Le città occupano solo il 3% della Terra ma raccolgono il 60% della popolazione mondiale, totalizzando circa l’80% del consumo energetico e delle emissioni di CO2. Lo sviluppo urbano pone oggi delle sfide che non si possono più limitare al semplice utilizzo di tecnologie innovative per migliorare la gestione dei servizi, ma devono necessariamente tenere in considerazione anche gli aspetti ambientali, energetici, sociali e di governance in un’ottica integrata di sostenibilità.

Prima di affrontare una tematica come quella che vede al centro il modello di smart city e la sua sostenibilità, occorre una riflessione introduttiva. Correvano gli anni novanta del secolo scorso – e, detto così, potrebbe sembrare una vita fa – quando cominciò a diffondersi il concetto di smart city, ovvero un modello di sviluppo urbano caratterizzato dall’uso intelligente ed esteso delle tecnologie digitali.

In realtà sono trascorsi solo trent’anni, nell’arco dei quali il tentativo di modernizzare e rendere più efficienti le nostre città e i servizi di pubblica utilità è rimasto una rivoluzione incompiuta, tra progetti avviati e non sempre portati a termine, benefici ottenuti spesso modesti e lontani dalle aspettative, scarsa attinenza con le esigenze reali e quotidiane dei cittadini. La causa di questo insuccesso è da ricondurre a tre motivi specifici.

Il primo riguarda la mancanza di una visione strategica da parte delle amministrazioni comunali. Lo sviluppo urbano deve essere pianificato in un quadro organico di lungo periodo e il ricorso alle tecnologie fornisce uno strumento di supporto che abilita il raggiungimento di obiettivi di più ampio respiro. Detto in parole più semplici, la tecnologia è solo un mezzo, non è il fine ultimo.

Le amministrazioni comunali sono invece focalizzate sul breve periodo, l’arco di tempo di una legislatura entro cui bisogna fare qualcosa di visibile che garantisca la possibilità di essere rieletti, non importa se poi funziona davvero o serve a qualcosa di veramente utile per la collettività.

Il secondo motivo concerne la mancanza di fondi da investire da parte delle stesse amministrazioni comunali. Anche laddove ci sia una capacità di programmazione efficace dello sviluppo urbano, questa viene mortificata dall’insufficienza dei fondi per poterla attuare.

È un dato di fatto che da molto tempo ormai i Comuni italiani soffrono la cronica carenza di risorse economiche che non solo impedisce di investire in innovazione tecnologica, ma addirittura spesso mette in discussione la possibilità di provvedere all’erogazione dei servizi essenziali.

Quindi, con i pochi sodi a disposizione, nel migliore dei casi si finisce per fare interventi di piccola portata e con modeste ricadute.

Il terzo motivo, infine, ha a che vedere con la mancanza di un quadro di riferimento nazionale per guidare l’innovazione dei Comuni e le sue applicazioni pratiche. La scelta di quale soluzione tecnologica adottare e in quale ambito implementarla non può essere lasciata alla soggettività del singolo sindaco o assessore, i quali la gestiscono in funzione delle proprie sensibilità, competenze ed esperienze.

Sono mancati i tavoli di coordinamento centralizzato a livello governativo e, nonostante qualche Presidente del Consiglio abbia dimostrato una maggiore attenzione a questi temi, non c’è stato modo di definire orientamenti concreti e permanenti, sanciti da linee guida ufficiali, disposizioni di legge e sostegni economici dedicati.

Da smart a sostenibile: come evolve il modello di città

Lo scenario degli ultimi anni, però, è cambiato e adesso ci offre una prospettiva di rivalutazione e di attualizzazione del concetto di smart city prendendo spunto dalla priorità del momento: la sostenibilità.

Se fino a ieri la città intelligente aveva come scopo l’uso della tecnologia per favorire l’efficienza dei servizi, oggi la città sostenibile si pone invece l’obiettivo molto più ambizioso di migliorare la qualità della vita anche grazie alla tecnologia, ma non solo.

I due approcci non si sovrappongono ma si complementano: le città del futuro dovranno essere intelligenti e sostenibili, nel pieno rispetto degli Obiettivi 9 (Imprese, innovazione e infrastrutture) e 11 (Città e comunità sostenibili) dell’Agenda ONU 2030.

Il tradizionale dominio delle tecnologie smart continua a comprendere, in chiave sempre più aggiornata, gli interventi di rigenerazione urbana, la gestione delle infrastrutture e degli immobili, i servizi per la mobilità terreste e, tra non molto, anche per quella aerea (Urban Air Mobility – piccoli velivoli elettrici di corto raggio per il trasporto di persone e merci), la digitalizzazione dei servizi pubblici, l’incremento dei flussi turistici e la fruizione di eventi culturali.

Rispetto ai fattori legati agli ESG – Environmental, Social, and Governancel’approccio smart rientra nell’ambito della Governance, perché necessita di una pianificazione integrata dello sviluppo urbano nel lungo periodo e della capacità operativa di gestire l’innovazione.

Ma tutto ciò che afferisce alla dimensione smart è strettamente collegato al dominio della sostenibilità (SDG 11), che invece pone l’attenzione sulla riduzione dell’impatto ambientale, sulla ricerca del risparmio e dell’efficienza energetica, sulla salvaguardia della biodiversità, sulla promozione dell’economia circolare, sulla valorizzazione del territorio e delle comunità, sulla gestione delle emergenze e sul coinvolgimento del cittadino.

E qui entrano in gioco i fattori Envinronment e Social, che costituiscono l’aspetto più qualificante della sostenibilità: quello di ricostruire un contesto urbano più vivibile e inclusivo con azioni di ampio impatto, proponendo una visione di sviluppo sistemico capace di andare oltre la semplice gestione ottimizzata dei servizi.

Per supportare questa nuova rivoluzione serviranno competenze specifiche: la figura emergente del City Sustainability Manager (il responsabile della sostenibilità urbana) dovrà raccogliere l’eredità di precedenti professioni mai decollate, come quella dell’Energy Manager, del Facility Manager o del Mobility Manager, a cui dovrà aggiungere skill legate all’ambito sociale (inclusione, disabilità, parità di genere ecc.), all’ambito dello sviluppo urbanistico e territoriale, all’ambito tecnologico con specifica conoscenza dei sistemi predittivi di ultima generazione basati su big-data, digital twins e intelligenza artificiale.

O, meglio ancora, dovrà essere un buon coordinatore di singole professionalità specializzate cui accedere secondo necessità.

Smart city e sostenibilità, come si stanno muovendo Europa e Italia

A fronte di questo nuovo ambizioso quadro di riferimento, resta sempre l’atavico problema dei fondi? Fortunatamente no. Vista l’importanza in tema di tema smart city e sostenibilità, l’Unione Europea sta mettendo a disposizione degli Stati membri ingenti risorse da investire per la sostenibilità: dai programmi Next Generation EU e Repower EU fino al PNRR italiano.

Horizon Europe 2021-2027 è il programma quadro per la ricerca e l’innovazione che, tra le sue cinque missioni, ne comprende una dedicata alle città climaticamente neutre e intelligenti: il primo obiettivo temporale che si pone è quello di portare, entro il 2030, cento città europee ad azzerare le emissioni di CO2 e, tra esse, nove sono città italiane (Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma, Torino).

La neutralità carbonica è solo il primo passo di un cammino virtuoso che punta alla sostenibilità e che è caratterizzato da modelli di riferimento e da buone pratiche, la cui diffusione progressiva è favorita anche dalla condivisione delle esperienze positive che molti Comuni stanno facendo.

Proprio di recente è nata la Rete dei Comuni Sostenibili che si è data, tra l’altro, l’obiettivo preciso di misurare il contributo all’implementazione dell’Agenda ONU 2030 mediante una serie di indicatori specifici. Questa volta, dunque, sembra ci siano tutte le condizioni in base alle quali il modello di città intelligente e sostenibile potrà diventare realtà.

Non dobbiamo sprecare questa nuova occasione, anche perché non abbiamo alternative!

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