I galleggianti robotici consentono agli scienziati di stimare con maggiore precisione come il carbonio fluisce dall'atmosfera agli oceani, gettando nuova luce sul suo ciclo globale e sulle correlazioni di quest’ultimo con i cambiamenti climatici.

TAKEAWAY

  • La robotica per gli oceani si declina in numerose applicazioni, tra cui quella che prevede l’utilizzo di galleggianti robotici per la raccolta di dati sulla cosiddetta “produzione primaria” marina, importante per comprendere il ciclo del carbonio e i cambiamenti climatici terrestri.
  • A tale riguardo, il progetto Global Ocean Biogeochemistry Array – che amplia il già esistente Biogeochemical Argo Science and Implementation Plan – schiera centinaia di galleggianti robotici per monitorare la chimica e la biologia degli oceani fino a 2.000 metri di profondità.
  • I dati rilevati nell’ambito di entrambi i progetti consentiranno agli scienziati di formulare previsioni simulando diversi scenari, tra cui il riscaldamento e l’acidificazione delle acque e i loro effetti sulla vita marina.

Robot che puliscono le acque dei mari e robot che monitorano e studiano la vita racchiusa in essi. La robotica per gli oceani si declina in molteplici applicazioni, tra cui quella che prevede l’utilizzo di galleggianti robotici per la raccolta e l’analisi di dati sul loro stato di salute e, più in particolare, sulla trasformazione biologica nota come “produzione primaria” marina, attraverso la quale il fitoplancton – detto anche “erba dell’oceano” – utilizza la luce solare e l’anidride carbonica presenti nell’atmosfera e le sostanze nutritive presenti nel mare per produrre ossigeno e per crescere, oltre che per nutrire i microrganismi animali e preservare, così, la catena alimentare acquatica.

Per comprendere l’importanza della produzione primaria marina, basti pensare che anche il più piccolo cambiamento nel processo di trasformazione appena descritto può avere conseguenze profonde sulla capacità dell’oceano di immagazzinare carbonio.

Convertendo l’anidride carbonica in materia organica, infatti, il fitoplancton non solo supporta la catena alimentare oceanica, ma rappresenta il primo passo nella pompa biologica del carbonio dell’oceano.

E il processo che “sequestra” il carbonio nelle masse d’acqua e nei sedimenti di acque profonde è una componente cruciale nella modellazione del clima terrestre. Ecco perché, di fronte al clima che cambia, è imperativo comprendere il ruolo dell’oceano nell’estrarre il carbonio dall’atmosfera e immagazzinarlo per lunghi periodi di tempo. Ma in che modo?

Robotica per gli oceani: i progetti “Global Ocean Biogeochemistry Array” e “Argo” per misurare la produzione primaria marina

La misurazione diretta della produttività dell’oceano richiede la raccolta e l’analisi di campioni. Ma i limiti e le criticità a livello di risorse e di sforzi umani rendono le osservazioni su scala globale – mediante navi da ricerca – particolarmente impegnative e dai costi proibitivi.

Dall’altro lato, il telerilevamento satellitare e i modelli informatici offrono una soluzione spaziale e temporale utile a creare mappe globali della produzione primaria, “ma, in questo modo, i valori rilevati sono basati su modelli e non si tratta di misurazioni dirette” avverte Ken Johnson, Senior Scientist del Monterey Bay Aquarium Research Institute(MBARI), centro di ricerca oceanografica californiano.

Con l’obiettivo di superare tali metodologie, dopo anni di studio, un consorzio di oceanografi ha deciso di schierare centinaia di galleggianti robotici (cinquecento, per l’esattezza) per monitorare lo stato di salute degli oceani di tutto il mondo, dal Pacifico Settentrionale all’Oceano Indiano.

Si tratta del progetto Global Ocean Biogeochemistry Array – finanziato dalla US National Science Foundation e guidato da Ken Johnson del MBARI – avviato a marzo 2021 con il rilascio, nei mari, dei primi modelli, contenenti un monitor, una serie di sensori biogeochimici, componenti idraulici e batterie.

Ne fanno parte gli scienziati del già citato Monterey Bay Aquarium Research Institute, dell’Università di Washington, della Scripps Institution of Oceanography, della Woods Hole Oceanographic Institution e della Princeton University, incaricati di costruire i dispositivi in tema di robotica per gli oceani.

La rete di galleggianti robotici alla quale mira il progetto raccoglierà dati sulla chimica e la biologia degli oceani, dalla superficie fino a una profondità di 2.000 metri, ampliando, così, il già esistente Biogeochemical Argo Science and Implementation Plan – supportato dall’International Ocean Carbon Coordinating Project e dall’US Ocean Carbon and Biogeochemistry Program e lanciato nel 2016 – i cui galleggianti di profilazione misurano temperatura, salinità, ossigeno, pH, clorofilla e sostanze nutritive nei mari a una profondità di 1.000 metri e ripetendo il ciclo di rilevazione ogni dieci giorni.

Il progetto Array, invece, mira a più misurazioni in un giorno solo, con ogni galleggiante robotico che si attiva a orari diversi della giornata: solo in questo modo è possibile ottenere il ciclo giornaliero dell’ossigeno – che sale durante il giorno (a causa della fotosintesi) e scende di notte – e, quindi, il calcolo attendibile della produzione primaria dell’oceano, fanno notare Johnson e Mariana Bif, oceanografa biogeochimica presso il MBARI.

Robotica per gli oceani: dalla raccolta dei dati alla simulazione di scenari

In tema di robotica per gli oceani, in un articolo apparso su Nature Geoscience il 16 agosto 2021, Ken Johnson e Mariana Bif illustrano alcuni dati raccolti nell’ambito dei progetti Argo e Array.

Solo per fare un esempio, i dispositivi robotici Argo – per quanto riguarda, nello specifico, i mari delle aree Hawaii e Bermuda – hanno stimato che, in quelle zone, il fitoplancton produce circa 53 petagrammi carbonio all’anno, dove il petagrammo (PgC) è una delle unità di misura del carbonio e dove un petagrammo equivale a 1.000.000.000.000 di chilogrammi, all’incirca l’equivalente del peso di 200 milioni di elefanti.

Un numero “importante” – convalidato anche da recenti modelli biogeochimici – che consente agli scienziati di formulare previsioni puntuali attraverso la simulazione di diversi scenari, tra cui i cambiamenti nella crescita del fitoplancton, il riscaldamento e l’acidificazione delle acque e i loro gli effetti sulla vita marina.

In particolare, i galleggianti robotici Argo – si legge nel documento – sono stati fondamentali per il progetto Southern Ocean Carbon and Climate Observations and Modeling, programma multi-istituzionale incentrato sullo “svelare” i misteri dell’oceano antartico e sul determinarne l’influenza sul clima, ospitato presso l’Università di Princeton e supportato dalla National Science Foundation.

Relativamente al progetto Array, man mano che verranno distribuiti più galleggianti robotici nei mari del mondo, Johnson e Bif si aspettano che, proprio grazie a questi, le informazioni raccolte dalle flotte Argo possano essere aggiornate, riducendone alcune imprecisioni. A tale riguardo, spiega Bif:

Al momento, non siamo ancora in grado di dire se, rispetto ad alcuni anni fa, esiste un cambiamento nella produzione primaria degli oceani, poiché le serie temporali in nostro possesso sono ancora troppo brevi. Ma queste sono, tuttavia, in grado di stabilire una linea di base, dalla quale poter partire per delineare cambiamenti futuri

Ciò che i due scienziati del Monterey Bay Aquarium Research Institute auspicano è che le stime realizzate nell’ambito del progetto Array grazie all’applicazione della robotica per gli oceani vengano incorporate nei modelli esistenti – compresi quelli utilizzati per i satelliti – al fine di migliorarne le prestazioni e di permettere sempre più agli scienziati di tenere sotto controllo la salute e la produttività degli ecosistemi, nonché i cicli di carbonio, ossigeno e azoto mei mari, in tutte le stagioni dell’anno.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin