni di un sistema, battezzato RMA, ovvero Rapid Motor Adaption, che è costituito da due algoritmi: il primo monitora il progressivo incedere, mentre il secondo prende in esame i mutamenti man mano che si verificano. Entrambi sono confluiti nella progettazione dei robot in questione, i quali si distinguono per una struttura snella e per avere quattro arti, sui quali si spostano.
Robotica e adattamento all’ambiente: il sistema Rapid Motor Adaption alle prese con il mondo reale
Alla prova decisiva, i prototipi si sono ben districati tra i vari materiali. Pur non avendoli mai visti, ne hanno compreso gradualmente la conformazione, persino con un carico addosso di 12 kg che equivale al peso di ciascuno dei quadrupedi. In sostanza, hanno dimostrato di saper gestire le proprie energie, come quando a noi capita di portare uno zaino sulle spalle.
Il prof. Malik si è confrontato con una ricerca dell’Infant Action Lab della New York University, tra i cui autori c’è Karen Adolph – professoressa di Psicologia e Neuroscienze – la quale ha dimostrato come sia importante, per un bambino, imparare dai piccoli errori commessi, soprattutto nello svolgimento di attività motorie.
L’idea alla base, traslata nel campo dell’artificial intelligence, è il fatto che non si possono anticipare sempre le mosse future, neanche con migliaia di parametri, perché, pur comprendendo ghiaia, fango, legno, foglie e altro ancora, si presenterà comunque, lungo il tragitto, qualche elemento che non era stato incluso nell’elenco.
“Tale suggestione – ha ricordato il dott. Kumar – può valere per diversi frangenti in cui si intrecciano robotica e adattamento all’ambiente, anche per meccanismi privi di gambe”.
I prossimi step della ricerca
Lo studio in tema di robotica e adattamento all’ambiente, è stato esposto nei dettagli alla Robotics Science and Systems, conferenza internazionale svoltasi tra il 12 e 16 luglio scorso. In tale sede gli scienziati hanno spiegato che c’è ancora parecchio da fare in materia.
In primis hanno supposto che potrebbe essere allestito un archivio delle andature dei robot, in modo da sfruttarle in occasioni successive. Il metodo non mira ad azzerare da subito gli impedimenti, ma fa sì che il robot si ricalibri durante il percorso verso l’obiettivo prefissato.
Le applicazioni che si stagliano all’orizzonte? Praticamente infinite, poiché vanno dalle operazioni di salvataggio alle missioni in giro per l’universo. Ovunque può servire un supporto meccanico che sappia districarsi in circostanze complesse e spingersi dove i soccorritori non possono arrivare per cause di forza maggiore.
Pensiamo a foreste con una vegetazione molto fitta, a zone con rischio di esplosione in cui c’è l’urgenza di ritrovare persone disperse, spesso all’interno di spazi angusti, oppure poniamo l’ipotesi di aree potenzialmente tossiche, dove, per effettuare bonifiche o analisi, è necessario passare agevolmente tra i rifiuti.